Vita Chiesa

Il Papa che ha «spalancato a Cristo» le porte del mondo

di Fabio Zavattaro

Parlano lingue diverse; sono volti giovani e meno giovani; portano scarpe da ginnastica, sandali da frate, jeans e un velo da monaca. Non esistono differenze tra loro perché chi li ha convocati in piazza San Pietro è il Papa che ha detto loro di non aver paura. Sono passati sei anni e 29 giorni dalla morte – dal passaggio «di vita in vita» – di Giovanni Paolo II. E loro sono tornati con i sacchi a pelo, con le bandiere; con i loro canti e con la loro gioia. L’abbraccio delle colonne berniniane fa fatica a contenerli e così eccoli lungo via della Conciliazione, al Circo Massimo.

«Tante volte ci hai benedetto in questa piazza dal Palazzo. Oggi, ti preghiamo: Santo Padre, ci benedica». Benedetto XVI aggiunge queste parole al testo scritto della sua omelia per la messa di beatificazione di Giovanni Paolo II. Raccoglie così il pensiero e il desiderio di quanti sono venuti per ricordare il Papa venuto da un Paese lontano. Oggi è il successore di papa Wojtyla ed è stato uno dei più stretti collaboratori del nuovo Beato: «Per 23 anni ho potuto stargli vicino e venerare sempre più la sua persona». E già in quella parola si respira quel «profumo di santità» che aleggiava fin dal giorno dei funerali, con quel grido prolungato venuto dalla piazza: santo subito.

Ci sono una novantina di delegazioni ufficiali: re, principi, capi di Stato e di governo, politici e ambasciatori. Ma c’è soprattutto il popolo di papa Wojtyla, quanti lo hanno accompagnato pellegrino per le strade del mondo; accolto nelle piazze e nelle chiese. Quanti hanno sofferto e pregato nei giorni dei ricoveri al Gemelli, e quanti hanno pianto in quella sera del 2 aprile 2005: «Profondo era il dolore per la perdita, ma più grande ancora era il senso di una immensa grazia che avvolgeva Roma e il mondo intero: la grazia che era come il frutto dell’intera vita del mio amato predecessore, e specialmente della sua testimonianza nella sofferenza».

È la domenica della Divina Misericordia, la festa che proprio papa Wojtyla ha voluto introdurre nel giorno in cui la Chiesa ricorda la prima domenica dopo Pasqua, la domenica in albis. Ed è nei primi vespri della Divina Misericordia che Giovanni Paolo II si è spento, alle 21.37 di 6 anni fa. «Ed ecco che il giorno atteso è arrivato; è arrivato presto, perché così è piaciuto al Signore: Giovanni Paolo II è Beato». Lui, il Papa che nella storia della Chiesa ha elevato agli onori degli altari il maggior numero di Beati e Santi, è entrato a pieno titolo nella schiera di coloro che ci ricordano «con forza la vocazione universale alla misura alta della vita cristiana, alla santità».

Inizia il suo ministero di pastore universale, chiamato ad accompagnare la Chiesa nel terzo millennio, portandosi dietro una duplice riflessione: da un lato, l’idea che l’Europa dovesse essere una, unita dall’Atlantico agli Urali; la seconda, che il confronto tra marxismo e cristianesimo dovesse essere incentrato sull’uomo. È in questa logica che va letto il primo grande appello di papa Wojtyla, pronunciato nel giorno d’inizio pontificato: «Non abbiate paura. Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo». Commenta papa Benedetto: «Quello che il neo-eletto Papa chiedeva a tutti, egli stesso lo ha fatto per primo: ha aperto a Cristo la società, la cultura, i sistemi politici ed economici, invertendo con la forza di un gigante – forza che gli veniva da Dio – una tendenza che poteva sembrare irreversibile». Lui, figlio della nazione polacca, «ha aiutato i cristiani di tutto il mondo a non avere paura di dirsi cristiani, di appartenere alla Chiesa, di parlare del Vangelo. In una parola: ci ha aiutato a non avere paura della verità, perché la verità è garanzia della libertà».

Di più: «Quella carica di speranza che era stata ceduta in qualche modo al marxismo e all’ideologia del progresso, egli l’ha legittimamente rivendicata al cristianesimo, restituendole la fisionomia autentica della speranza, da vivere nella storia con uno spirito di avvento, in un’esistenza personale e comunitaria orientata a Cristo, pienezza dell’uomo e compimento delle sue attese di giustizia e di pace».

Ricorda infine Benedetto XVI i giorni della sofferenza e della malattia di papa Wojtyla e dice: «Il Signore lo ha spogliato pian piano di tutto, ma egli è rimasto sempre una roccia». E proprio la sua «profonda umiltà, radicata nell’intima unione con Cristo, gli ha permesso di continuare a guidare la Chiesa e a dare al mondo un messaggio ancora più eloquente proprio nel tempo in cui le forze fisiche gli venivano meno».