Vita Chiesa

Gmg, Francesco al Celam: «Missione chiede riforma e appartenenza ecclesiale»

Come era avvenuto per l’incontro con l’episcopato brasiliano, il Santo Padre ha svolto un intervento piuttosto corposo (15 cartelle), all’inizio del quale ha fatto ancora esplicito riferimento alla Conferenza dell’episcopato continentale di Aparecida, del maggio 2007, i cui esiti continuano ad animare il Celam “per l’anelato rinnovamento delle Chiese particolari”. Il Pontefice ha ribadito il “patrimonio ereditato” da Aparecida, per poi sottolineare che la Missione continentale “si proietta in due dimensioni: programmatica e paradigmatica”. La missione programmatica, “come indica il suo nome, consiste nella realizzazione di atti di indole missionaria. La missione paradigmatica, invece, implica il porre in chiave missionaria le attività abituali delle Chiese particolari”.

Da qui scaturisce, ha segnalato Jorge Mario Bergoglio, “tutta una dinamica di riforma delle strutture ecclesiali”. Ma il cambiamento delle strutture, “da caduche a nuove”, “non è frutto di uno studio sull’organizzazione dell’impianto funzionale ecclesiastico, da cui risulterebbe una riorganizzazione statica, bensì è conseguenza della dinamica della missione. Ciò che fa cadere le strutture caduche, ciò che porta a cambiare i cuori dei cristiani, è precisamente la missionarietà. Da qui l’importanza della missione paradigmatica”. La Missione ecclesiale esige, ha proseguito il Papa, di “generare la coscienza di una Chiesa che si organizza per servire tutti i battezzati e gli uomini di buona volontà. Il discepolo di Cristo non è una persona isolata in una spiritualità intimista, ma una persona in comunità per darsi agli altri. Missione continentale implica pertanto appartenenza ecclesiale”. Il Papa ha dunque esplicitato le “sfide vigenti della missionarietà del discepolato”, evidenziandone due: il rinnovamento interno della Chiesa e il dialogo con il mondo attuale. Circa il rinnovamento della Chiesa, Francesco ha spiegato che “Aparecida ha proposto come necessaria la conversione pastorale”, che “implica credere nella Buona novella, credere in Gesù Cristo portatore del Regno di Dio, nella sua irruzione nel mondo, nella sua presenza vittoriosa sul male, credere nell’assistenza e guida dello Spirito Santo, credere nella Chiesa, Corpo di Cristo e prolungatrice del dinamismo dell’incarnazione”.

Parlando ai vescovi del Celam, il Papa ha posto una serie di interrogativi; domande – ha precisato – che “servono da guida per esaminare lo stato delle diocesi nell’assunzione dello spirito di Aparecida”. “Facciamo in modo che il nostro lavoro e quello dei nostri presbiteri sia più pastorale che amministrativo? Chi è il principale beneficiario del lavoro ecclesiale, la Chiesa come organizzazione o il popolo di Dio nella sua totalità?”; “Promuoviamo spazi e occasioni per manifestare la misericordia di Dio?”; “Siamo consapevoli della responsabilità di riconsiderare le attività pastorali e il funzionamento delle strutture ecclesiali, cercando il bene dei fedeli e della società?”; “Nella pratica, rendiamo partecipi della missione i fedeli laici? Offriamo la Parola di Dio e i Sacramenti con la chiara coscienza e convinzione che lo Spirito si manifesta in essi?”. Ancora: “È un criterio abituale il discernimento pastorale, servendoci dei Consigli diocesani”, “parrocchiali” e “degli Affari economici” (definiti “spazi reali per la partecipazione laicale”), dove, ha detto il Papa, “siamo molto in ritardo”? In tutti questi ambiti, ha subito aggiunto il Santo Padre, “sono in gioco gli atteggiamenti”; per questo la conversione pastorale concerne prioritariamente “una riforma di vita”.

La Chiesa è inoltre chiamata a un serrato “dialogo con il mondo attuale”, come indica, ha segnalato Bergoglio citando la “Gaudium et spes”, il Concilio Vaticano II. “La risposta alle domande esistenziali dell’uomo di oggi, specialmente delle nuove generazioni, prestando attenzione al loro linguaggio, comporta un cambiamento fecondo che bisogna percorrere con l’aiuto del Vangelo, del magistero e della Dottrina sociale della Chiesa”. A questo punto il Papa ha svolto una lunga puntualizzazione su “a lcune tentazioni contro il discepolato missionario”, citando in primo luogo la “ideologizzazione del messaggio evangelico”, secondo cui si cerca di interpretare il Vangelo “al di fuori dello stesso messaggio del Vangelo e al di fuori della Chiesa”. Il Papa ha anche esemplificato talune forme di ideologizzazione del messaggio di Gesù presenti nella Chiesa latinoamericana: il “il riduzionismo socializzante”, “l’ideologizzazione psicologica”, la “proposta gnostica”, la “proposta pelagiana”, che “appare fondamentalmente sotto forma di restaurazione”. Oltre alla ideologizzazione del messaggio evangelico, altre tentazioni che ostacolano la missione risiedono nel “funzionalismo” (“riduce la realtà della Chiesa alla struttura di una ong”) e nel 8 “clericalismo”. A tale riguardo il Papa ha specificato: “Nella maggioranza dei casi, si tratta di una complicità peccatrice: il parroco clericalizza e il laico gli chiede per favore che lo clericalizzi, perché in fondo gli risulta più comodo”. Infine il Papa, nel suo discorso al Celam, diffuso in versione integrale in spagnolo e in inglese dalla Radio Vaticana, ha fornito “alcuni criteri ecclesiologici” per la Missione continentale. Il primo è il “discepolato-missionario”, che è “vocazione”, “chiamata”, “invito”, sempre “in tensione” perché “non esiste il discepolato missionario statico”; è aperto alla trascendenza perché esso “non ammette l’autoreferenzialità: o si riferisce a Gesù Cristo o si riferisce al popolo a cui si deve annunciare”. Ancora: “La posizione del discepolo missionario non è una posizione di centro bensì di periferie: vive in tensione verso le periferie” ed è “decentrato” perché “il centro è Gesù Cristo, che convoca e invia”. Allo stesso modo la Chiesa non si deve erigere a “centro”, altrimenti “da serva si trasforma in controllore. Aparecida vuole una Chiesa sposa, madre, serva, facilitatrice della fede e non controllore della fede”. Infine ancora qualche richiamo sulla figura del vescovo, chiamato a “condurre” la comunità, “che non è la stessa cosa che spadroneggiare”. “I vescovi – ha proseguito Papa Francesco – devono essere pastori, vicini alla gente, padri e fratelli, con molta mansuetudine; pazienti e misericordiosi. Uomini che amano la povertà, tanto la povertà interiore come libertà davanti al Signore, quanto la povertà esteriore come semplicità e austerità di vita. Uomini che non abbiano ‘psicologia da príncipi’. Uomini che non siano ambiziosi e che siano sposi di una Chiesa senza stare in attesa di un’altra. Uomini capaci di vegliare sul gregge che è stato loro affidato”.