Vita Chiesa

I misteri della fede/2: la Trinità

di Riccardo BigiQuante volte, da bambini, ci siamo scontrati con questo rompicapo durante gli incontri di catechismo. Un solo Dio, formato da tre persone: come è possibile? Padre, Figlio e Spirito Santo, risponde la dottrina cattolica, partecipano di un’unica sostanza divina, pur essendo ciascuno una persona distinta.

La questione resta comunque un mistero, forse il più oscuro, della fede cristiana. Su di esso nacque, nei primi secoli della storia della Chiesa, un feroce dibattito che dette vita anche a movimenti ereticali. C’era chi, prendendo spunto dall’unicità di Dio, negava la divinità di Gesù, chi invece negava che tra Padre e Figlio ci fosse alcuna differenza.

«Per il linguaggio umano – spiega don Angelo Pellegrini, docente di teologia trinitaria alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale – è difficile trovare la risposta. Il linguaggio cristiano si è evoluto nel corso dei secoli: all’inizio ha dovuto cercare le parole giuste per esprimere i misteri della fede, poi ripulirle dai significati che potevano generare confusione».

La prima formulazione del mistero trinitario è del Concilio di Nicea, convocato proprio per fare chiarezza sui mille dubbi che stavano dilaniando la Chiesa. In quell’occasione fu stabilito con chiarezza che Padre e Figlio sono due persone distinte, e sono entrambi Dio: non due divinità, ma un unico Dio. Più tardi, al Concilio di Costantinopoli, si dirà che anche lo Spirito Santo è Dio, ma che Dio è uno solo.«Da queste prime affermazioni – spiega don Pellegrini – la fede trinitaria è cresciuta nella coscienza della Chiesa. E si è arrivati al Concilio Vaticano II che, con la Lumen Gentium, afferma in modo molto bello che l’uomo è fatto non solo a immagine e somiglianza di Dio, ma a immagine di un Dio trinitario: per cui, il vivere la comunione fa parte dell’essenza stessa dell’uomo».

Da questa concezione deriva l’indicazione della Trinità come modello per la Chiesa: la cosiddetta «ecclesiologia di comunione», la concezione della Chiesa come comunità dei credenti, devono molto alla teologia trinitaria. C’è addirittura chi ha pensato di proporre la Trinità come modello sociale, per una società basata sulla comunione e sull’amore. Ma l’abitudine più consueta, e più antica, è quella di indicare la Trinità come modello della famiglia. Un’immagine, afferma don Pellegrini, che risale addirittura al medioevo, a Riccardo di San Vittore. Questo antico teologo illustra così il mistero della Trinità: se indichiamo Dio come sommo amore, c’è bisogno di almeno due persone (il Padre e il Figlio) che si scambiano questo amore. Non solo: l’amore non può restare confinato e rinchiuso, ha bisogno di aprirsi: c’è bisogno quindi di una terza persona (lo Spirito Santo) verso cui questo amore si riversa. Nella Trinità dunque trova modo di esprimersi e circolare l’amore di Dio, così come nella famiglia si esprime e si concretizza l’amore umano.

«Questo modo di fare teologia – sottolinea don Pellegrini – ci riconcilia con un modo a volte troppo filosofico, troppo astratto di parlare della Trinità. La teologia ha bisogno, per volare, di due grandi ali: una è l’ala filologica, filosofica, quella che utilizza metodi scientifici. L’altra ala è la dimensione della fede, che nella misura in cui diventa anche esperienza mistica, contemplativa, dà un’anima anche alla scienza».

Nella contemplazione quindi si trovano quelle risposte che la ragione, a volte, fa fatica a comprendere. «La teologia si è occupata molto della Trinità – afferma ancora don Pellegrini – basta ricordare le numerose pagine che a questo tema ha dedicato Sant’Agostino. È più raro, purtroppo, trovare esperienze mistiche legate alla Trinità: ci sono però alcuni santi che hanno fatto, della contemplazione della Trinità il centro della loro vita religiosa».

