Vita Chiesa

Francesco in Albania: a leader religiosi, «Uccidere in nome di Dio è sacrilegio»

«Come credenti – ha chiarito -, dobbiamo essere particolarmente vigilanti affinché la religiosità e l’etica che viviamo con convinzione e che testimoniamo con passione si esprimano sempre in atteggiamenti degni di quel mistero che intendono onorare, rifiutando con decisione come non vere, perché non degne né di Dio né dell’uomo, tutte quelle forme che rappresentano un uso distorto della religione. La religione autentica è fonte di pace e non di violenza! Nessuno può usare il nome di Dio per commettere violenza! Uccidere in nome di Dio è un grande sacrilegio! Discriminare in nome di Dio è inumano». La libertà religiosa «non è un diritto che possa essere garantito unicamente dal sistema legislativo vigente». Il Papa ha quindi indicato due atteggiamenti per promuovere la libertà religiosa. Il primo è «vedere in ogni uomo e donna, anche in quanti non appartengono alla propria tradizione religiosa, non dei rivali, meno ancora dei nemici, bensì dei fratelli e delle sorelle».

Un secondo atteggiamento è «l’impegno in favore del bene comune». Per il Pontefice, «è questo un terreno particolarmente fecondo anche per il dialogo interreligioso». A braccio ha aggiunto: «Non si può dialogare se non si parte dalla propria identità. Senza identità non può esistere dialogo. Sarebbe un dialogo fantasma, un dialogo sull’aria: non serve. Ognuno di noi ha la propria identità religiosa, è fedele a quella. Ma il Signore sa come guida la storia. Andiamo dalla propria identità, non facendo finta di averne un’altra: quello non serve. Non aiuta. Quello è relativismo. Quello che ci accomuna è la strada della vita, è la buona volontà – dalla propria identità – di fare il bene ai fratelli e alle sorelle. Fare del bene». Poi, «il dialogo può andare più avanti su questioni teologiche: ma, quello è bello! Ma quello che è più importante è camminare insieme senza tradire la propria identità, senza mascherarla, senza ipocrisia… a me fa bene pensare questo». Poi l’esortazione «a mantenere e sviluppare la tradizione di buoni rapporti tra le comunità religiose esistenti in Albania, e a sentirvi uniti nel servizio alla vostra cara patria». «Tutti insieme – ha ribadito -, per il bene della Patria e dell’umanità! Continuate ad essere segno, per il vostro Paese e non solo, della possibilità di relazioni cordiali e di feconda collaborazione tra uomini di religioni diverse».

Dalla tolleranza alla fratellanza. In precedenza, introducendo l’incontro, monsignor Angelo Massafra, arcivescovo di Scutari-Pult e presidente della Conferenza episcopale albanese, ha indicato gli impegni futuri che attendono i leader delle altre religioni e denominazioni cristiane in Albania. «Passare  – ha detto – dalla tolleranza alla fratellanza; costruire insieme ponti di dialogo e di condivisione per edificare un’Albania migliore; lottare insieme contro i mali odierni come la corruzione, l’immoralità, il consumismo, lo spaccio di droga, la prostituzione, la mafia, la tratta delle donne, le vendette di sangue e altre piaghe che producono ferite profonde e incurabili».  Presenti, oltre ai vescovi cattolici, i responsabili della Chiesa ortodossa autocefala, delle Comunità mussulmana, bektashiana, evangelica ed ebraica. «Nonostante la forte oppressione anti-religiosa e anti-clericale – ha ricordato mons. Massafra – il popolo albanese ha saputo custodire gelosamente la fede e trasmetterla alle nuove generazioni. La testimonianza più alta e più nobile di questo periodo sono stati i nostri martiri. Essi, unitamente ai tanti fratelli Ortodossi e a quelli di fede islamica, hanno preferito essere barbaramente torturati e uccisi piuttosto che rinnegare la loro fede in Dio».

«Siamo convinti – ha detto mons. Massafra – che è proprio grazie alla preghiera e alla testimonianza di apertura e di dialogo dei martiri se, in diverse occasioni, siamo stati salvati da disastrose conseguenze, come fu il caso del marzo 1997, quando si profilò il pericolo di una guerra civile col tentativo da parte di qualcuno di trasformarla in guerra di religione; e il caso dell’agosto del 1998, nell’imminenza dello scoppio della Guerra in Kossovo. In entrambe le circostanze noi responsabili religiosi, fummo promotori di pace e di solidarietà». Tra «le tante iniziative comuni», l’arcivescovo ha ricordato l’istituzione del Consiglio interreligioso; il «Villaggio della pace», a Scutari; la traduzione e la diffusione del messaggio della pace del Papa; la traduzione ecumenica del Nuovo Testamento, grazie all’apporto della Società biblica interconfessionale. Insieme, ha notato mons. Massafra, «possiamo fare di più»: «Possiamo cercare risposte al problema grave della mancanza di lavoro che spinge molte famiglie e soprattutto molti giovani ad emigrare all’estero in cerca di una vita migliore. Insieme, ancora, possiamo fare di più» perché siano favorite le fasce più deboli. «Siamo convinti – ha concluso Massafra – che la comune fede nell’unico Dio potrà essere la sorgente di una forte identità da tutti condivisa e capace di aprirci all’impegno serio per costruire un futuro della nostra Nazione basato».