Vita Chiesa

Francesco ad Assisi; ai bambini disabili: «in voi le piaghe di Gesù»

Giunto in anticipo all’Istituto, il Papa si è soffermato a lungo – circa 45 minuti – con gli ospiti, accarezzandoli e salutandoli uno a uno. Quindi, dopo i saluti, la sua riflessione, partita dalle parole della presidente del Serafico («Qui viviamo tra le piaghe di Gesù»). «Gesù è nascosto dietro la semplicità e la mitezza di un pane», ed è «nascosto in questi ragazzi, in questi bambini». «Sull’altare adoriamo il pane di Gesù; in loro troviamo le piaghe di Gesù», ha ribadito, sottolineando che «Gesù nascosto nell’eucaristia e Gesù nascosto in queste piaghe hanno bisogno di essere ascoltati» da coloro «che si dicono cristiani», perché «il cristiano sa riconoscere le piaghe di Gesù». Il Cristo, ha ricordato papa Francesco, «quando è risorto era bellissimo, non aveva nel suo corpo né lividi né ferite», ma «ha voluto conservare le piaghe e le ha portate in cielo». «Le piaghe di Gesù – ha proseguito – sono qui e sono in cielo davanti al Padre». Perciò, ha concluso, «noi curiamo le piaghe di Gesù qui e lui dal cielo ci mostra le sue piaghe e dice a tutti noi: ti sto aspettando».«Mettere al centro dell’attenzione sociale e politica le persone più svantaggiate».

«Mettere al centro dell’attenzione sociale e politica le persone più svantaggiate». Questo il messaggio centrale che papa Francesco ha consegnato nel discorso preparato per la prima tappa della sua visita apostolica ad Assisi, l’incontro con i bambini disabili e ammalati ospiti dell’Istituto Serafico. Un testo che il Pontefice ha consegnato, ma non ha letto, parlando unicamente a braccio.

Nel messaggio si fa nuovamente riferimento alla «cultura dello scarto». «La società – si legge – purtroppo è inquinata dalla cultura dello scarto, che è opposta alla cultura dell’accoglienza. E le vittime della cultura dello scarto sono proprio le persone più deboli, più fragili». La cultura dell’accoglienza è invece «in azione» al Serafico. «Certo, anche qui non sarà tutto perfetto, ma si collabora insieme per la vita dignitosa di persone con gravi difficoltà». Il Santo Padre nel suo testo ringrazia «per questo segno di amore che ci offrite», «segno della vera civiltà, umana e cristiana». Poi l’invito a «mettere al centro dell’attenzione sociale e politica le persone più svantaggiate», mentre a volte «le famiglie si trovano sole nel farsi carico di loro».

«Moltiplichiamo le opere della cultura dell’accoglienza – è l’indicazione di papa Francesco -, opere anzitutto animate da un profondo amore cristiano, amore a Cristo Crocifisso, alla carne di Cristo, opere in cui si uniscono la professionalità, il lavoro qualificato e giustamente retribuito» e pure «il volontariato, un tesoro prezioso». «Servire con amore e con tenerezza le persone che hanno bisogno di tanto aiuto ci fa crescere in umanità, perché esse sono vere risorse di umanità» prosegue il testo, sottolineando che «Gesù, nella persona di quel lebbroso», fece capire a san Francesco «ciò che vale veramente nella vita: non le ricchezze, la forza delle armi, la gloria terrena, ma l’umiltà, la misericordia, il perdono».

In conclusione, il Papa riporta la lettera ricevuta da «Nicolás, un ragazzo di 16 anni, disabile fin dalla nascita, che abita a Buenos Aires». Scrive Nicolás: «Tutte le notti, da quando tu me l’hai chiesto, io domando al mio Angelo Custode, che si chiama Eusebio e che ha molta pazienza, di custodirti e di aiutarti. Stai sicuro che lo fa molto bene perché ha cura di me e mi accompagna tutti i giorni!». «In questa lettera, nel cuore di questo ragazzo c’è la bellezza, l’amore, la poesia di Dio. Dio -conclude papa Francesco – che si rivela a chi ha il cuore semplice, ai piccoli, agli umili, a chi noi spesso consideriamo ultimi, anche a voi, cari amici».

L’elicottero del Papa era atterrato ad Assisi con un quarto d’ora di anticipo, alle 7.30. Appena sceso, Papa Francesco – con in mano la sua ormai famosa valigetta nera di pelle – si era diretto a piedi all’Istituto Serafico, che ospita bambini disabili totali fisici e psichici. Il bianco il colore dominante, la commozione degli operatori e dei bambini era palpabile. Il Papa, prima di cominciare il suo primo discorso nella terra di san Francesco, si è fermato a lungo con ciascuno degli ospiti del Serafico, stringendo mani e dispensando carezze e abbracci.

All’atterraggio nel campo sportivo dell’Istituto Serafico di Assisi il Papa è stato accolto dall’arcivescovo di Assisi, monsignor Domenico Sorrentino, dalla presidente della regione Umbria, Catiuscia Marini, Francesco Maria Greco, ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, e da mons. Adriano Bernardini, nunzio apostolico in Italia. Presenti anche il Prefetto di Perugia, Antonio Reppucci, il sindaco di Assisi, Claudio Ricci e il presidente della Provincia di Perugia, Marco Vinicio Guasticchi. Le campane, intanto, suonavano a festa.

«Abbiamo bisogno di essere guardati con occhi diversi. È in gioco la dignità e la vita dell’uomo delle quali tutti siamo responsabili e custodi. Nessuno può essere indifferente». È l’appello lanciato da Francesca Di Maolo, presidente dell’Istituto Serafico, dinanzi a papa Francesco. «L’Istituto si prende cura di bambini e ragazzi con disabilità plurima provenienti da tutto il territorio nazionale»; «qui – ha spiegato – ogni giorno questi nostri fratelli prigionieri del buio, del silenzio, dell’immobilità, affrontano con coraggio e forza le sfide della disabilità. In questo cammino sono sorretti dal sostegno degli operatori che svolgono il proprio servizio con grande professionalità e amore, perché decidere di lavorare al Serafico è prima di tutto una scelta di amore. I nostri ragazzi non conoscono la rassegnazione e ogni loro progresso, ogni autonomia conquistata, anche se piccola, è per noi un richiamo forte alla speranza, un inno di gratitudine alla vita». «Qui la ‘caritas’ non è un dovere, ma un privilegio e un dono», ha aggiunto, auspicando che «in questo periodo di forte crisi economica questi ragazzi senza voce non siano più considerati pietre di scarto e che le loro famiglie invisibili, troppo spesso offese dall’abbandono, non siano viste come un problema da affrontare, ma siano riconosciute come baluardi della vita, capaci di sostenere, curare, assistere, amare».