Vita Chiesa

Il dialogo ecumenico non è più solo una scelta

di Claudio TurriniQuello che i cristiani non hanno avuto la forza di fare da soli – l’unità dei credenti in Cristo –, saranno costretti a farlo dalla storia. Già oggi in Italia i cristiani non cattolici sono più di un milione. In gran parte sono ortodossi che migrano da Moldavia, Romania, Ucraina. Arrivano qui e pongono un problema non solo ai cattolici, che fino ad oggi non avevano una reale percezione di queste divisioni, ma all’Ortodossia stessa, che al suo interno è ancora divisa e litigiosa.

«Questo aumento massiccio di fedeli ortodossi nel nostro Paese – osserva il giovane archimandrita greco-ortodosso Athenagoras Fasiolo, che tra i suoi incarichi ha anche quello di parroco a Livorno – ci ha posto una serie di interrogativi che ci chiedono di verificare le nuove necessità pastorali e sociali dei nostri fedeli e di aprire strade nuove al dialogo ecumenico». Cambiamenti da far dire all’archimandrita Nilos Vatopedinos, vicario arcivescovile per le Calabrie e la Sicilia che questa «confusione di popoli» è una «grazia di Dio», perché rimescola le carte, interpella le coscienze, abbatte muri secolari. La vera unione, ha proseguito l’archimandrita di rito ucraino, non la faranno il Papa e i Patriarchi, ma verrà dalla «base», «grazie all’affinamento dell’amore reciproco». «Saremo giudicati non per i titoli accademici ma perché abbiamo dato da mangiare, abbiamo condiviso la fatica, abbiamo offerto segni di speranza».

Di questi temi si è parlato nei giorni scorsi a Ravenna al convegno nazionale della Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici) su «Il dialogo ecumenico nella nuova Europa. Ravenna, ponte tra oriente e Occidente», organizzato in occasione del centenario del settimanale «Risveglio 2000».

I lavori sono stati aperti giovedì 5 maggio dal segretario generale del Ccee (Consiglio delle Conferenze episcopali europee), mons. Aldo Giordano, che ha chiarito bene il dibattito sul mancato riconoscimento delle radici cristiane nel Trattato costituzionale europeo. Certo hanno pesato «contrasti ideologici già piuttosto datati» e «l’autoritarismo di un certo laicismo», ma soprattutto «una incomprensione di fondo del fatto religioso e cristiano».

E questo chiama in causa i cristiani stessi e la loro «incapacità di mostrare che non si tratta di difendere dei privilegi» o «lo sfruttamento della religione o del nome di Dio per posizioni violente come nel caso della guerra dell’Iraq». «Ma certamente la divisione fra le Chiese – ha proseguito mons. Giordano – è uno degli ostacoli più grandi per una profonda comprensione del cristianesimo». Poi c’è un problema più complesso che è quello del significato che si dà a certe parole. La lista dei valori citati all’articolo 2 del Trattato costituzionale, ha osservato il segretario della Ccee, «sono pienamente condivisibili», ma nello stesso tempo ambigui: «Nel nome dello stesso valore si possono sostenere posizioni del tutto contrarie: per esempio, la dignità umana viene citata sia contro l’aborto e l’eutanasia, sia a favore dell’aborto e dell’eutanasia». E anche questo interpella i cristiani e le loro divisioni perché su temi come quelli della bioetica, il mondo evangelico e riformato è assai distante da cattolici e ortodossi.

A Ravenna, «ponte» naturale tra Oriente e Occidente, con i suoi tesori d’arte e la sua storia, si è parlato anche di quelle chiese che sono già di per sé un «ponte» come la comunità di Piana degli Albanesi, giunta in Italia al tempo dell’invasione ottomana nei Balcani, e che da 600 anni ha mantenuto il rito bizantino. Oggi questa piccola comunità (30 mila fedeli), come ha sottolineato l’eparca Sotir Ferrara, ha «come vocazione l’impegno a far rivivere nel nostro Paese la spiritualità del cristianesimo orientale». Più critica e problematica la voce del pastore Domenico Tomasetto, già presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, che ha insistito sull’Europa, che al di là del mancato riferimento nella costituzione, è «pluralmente cristiana»: «le singole chiese cristiane – ha osservato – non possono far finta che nulla sia cambiato e che oltre la propria chiesa non esista nient’altro». Dal suo intervento è trapelata anche una certa diffidenza verso il nuovo pontefice e le sue posizioni sul «relativismo», contro il quale ritiene pericoloso contrapporre un’«intransigenza teologica ed etica» e la contestazione di quella distinzione tra «chiese» vere e «comunità ecclesiali» contenuto nell’enciclica «Dominus Jesus».

La proposta:«Roma torni a riconoscere il Concilio di Firenze»«La Chiesa cattolica torni a dichiarare solennemente di riconoscere il Fiorentino come un concilio ecumenico pienamente valido e quindi di considerare per parte sua le sue decisioni come vincolanti ancora oggi». È questa la proposta lanciata – a titolo personale – da Giovanni Cereti, docente di teologia ecumenica al «San Bernardino» di Venezia, nel suo intervento al convegno Fisc di Ravenna. A differenza del Concilio di Lione del 1274, che volle essere «un concilio di unione» e che pertanto non fu mai riconosciuto dalla Chiesa Ortodossa, quello di Firenze, che giunse ad un accordo completo sul piano dottrinale, ebbe fin dal XV secolo «il titolo di “ottavo ecumenico”».

Il rifiuto della sua «ecumenicità» – ha proseguito Cereti – è storicamente piuttosto recente ed anche in se stesso problematico. Non fu infatti tutta la Chiesa cristiana del XV secolo a non accettare il Fiorentino, ma una parte della Chiesa dell’Oriente cristiano». E poiché questa mancata recezione da parte degli Ortodossi fu dovuta soprattutto all’interpretazione sbagliata in senso «unionista» che si volle darne in Occidente, «la Chiesa cattolica potrebbe anche ribadire che essa oggi recepisce il Fiorentino nella sua integrità, con il riconoscimento contenuto nella bolla d’unione dei rapporti tra le Chiese quali esistevano nell’epoca precedente la separazione, e quindi senza pregiudizio per la piena autonomia delle Chiese, là dove si afferma di riconoscere e di rinnovare “l’ordinamento tramandato dai canoni da osservare tra gli altri venerabili patriarchi… senza alcun pregiudizio per i loro privilegi e diritti” (Concilio di Firenze, sessione VI)».

Così facendo la Chiesa cattolica si potrebbe considerare ancora in comunione con l’Oriente. E questo potrebbe «costituire un fondamento anche per ammettere la legittimità per i cattolici di partecipare alla comunione eucaristica nelle due Chiese e di ammettere gli orientali che liberamente lo desiderano alla propria eucarestia».

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