Vita Chiesa

Forum cattolico-ortodosso: «condanna senza appello» a chi strumentalizza la religione per commettere crimini

«La Parola di Dio ci è data per liberare l’uomo dai suoi peccati. Non dobbiamo mai strumentalizzarla». «Deploriamo i crimini che sono stati commessi in nome della religione». Una condanna inequivocabile e «senza appello» contro chi utilizza la religione per giustificare violenza e morte è contenuta nel messaggio finale che le Chiese ortodosse e cattoliche di Europa lanciano al nostro Continente al termine del V Forum europeo cattolico-ortodosso che si è tenuto a Parigi dal 9 al 12 gennaio sul tema «L’Europa nel timore della minaccia del terrorismo fondamentalista e il valore della persona e la libertà religiosa».

Al Forum hanno partecipato dodici delegati del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee) e dodici rappresentanti delle Chiese ortodosse in Europa e «in uno spirito fraterno di cooperazione» si sono evocate le azioni terroristiche che «hanno gettato nel lutto molti dei nostri paesi e hanno suscitato reazioni contrastanti». «Non si tratta – scrivono i vescovi cattolici e ortodossi nel messaggio – di stigmatizzare la religione musulmana, ma osserviamo, insieme agli stessi leader musulmani, come alcuni terroristi giustificano la loro azione a partire dai testi sacri dell’islam». Nel messaggio si sottolinea come sia «necessario» un lavoro di «ermeneutica dei testi fondamentali» per «acquisirne una comprensione illuminata» e si osserva: «Gli autori di atti terroristici sono spesso giovani socialmente disimpegnati che trovano in queste azioni indicibili una valvola di sfogo al proprio disagio. Qualcuno ha suggerito che è la radicalizzazione che si è islamizzata, piuttosto che il contrario. Riteniamo che alcuni racconti della storia e dell’esperienza musulmana abbiano potuto rafforzare nello spirito di questi giovani la loro prospettiva di odio e di rifiuto dell’altro. La giovinezza, viceversa, è il tempo della speranza e della costruzione. Invitiamo tutti i giovani a impegnarsi per costruire un mondo fraterno che non escluda nessuno. Invitiamo le autorità religiose musulmane a vigilare affinché non si propaghi un’immagine sistematicamente ostile del mondo non musulmano».

«La violenza terrorista esercitata contro persone considerate «miscredenti» o «infedeli» – si legge ancora nel messaggio di Parigi – è il grado estremo dell’intolleranza religiosa. Noi la condanniamo senza appello. Deploriamo che tali atti si siano potuti sviluppare sul terreno di una cultura religiosa distorta in cui l’altro è presentato come odiato da Dio stesso e condannato all’annientamento per questo motivo. Cercheremo malgrado tutto di perseguire il dialogo con i leader di tutte le religioni». Solidarietà è stata quindi espressa ai cristiani «oppressi, bersagli del terrorismo islamico, in particolare in Medio Oriente, in Africa e in Asia». «L’Europa centrale e orientale ha troppo a lungo sofferto il giogo dell’oppressione per non sentire solidarietà con i cristiani perseguitati di oggi».

«Le nostre Chiese cattolica e ortodossa proclamano la centralità della persona umana e la sua dignità creata a immagine di Dio. Esse affermano la dignità della natura umana creata libera. La libertà umana si esercita al suo massimo grado nell’atto di fede religiosa. L’atto di fede deve sempre restare libero. Le costituzioni dei nostri Stati garantiscono i diritti fondamentali della persona umana. Tuttavia nelle nostre società alcune forze sono sempre all’opera per emarginare, se non cancellare dallo spazio pubblico, le religioni e il loro messaggio. Noi crediamo che l’Europa abbia bisogno più che mai del soffio della fede in Cristo e della speranza che procura. Il cristianesimo possiede un marcatore d’identità che non nega agli altri i loro diritti umani, ma cerca di cooperare con tutti per la realizzazione del bene comune», è quanto si legge ancora nel messaggio approvato al termine dell’incontro sul tema «L’Europa nel timore della minaccia del terrorismo fondamentalista e il valore della persona e la libertà religiosa». Il messaggio, in quattordici punti, sviluppa alcune questioni discusse nel corso dell’incontro: la dignità umana e la libertà religiosa; l’intolleranza religiosa, la discriminazione e la persecuzione; il fondamentalismo e il terrorismo di oggi; la coesione sociale e il fenomeno della paura nello Stato di Diritto guardando alla missione dei governanti e al contributo della Chiesa; l’impegno delle Chiese nella gestione dei conflitti e nella promozione del bene comune e la solidarietà; e, infine, l’annuncio di Gesù Cristo come risposta alla minaccia sia del fondamentalismo che del terrorismo.

«L’Europa laica – scrivono i partecipanti – affonda le proprie radici nelle nostre tradizioni cristiane, che le hanno fornito la sua visione universalista, la sua concezione della dignità della persona e i principi della sua morale. Tagliare le proprie radici significa andare alla deriva. Il vuoto interiore espone soprattutto i più giovani alle peggiori sollecitazioni». «Il dialogo della verità tra persone di religione o convinzioni diverse – si legge ancora nel messaggio – è l’unica via di uscita dalle situazioni caratterizzate dalla paura e dall’esclusione reciproca. Il dialogo ci insegna a diventare più umili. Nel confronto con gli altri scopriamo sempre delle insospettabili ricchezze della nostra comune umanità».

«Per gli immigrati, la parola chiave è integrazione». Vescovi cattolici e ortodossi affrontano anche la questione dell’immigrazione nel messaggio finale. «L’Europa conosce oggi ondate migratorie senza precedenti – si legge -. A proposito dei migranti, ricordiamoci che siamo tutti figli di Abramo, che è stato accolto come straniero nel paese di Seth e ha potuto procurare una sepoltura a sua moglie Sarah. Riteniamo che l’accoglienza dello straniero sia un dovere umano e cristiano primordiale». I partecipanti al Forum fanno tuttavia notare come «l’immigrazione deve anche tenere conto delle reali possibilità del paese ospitante» e che «secondo il diritto internazionale, ogni persona ha il diritto di lasciare il proprio paese e stabilirsi in un altro, a condizione che si impegni a rispettare il diritto e la sovranità dello Stato ospitante». Per questo ribadiscono l’importanza della integrazione che non significa «abbandonare la loro identità umana profonda, ma di viverla nel nuovo contesto del paese ospitante. Affinché l’integrazione sia possibile e una società pluralista risulti vivibile – si legge nel messaggio -, occorre sviluppare una base comune di valori e principi senza i quali la coesione sociale non potrà mai essere conseguita. Questa base comune è costituita dai diritti e dai doveri attribuiti all’essere umano in quanto tale. Deve consentire quelle differenze culturali che non dividono, al contrario arricchiscono il patrimonio comune». Il messaggio mette poi in guardia dalla tendenza purtroppo in atto in molti paesi di relegare gli immigrati nelle periferie delle grandi città, dove «rischiano di costituire dei ghetti e coltivare atteggiamenti di ostilità verso il loro paese ospitante».