Vita Chiesa

I martiri coreani esempio per la Chiesa di oggi

“L’esempio dei martiri ha molto da dire a noi, che viviamo in società dove, accanto a immense ricchezze, cresce in modo silenzioso la più abbietta povertà; dove raramente viene ascoltato il grido dei poveri; e dove Cristo continua a chiamare, ci chiede di amarlo e servirlo tendendo la mano ai nostri fratelli e sorelle bisognosi”. Erano circa un milione i fedeli che questa mattina si sono ritrovati in piazza Gwanghwamun, a Seoul, per partecipare alla Messa di beatificazione di Paolo Yun Ji-Chung e 123 compagni martiri, uno degli appuntamenti più attesi del viaggio di Papa Francesco in Corea del Sud. Dai martiri, specchio e modello di vita cristiana, la Corea cerca un nuovo fermento spirituale per fronteggiare la sua crescente secolarizzazione, così da non disperderne la testimonianza. Le parole del Papa sono state, per questo, un forte richiamo ai cristiani locali a riscoprire le proprie radici in una terra dove il Vangelo è arrivato non grazie ai missionari ma a semplici laici, uomini di cultura che alla fine del XVIII secolo, affascinati dal Cristianesimo, presero a studiarlo e a diffonderlo; da materia accademica a realtà religiosa a tutti gli effetti. Un caso unico nella storia.

I primi fedeli si riunivano nelle case e proprio quando le prime comunità si stavano consolidando cominciarono le persecuzioni. Almeno cento anni dei 230 di storia della Chiesa coreana sono stati caratterizzati da persecuzioni con migliaia di martiri. La loro testimonianza, ha detto il Pontefice, “continua a portare frutti anche oggi ed esorta a ricordare le grandi cose che Dio ha compiuto in questa terra e a custodire come tesoro il lascito di fede e di carità a voi affidato dai vostri antenati”. Soprattutto quando “sperimentiamo come la nostra fede è messa alla prova dal mondo, e in moltissimi modi ci vien chiesto di scendere a compromessi, di diluire le esigenze radicali del Vangelo e conformarci allo spirito del tempo”. I martiri, ha ribadito Francesco, “ci richiamano a mettere Cristo al di sopra di tutto e a vedere tutto il resto in questo mondo in relazione a Lui. Essi ci provocano a domandarci se vi sia qualcosa per cui saremmo disposti a morire”. Il loro esempio “insegna l’importanza della carità nella vita di fede e può ispirare tutti gli uomini e le donne di buona volontà a operare in armonia per una società più giusta, libera e riconciliata, contribuendo così alla pace e alla difesa dei valori umani in questo Paese e nel mondo intero”.

Se si guarda alla Chiesa coreana risalta subito il ruolo dei laici, uomini e donne, cui Francesco si è rivolto nel pomeriggio, nel corso dell’incontro con l’apostolato laico a Kkottongnae, 120 chilometri fuori Seoul. Agli oltre 150 leader presenti Francesco ha ribadito che “la Chiesa ha bisogno di una testimonianza credibile dei laici alla verità salvifica del Vangelo e alla sua fecondità nell’edificare la famiglia umana in unità, giustizia e pace. Ogni cristiano battezzato ha un ruolo vitale in questa missione”. “La fecondità della fede – ha detto Papa Bergoglio – si esprime in solidarietà concreta nei confronti dei nostri fratelli e sorelle, senza alcun riguardo alla loro cultura e allo stato sociale, poiché in Cristo ‘non c’è greco o giudeo’”. Francesco, tuttavia, ha tenuto a specificare che “questa attività non si esaurisce con l’assistenza caritativa, ma deve estendersi anche a un impegno per la crescita umana. Assistere i poveri è cosa buona e necessaria, ma non è sufficiente. Vi incoraggio – ha detto ai leader presenti – a moltiplicare i vostri sforzi nell’ambito della promozione umana, cosicché ogni uomo e ogni donna possa conoscere la gioia che deriva dalla dignità di guadagnare il pane quotidiano, sostenendo così le proprie famiglie”. Un appello che acquista ancora più valore perché lanciato da Kkottongnae, dove si trova “Casa della speranza”, un centro caritativo che accoglie molte persone abbandonate perché malate o disabili. Un contributo essenziale quello dei laici coreani che deve, tuttavia, essere alimentato con una “formazione più completa, mediante una catechesi permanente e la direzione spirituale”. Ma soprattutto, è stata la richiesta esplicita di Bergoglio, “agendo in completa armonia di mente e di cuore con i vostri pastori, cercando di porre le vostre intuizioni, i talenti e i carismi al servizio della crescita della Chiesa”. Il futuro della Chiesa in Corea, come in tutta l’Asia, ha rimarcato il Papa, “dipenderà in larga parte dallo sviluppo di una visione ecclesiologica fondata su una spiritualità di comunione, di partecipazione e di condivisione dei doni”.

*inviato del Sir in Corea