Bellissima ad esempio è la pagina in cui si racconta l’esperienza della beata Angela da Foligno, una mistica del tredicesimo secolo, terziaria francescana, che ebbe la grazia di contemplare il Dio uno e trino. Al termine di un lungo cammino penitenziale, costellato di segni e di visioni, si sentì dire da Dio: «Figlia della pace, in te riposa tutta la Trinità, tutta la verità, di modo che tu possiedi me e io posseggo te». Al frate che la interroga, la beata Angela racconta: «Ebbi un’ispirazione e fui rapita, perché gustassi il piacere che c’è nella contemplazione della divinità e dell’umanità di Cristo. Allora provai una consolazione più grande di quelle precedenti, tanto che per gran parte della giornata restai in piedi nella cella dove stavo rinchiusa a pregare da sola, e il mio cuore rimase in quel piacere». Questa giovane donna ode due voci: una che dice «Io sono lo Spirito Santo», e una che dice «Io per te fui crocifisso». E alle sue domande, Dio le risponde: «La Trinità è venuta in te». Non sa offrire, la Beata Angela, maggiori spiegazioni, non sa dire come questo sia stato possibile. Sulla «inabitazione della Trinità» nell’uomo sono stati scritti fiumi di parole, ma l’esperienza di questa donna resta la testimonianza più bella e più toccante.«Sarebbe bello – conclude don Pellegrini – che anche nella catechesi si tornasse a parlare di chi ha fatto esperienza di Dio, si raccontasse la vita dei grandi santi, si leggessero le parole dei mistici. A volte i nostri incontri sono troppo incentrati sui temi della morale, che sono importanti ma che rischiano di distrarre l’attenzione dalle grandi domande della fede». La fede della Chiesa: «una sola e medesima sostanza»Tutti gli interpreti cattolici dei Libri sacri dell’Antico Testamento e del Nuovo che hanno scritto prima di me sulla Trinità di Dio e che io ho potuto leggere, questo intesero insegnare secondo le Scritture: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo con la loro assoluta parità in una sola e medesima sostanza mostrano l’unità divina e pertanto non sono tre dèi, ma un Dio solo, benché il Padre abbia generato il Figlio e quindi non sia Figlio colui che è Padre; benché il Figlio sia stato generato dal Padre e quindi non sia Padre colui che è Figlio; benché lo Spirito Santo, non sia né Padre né Figlio ma solo lo Spirito del Padre e del Figlio, pari anch’egli al Padre e al Figlio, appartenente con essi all’unità della Trinità. Tuttavia non la Trinità medesima nacque dalla vergine Maria, fu crocifissa e sepolta sotto Ponzio Pilato, risorse il terzo giorno ed ascese al cielo, ma il Figlio solamente. Così non la Trinità medesima scese in forma di colomba su Gesù nel giorno del suo battesimo o nel giorno della Pentecoste, dopo l’ascensione del Signore, si posò su ciascuno degli Apostoli, con il suono che scendeva dal cielo come fragore di vento impetuoso e mediante distinte lingue di fuoco, ma lo Spirito Santo solamente. Né infine la medesima Trinità pronunciò dal cielo le parole: Tu sei il Figlio mio, quando Gesù fu battezzato da Giovanni, o sul monte quando erano con lui i tre discepoli, oppure quando risuonò la voce dicendo: L’ho glorificato e ancora lo glorificherò, ma era la voce del Padre solamente che si rivolgeva al Figlio, sebbene il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo operino inseparabilmente, come sono inseparabili nel loro stesso essere. Questa è la mia fede, perché questa è la fede cattolica.Sant’Agostino Ma le parole restano al di qua del misteroDio trascende ogni creatura. Occorre dunque purificare continuamente il nostro linguaggio da ciò che ha di limitato, di immaginoso, di imperfetto per non confondere il Dio «ineffabile, incomprensibile, invisibile, inafferrabile» (san Giovanni Crisostomo) con le nostre rappresentazioni umane. Le parole umane restano sempre al di qua del Mistero di Dio.Dal Catechismo della Chiesa Cattolica, . 42 La preghiera di Santa Elisabetta:«Miei Tre, immensità in cui mi perdo»Elisabetta della Trinità è una grande mistica francese, morta nel 1906 ad appena 26 anni. Seppe penetrare l’essenza dell’Amore di Dio vivendo in intima comunione con i suoi «Tre», come Elisabetta si esprimeva familiarmente parlando della Trinità, perno della sua vita di oblata claustrale carmelitana. Alla Trinità ha dedicato una famosa preghiera. Dio Dio, Trinità che adoro, aiutatemi a dimenticarmi interamente, per fissarmi in voi, immobile e quieta come se la mia anima fosse già nell’eternità; che nulla possa turbare la mia pace o farmi uscire da voi, mio immutabile Bene, ma che ogni istante mi porti più addentro nella profondità del vostro mistero. Pacificate la mia anima, fatene il vostro cielo, la vostra dimora preferita e il luogo del riposo; che io non vi lasci mai solo, ma sia là tutta quanta, tutta desta nella mia fede, tutta in adorazione, tutta abbandonata alla vostra azione creatrice.O miei TRE, mio Tutto, mia Beatitudine, Solitudine infinita, Immensità in cui mi perdo, mi consegno a Voi come una preda.Seppellitevi in me, perché io mi seppellisca in Voi, in attesa di venite a contemplare, nella vostra luce, l’abisso delle vostre grandezze.Elisabetta della Trinità

Misteri della fede/1: Quando i figli se ne vanno in cielo