Vita Chiesa

Giornata delle comunicazioni sociali, arcivescovo Fontana: “Aiutare a formare coscienze libere e forti”

La Giornata delle Comunicazioni Sociali riveste un’occasione utile per far ripensare ai cristiani della nostra Regione e alle Chiese toscane il ruolo del comunicare. Il Vieni e Vedi, le parole proposte da Papa Francesco, sono utili per riflettere che, senza una forte riflessione, rischiamo di mettere in discussione l’unità stessa tra le realtà ecclesiali presenti sul nostro territorio: è un bene prezioso e non discutibile.

Discorrere tra di noi, dialogare con tutti, proporre idee per migliorare l’esistente è parte dell’eredità del Concilio Vaticano II che è nostro compito far rivivere nel contesto attuale, marcato dalla diversità e dalla precarietà: Comunicare incontrando le persone come e dove sono, ci ricorda ancora il tema proposto questa 55^ Giornata mondiale.

Comunicare ovviamente coinvolge i mezzi a nostra disposizione, come quelli che ci vengono dalla tradizione. Dobbiamo molta gratitudine a quanti con intelligente lavoro hanno ravvivato il sistema mediatico delle nostre Chiese toscane.

Il tema merita una riflessione ulteriore: non si tratta sempre e solo di mezzi, ma di cogliere il senso del concetto di comunicazione che, essendo della stessa radice di comunione, non è questione eludibile per noi cristiani. È un argomento che tocca l’identità. Da un po’ di tempo mi pare che ci sia, almeno in alcuni, una certa rassegnazione, come chi pensa d’aver fatto tutto quel che si poteva e, se i tempi sono tali che non si arriva a fare ponti con chi vorremmo raggiungere, pazienza: di più non ci riesce fare. E’ un modo vecchio di ragionare e non è concesso alle Chiese di adottarlo.  Riguarda infatti aspetti molto importanti della nostra missione. Penso per esempio alla catechesi: se non comunica diventa un enorme impiego di forze sprecato per la nostra poca capacità di indirizzo e di ricerca. La Scrittura ci indica, con la paresia degli Apostoli, esattamente il contrario della rassegnazione di fronte alle difficoltà. Il Papa di continuo ci richiama alla missione.

Neppure possono tacitare le coscienze le mutazioni culturali, che stanno avvenendo di continuo. Per aver servito a lungo in Oriente, mi viene in mente il coraggio di Matteo Ricci in Cina, che non mi pare sia ancora stato eguagliato o l’esperienza delle missioni in America Latina, soprattutto quelle ad opera dei Gesuiti. Mi rammento anche delle tribolazioni di Mons. Montini, con il Partito Romano: aveva ragione e poi tutti lo vedemmo.

Chiediamoci per favore quale riflessione globale stiamo facendo sulla questione giovanile. Mai come in questo tempo abbiamo avuto tanto impegno sociologico per leggere il presente, eppure le forme tradizionali di pastorale sono per lo più lasciate all’impegno dei singoli. Non si parla ai più. Ci si conforta con i circoli che ci danno retta. Eppure la storia recente dovrebbe insegnarci che anche chi ci fronteggia, vorrebbe solo una Chiesa più bella, più coerente con il Vangelo. Siamo benedetti: almeno il Vangelo non mi pare che lo contesti seriamente nessuno. Chiediamoci quali obiettivi vogliamo perseguire per passare la fede alla generazione nuova. I segni non mancano. Per esempio medici e infermieri che in pandemia hanno aiutato i moribondi ad affidarsi a Dio e hanno pregato di fronte alla morte in quei terribili scafandri.

Comunicare vuol dire soprattutto aiutare a formare coscienze libere e forti, che è parte del nostro servizio. Facendolo prepareremo Donne e Uomini di qualità, pronti a impegnarsi per il bene comune. Non ripieghiamo sulle tradizioni, sulle devozioni, sul déjà vu, che non comunicano con la gente, ma con il folklore. Non confondiamo la preghiera, con le sue forme. Comunicare ci chiede di avere il coraggio di voltare pagina. Un tempo lo splendore dei mezzi e la potenza delle relazioni di potere forse portavano risultati.

Da prete sessantottino, viceparroco nella periferia romana negli “Anni di Piombo”, ricordo che  avevamo la voglia di non fermarci di fronte alle difficoltà. Mi piace ricordare alcuni pastori capaci di rimotivarci continuamente. Oggi da Vescovo vorrei saper fare altrettanto ritornando a comunicare nella scuola, negli oratori, nelle istituzioni formative. Comunicare si può: cerchiamo di farlo insieme, non nella ricerca del sensazionale che stufa, ma nell’offerta di quei favolosi contenuti che ci fecero raccogliere la sfida e ci fecero vedere che è bello coinvolgerci in questa Chiesa.

Un’ultima parola. Sono figlio di gente di mare: fin da ragazzo ho imparato che se il vento vien di prora, nessuna paura. Basta trovare nel Signore e nella formazione interiore la forza di navigare di bolina e allora non c’è difficoltà che possa fermarci. Questa è la Chiesa che amo, oggi ancor più di quando, diciottenne, entrai nel mio bellissimo seminario di Pisa

Arcivescovo Riccardo Fontana

Vescovo di Arezzo, Cortona e Sansepolcro