Vita Chiesa

Il vescovo Bizzeti: cristiani in Turchia, una minoranza capace di testimoniare il Vangelo

«Abbiamo un tesoro tra le mani e dobbiamo custodirlo accettando di essere una minoranza: per i cristiani in Turchia questo non è un problema, sono contenti di far parte di quella minoranza». Queste le parole di mons. Paolo Bizzeti, gesuita, fiorentino di nascita e vicario apostolico dell’Anatolia dal 2015. Parole che ci fanno sentire tutta la vicinanza di una chiesa che, a volte, crediamo lontana soltanto perché un po’ più a est. È con questo desiderio di vicinanza che la Caritas diocesana di Firenze ha organizzato una serata a cui ha partecipato anche il cardinale di Firenze Giuseppe Betori, e che, dalla parrocchia di san Piero in Palco, è stato trasmesso anche in streaming sul canale YouTube della Caritas, dove è ancora visualizzabile.

In dialogo con il direttore di Toscana Oggi Domenico Mugnaini, Bizzeti ha raccontato della difficile situazione della minoranza cristiana in Turchia, dei tanti migranti che scappano dai paesi vicini, del rapporto tra la comunità cristiana e l’islam e il governo di Erdogan e delle sue speranze per il convegno che, nelle primavera del 2022, darà seguito a Firenze al Convegno di Bari dei vescovi del Mediterraneo.La sede del vicariato di mons. Bizzeti è ad Alessandretta, una città del sud della Turchia, al confine con la Siria, che prende il suo nome dall’occupazione italiana di quel territorio del secondo dopoguerra: «l’Impero ottomano allora crollò e le potenze occidentali si divisero la Turchia, da lì l’idea della potenza cristiana come di un nemico è rimasta viva, alimentando la paura ancestrale della Turchia di essere una terra di mezzo di cui tutti vogliono impadronirsi», ha raccontato. I pregiudizi, però, sono molto vivi anche perché «siamo una realtà talmente piccola da essere quasi sconosciuta, quel poco che si sa è stato letto su libri di scuola scritti con tono polemico; adesso, con internet, qualcosa sta cambiando, grazie anche alle chiese protestanti che cercano di fare informazione su questo fronte».Altro aspetto di difficoltà è quello dei migranti, che dall’Iraq, dalla Siria, dall’Iran e dall’Afganistan cercano rifugio: «sono persone che hanno perso tutto per non rinnegare la loro fede, la Turchia è un paese vicino e sono arrivati lì per proseguire oltre, in Europa e in America, ma si sono trovati le porte chiuse e sono rimasti bloccati sparsi in tante cittadine dove non ci sono altri cristiani e pastori vicini», ha raccontato. Su questo, anche la politica di Erdogan si è mossa in direzioni differenti, «inizialmente ha accolto i rifugiati anche in funzione anti Assad, sperando che cadesse facilmente; adesso si vuole fare del nord della Siria un luogo dove rimandare indietro i profughi siriani. Con i finanziamenti dell’Ue, poi, si è costruito un muro con un sistema di monitoraggio di rilevamenti umani molto sofisticato. Adesso, poi, con la crisi provocata dalla pandemia, anche per la Turchia i migranti stanno diventando un problema sempre più importante». L’Europa, davanti a questo, non sembra avere un ruolo da protagonista: «sostanzialmente non dice nulla, e lascia che a gestire il discorso del medio Oriente siano la Russia, l’America e la Cina. Dobbiamo chiederci chi vogliamo essere come Europa e cosa vogliamo fare davanti a questi popoli; stanziando qualche migliaia di euro non possiamo farcela e la politica dei muri è insostenibile, quindi dobbiamo cambiare», ha detto Bizzeti.Altro aspetto della politica di Erdogan di cui si è parlato, è stato quello della conversione in moschea di Santa Sofia e di della trasformazione in museo della chiesa di San Salvatore in Chora, «da una parte lo si fa per compiacere una parte dell’elettorato che vede in questi gesti una rivincita dopo secoli di umiliazioni, dall’altra sono prove di forza nei confronti dell’occidente, dove si fanno grandi affermazioni di principio, ma poche azioni operative» ha proseguito.Per il resto, in Anatolia i rapporti con l’islam sembrano essere pacifici e anche tra le altre chiese cristiane si è creato un bel clima di ecumenismo, «c’è una bella convivenza tra una dozzina di chiese cristiane e ad Antiochia siamo riusciti a unificare la data della Pasqua. L’ecumenismo è gratuità e disponibilità a rinunciare anche a cose giuste, come il nostro calendario, ma dobbiamo chiederci cosa ci interessa di più: molte famiglie sono miste e mentre alcuni vivono i digiuni della Quaresima altri celebrano Cristo Risorto. Celebrare la Pasqua insieme ci permette di porci in modo univoco anche davanti ai mussulmani».Tra le necessità di una chiesa di minoranza che, come nel resto del mondo, vive la crisi delle vocazioni, c’è anche quella «di avere un laicato più preparato a cui dare la possibilità di organizzarsi nella vita ecclesiale: abbiamo tanti musulmani che chiedono di diventare cristiani e non abbiamo persone preparate per accompagnarli: in una diocesi di 300 persone, in 19 tra afgani e iraniani il giorno di Pentecoste hanno ricevuto i sacramenti e 4 coppie hanno celebrato il matrimonio», ha detto. La speranza è quella che si possano aprire sempre più prospettive di convivenza pacifica e di mutuo aiuto, come quelle si suscitate dal viaggio del Papa in Iraq, che Bizzeti ha definito «profetico» e capace di rimanere per l’eternità, e quelle del Convegno di Bari, dove «tanti vescovi sono stati incuriositi dalla figura di La Pira», ha raccontato Bizzeti, aggiungendo che, allo stesso modo, nella primavera del 2022 anche Firenze «mostrerà la sua vocazione ad essere una città di incontro capace di visioni profonde».«Come nell’antichità dalla Turchia sono arrivati i Padri della chiesa, così ora dalla Turchia può venire una testimonianza di come di può essere un seme di evangelizzazione per il mondo di oggi» ha detto il cardinale Betori alla fine dell’incontro, ringraziando mons. Bizzeti. «Non sono i numeri che contano, ma la capacità che dobbiamo avere come cristiani, anche qui a Firenze, di portare una parola di Vita per gli altri», ha concluso Betori.