Vita Chiesa

Il segreto di padre Lido Mencarini, il prete lucchese che salvò gli ebrei

di Giancarlo PolitiMissionario del Pime

A Hong Kong il lucchese padre Lido Mencarini (nella foto), scomparso nel maggio di due anni or sono, ha lasciato una traccia profonda: tra i confratelli del Pime, nella Chiesa locale e fra la gente comune. Chi scrive lo può testimoniare, avendo lavorato insieme a lui per anni nell’ex colonia britannica. Di padre Lido molti hanno imparato ad apprezzare, lungo i suoi 58 anni di servizio missionario, l’attenzione amorevole alle persone, la delicatezza d’animo, unita a un atteggiamento di umiltà e discrezione.

Dietro quel velo di riservatezza, padre Lido ha custodito per decenni un segreto, che nemmeno noi confratelli conoscevamo, relativo ai suoi sette anni passati a Cantù (in provincia di Como), dal 1941 al 1947, prima della partenza alla volta della terra cinese. In quel periodo, padre Lido, che era stato nominato coadiutore dell’oratorio di San Paolo, si è reso protagonista del salvataggio di decine di antifascisti ed ebrei condannati alla deportazione. Con uno stratagemma era riuscito a infiltrare un suo giovane nella questura di Como; grazie a quella preziosa «fonte» riusciva ad avere in anticipo i nomi dei predestinati al lager e a organizzarne la fuga. I falsi documenti per facilitare l’espatrio (la Svizzera è a pochi chilometri) venivano realizzati negli scantinati della parrocchia, mentre in chiesa, dietro una cappella dedicata alla Madonna, venivano nascosti i ricercati.

Di questa bella vicenda di coraggio e dedizione (che ha spinto i giornali locali a parlare di lui come del «Perlasca canturino») padre Lido accennò di sfuggita solo in occasione della celebrazione dei suoi 90 anni. Se ne siamo venuti a conoscenza è grazie all’iniziativa di un gruppo di ex giovani dell’oratorio di Cantù che hanno raccolto testimonianze e si sono mossi presso l’amministrazione comunale perché la figura di padre Lido fosse conosciuta e riscoperta. Sono arrivate, così, negli anni scorsi prima una benemerenza civica e, di recente, l’assegnazione della cittadinanza onoraria al sacerdote toscano. Il quale, stando al racconto dei testimoni, si è distinto per coraggio e determinazione. Impressionante, fra i tanti, il racconto di Aldo Moscatelli: «I tedeschi depredarono una coppia ebrea di soldi e gioielli. Poi gettarono marito a moglie in una fossa ricoprendoli di terra. Padre Lido si precipitò sul posto e scavò. Per l’uomo non c’era più nulla da fare. Ma la donna era ancora in vita. Sepolta viva. E padre Lido così la salvò». Durante la cerimonia dell’attribuzione della cittadinanza onoraria alla memoria, avvenuta nei giorni scorsi a Cantù, tra i presenti (non pochi dei quali ex giovani dell’Oratorio «salvati» da padre Lido), si respirava un senso di grande commozione e gratitudine per questo missionario dal tratto gentile e schivo. Particolarmente toccante la lettura del testamento spirituale che padre Lido scrisse nel marzo 2000, fatta da suor Anna Giudici, che da decenni lavora in un lebbrosario in Bangladesh. È proprio grazie a padre Mencarini e alla sua contagiosa testimonianza di fede che questa giovane canturina nel lontano 1955 decise di consacrare la vita alla missione.

Ora la targa che ricorda l’evento, consegnatami quella mattina in rappresentanza del Pontificio Istituto Missioni Estere, è a Hong Kong, nella terra che padre Lido ha servito per tanti anni con amore intelligente e fedele, ricoprendo incarichi molto importanti e delicati. Egli, infatti, si è trovato ad affrontare un momento difficile della storia di Hong Kong, che negli anni Cinquanta-Sessanta vide arrivare circa due milioni di profughi dalla Cina. A lui si deve l’intuizione di abbinare un forte impegno sociale all’evangelizzazione: è stato padre Lido con il vescovo Bianchi ad aver voluto che accanto a ogni chiesa ci fossero una scuola e un centro sociale. Se oggi Hong Kong ha una fitta rete di scuole cattoliche e una presenza capillare e attivissima della Caritas è anche grazie a questo toscano tanto paziente quanto umile. «Se oggi lui fosse qui – ha detto uno dei suoi ex giovani durante i festeggiamenti a Cantù – non sarebbe entrato: Perché era fatto così. Perché non voleva alcun riconoscimento, se non quello del Signore».