Vita Chiesa

Francia: card. Barbarin (Lione), «è il momento che si volti pagina e si parti in modo nuovo nella diocesi»

«Il Papa mi ha detto: quando si fa ricorso a un giudizio in appello c’è la presunzione di innocenza e di conseguenza se io accetto le tue dimissioni significa che riconosco che sei colpevole e non posso farlo», riferisce l’arcivescovo. Il Papa aveva già cercato il cardinale prima della sentenza del 7 marzo per essere informato e Barbarin aveva anticipato la sua intenzione di «rimettere la sua missione al Papa» a prescindere dalla sentenza che sarebbe stata emessa. «Trovo che la mia diocesi soffra molto da tanto tempo. Mi aveva colpito una frase di una delle vittime durante il processo: ‘Lei soffre da tre, quatto anni, noi soffriamo da più di quarant’anni’. Pensando a loro e a tutta la diocesi credo sia il momento che si volti pagina, che arrivi un nuovo slancio e si parta in modo nuovo», spiega il cardinale. Il Papa non voleva «prendere la decisione al mio posto», visto che, ha detto Francesco, «non spetta a Roma intervenire sempre e dappertutto. Poiché tu sei il vescovo della tua diocesi se senti che c’è qualcosa di buono che potrebbe portare un po’ di pace lo puoi fare». È la scelta di «una certa distanza, di riposo, di distacco dalla vita a volte tumultuosa, bella, movimentata di questa diocesi. Perché un altro spirito si presenti e si sviluppi».

«Non conoscevo assolutamente nulla del mondo dei tribunali e della giustizia. Ciò che è bello e potente della giustizia francese è che il quadro è chiaro e si è obbligati ad ascoltare gli altri», nel caso specifico le vittime, anche se «ne avevo già incontrate decine e decine, oltre a parenti e figli delle vittime». Nell’intervista concessa all’emittente Kto, il cardinale e arcivescovo di Lione, Philippe Barbarin, torna anche sul processo. «Per parte mia alla sbarra sono stato tre ore e ho risposto in modo chiaro e limpido alle domande su ciò che avevo fatto. Non per dire che avevo fatto bene ma che cosa ho fatto e perché». Sulla decisione di ricorrere in appello spiega: «È un diritto che la Francia mi concede», accolto dietro consiglio di avvocati e procuratori, «e anche il Papa è d’accordo». Quanto al suo considerarsi innocente il cardinale ribadisce: «Io ho spiegato che cosa ho fatto, come l’ho fatto e perché l’ho fatto. Non dico che ho fatto bene. Ho riconosciuto errori che ho fatto, ma non sono quelli che mi sono rimproverati». Ricorda che quando ha incontrato una delle vittime nel novembre 2014 e «mi ha detto la sua tristezza per non aver sporto denuncia, ho proposto di cercare se ci fossero vittime più giovani, cosa che questa persona ha fatto». Ma nessuno dei due aveva pensato che toccasse al cardinale sporgere denuncia e «il procuratore nella prima sentenza ha riconosciuto che la vittima era in grado di poterlo fare». Aggiunge: «Forse è un errore non aver denunciato io e se devo essere condannato va bene». L’articolo del codice penale in base al quale procuratore e tribunale hanno emesso due sentenze diverse è suscettibile di interpretazioni diverse, ma «se deve essere interpretato contro di me, che lo sia, come lo è stato nell’ultima sentenza», dice pacificamente il cardinale. Ma essendoci «uno scarto tra quello che ha detto il procuratore e ciò che ha detto il tribunale, cosa che è normale», di qui la scelta del ricorso in appello.