Vita Chiesa

Incontro abusi in Vaticano: mons. Scicluna, denunciare è «un dovere»

Citando la lettera ai cattolici dell’Irlanda, pubblicata da Benedetto XVI nel 2010, e la lettera indirizzata al popolo di Dio da Papa Francesco nell’agosto scorso, Scicluna si è soffermato su «alcuni suggerimenti pratici dettati dalla prudenza, dalle best practise e dalla primaria preoccupazione per la salvaguardia dell’innocenza dei nostri bambini e dei nostri giovani».

In primo luogo, ha spiegato, «è essenziale che la comunità sia informata del fatto che ha il dovere e il diritto di denunciare l’atto di cattiva condotta sessuale a una persona di riferimento nella diocesi o nell’Ordine religioso. Tali contatti devono essere di pubblico dominio». «I protocolli stabiliti devono essere rispettati», così come «le leggi civili o nazionali», ha sottolineato Scicluna, secondo il quale «è importante che ogni accusa sia esaminata con l’aiuto di esperti e che l’indagine sia conclusa senza inutili ritardi. Il discernimento dell’autorità ecclesiastica deve essere collegiale».

«Affrontare i casi che si presentano in un contesto sinodale o collegiale darà la forza necessaria ai vescovi per raggiungere in modo pastorale le vittime, i sacerdoti accusati, la comunità di fedeli e persino la società in generale», la tesi di Scicluna, che si è poi soffermato nel dettaglio sul processo penale canonico, in vista dei quali il vescovo deve seguire il caso con la Congregazione per la dottrina della fede e «ha il dovere di nominare delegati e periti o giudici e promotori di giustizia che siano prudenti, qualificati accademicamente e rinomati per il loro senso di imparzialità. Nel nostro sistema, il ruolo della vittima di abuso sessuale nei procedimenti canonici è limitato: il supporto pastorale dell’ordinario aiuterà a colmare questa lacuna».

Un processo penale canonico, sia giudiziario sia amministrativo – ha ricordato il vescovo – si conclude con uno dei tre possibili esiti: una «decisio condemnatoria», dove l’imputato è ritenuto colpevole di un delitto canonico, una «decisio dimissoria», dove le accuse non sono state dimostrate, o una «decisio absolutoria», dove l’imputato è dichiarato innocente. «Una decisio dimissoria potrebbe creare un dilemma», ha fatto notare Scicluna, in quanto «il vescovo o superiore religioso potrebbe ancora trovarsi in difficoltà nel consentire all’accusato di tornare a esercitare il suo ministero nel caso in cui le accuse sano credibili, ma il caso non sia stato provato». In tali circostanze, «è essenziale la consulenza di esperti e l’ordinario dovrebbe usare la propria autorità per garantire il bene comune e assicurare l’effettiva tutela dei bambini e dei giovani».

La pedofilia è una «cattiva condotta» che «è anche un reato in tutte le giurisdizioni degli Stati», ha ricordato mons. Charles Scicluna. «La competenza delle autorità statali dovrebbe essere rispettata», ha proseguito il vescovo, secondo il quale «le norme che regolano la comunicazione delle denunce dovrebbero essere seguite attentamente e uno spirito di collaborazione andrà a beneficio sia della Chiesa che della società in generale». «Differenti risultati per lo stesso caso non sono un evento raro», ha osservato Scicluna a proposito del fatto che «i limiti di legge in materia civile o i criteri di prova possono essere diversi da quelli applicati nei procedimenti canonici», così come le leggi relative ai termini di prescrizione. Compito del vescovo o del superiore religioso è quello di «vigilare sull’attuazione e l’esecuzione delle legittime conseguenze dei procedimenti penali», tenendo conto del «diritto dell’imputato di ricorrere ai mezzi consentiti dalla legge contro un’azione penale che lo danneggia».

Una volta esaurita la fase di appello, «è dovere dell’Ordinario informare la comunità sull’esito definitivo del processo», sia in caso di colpevolezza – la cui sentenza e pena relativa vanno «attuate senza indugio» – sia in caso di innocenza dell’imputato, perché «è molto difficile risanare il buon nome di un sacerdote che potrebbe essere stato ingiustamente accusato». Senza contare la «cura delle vittime che sono state tradite negli aspetti più fondamentali e spirituali della loro personalità e del loro essere» e delle loro relative famiglie: «L’intera comunità deve condividere il peso della loro vita e accompagnarli verso la guarigione».

C’è poi l’importante capitolo della prevenzione, da garantire sia da parte dei «formatori» dei futuri candidati al sacerdozio, «con l’aiuto di sacerdoti prudenti e santi», sia attraverso i «protocolli di salvaguardia», che «dovrebbero essere facilmente accessibili in un linguaggio chiaro e diretto». Un altro aspetto della «corresponsabilità» nella prevenzione, per Scicluna, è la selezione e la presentazione del candidato alla missione di vescovi: «Molti chiedono che il processo sia più aperto al contributo dei laici della comunità», ha reso noto il vescovo: «Noi vescovi e superiori religiosi abbiamo il sacro dovere di aiutare il Santo Padre ad arrivare a un giusto discernimento sui possibili candidati alla leadership come vescovi. È un grave peccato contro l’integrità del ministero episcopale nascondere o sottovalutare fatti che possano indicare carenze nello stile di vita o nella paternità spirituale circa quei sacerdoti soggetti alla verifica pontificia sulla loro idoneità all’ufficio di vescovi».