Vita Chiesa

La rinuncia del Papa vissuta in clausura

Ecco come è stata vissuta la notizia della rinuncia al pontificato di Benedetto XVI in un monastero di clausura della nostra regione. Non vogliamo violare la giusta riservatezza di queste sorelle claustrali e per questo abbiamo tolto riferimenti a persone o luoghi che le rendessero facilmente identificabili, così pure la firma dell’autrice dell’articolo, che è stata testimone oculare di quella giornata.

La notizia è arrivata in Monastero quasi subito, portata dalla Madre, che l’aveva per caso ascoltata in macchina alla radio mentre rientrava da una visita medica. Non ha detto niente, ma è andata di corsa ad accendere il televisore – fatto straordinario, a mezzogiorno – per verificare che non fosse uno scherzo di carnevale. E non lo era. La reazione è stata quella di stupore, di fronte a qualcosa di assolutamente nuovo. Le altre sorelle l’hanno saputo via via che i servizi le portavano nelle vicinanze della sala della tv. In breve tutte ne erano al corrente e parole concitate, esclamazioni, capannelli hanno rotto il silenzio del chiostro. La Madre ha frenato l’agitazione, esortando le monache a portare a termine i loro uffici: in serata ne avrebbero discusso insieme nello spazio della ricreazione, dopo aver seguito il telegiornale. Intendeva anche informarsi sull’incredibile evento da fonti diverse dai mass media. La calma è tornata: la Superiora non ha potuto però arginare la tristezza di una giovanissima, proveniente dall’Asia, che era disperata. «Il nostro Padre ci ha abbandonati». diceva sconvolta. «Il Papa non può andarsene» aggiungeva. Per chi arriva da altri mondi, per una persona i cui bisnonni erano  schiavi sotto la colonizzazione di potenze lontane, la Chiesa è mamma due volte e l’idea di dimissioni del Pontefice ha significato sentirsi ad un tratto orfana. La Madre le ha fatto presente che Cristo non lascia sola la sua Chiesa.

La suora più anziana della comunità, ultraottantacinquenne, ha aperto il cuore alla compassione a modo suo: «Povero vecchio, quanta sofferenza. Preghiamo per lui».

La sera le monache hanno commentato in lungo e in largo «il fatto». La Madre ha letto la motivazione, tradotta dal latino; ha sottolineato la grande libertà del Santo Padre, quell’interrogare la propria coscienza davanti a Dio, che ha definito «atteggiamento esemplare» di  coraggio e libertà consapevoli. Ha rilevato il grande senso di responsabilità e l’amore di Benedetto XVI nei confronti della Chiesa. Una delle giovani, fresca di studi, ha subito evocato Celestino V, ma ha anche detto che la situazione di oggi non è uguale a quella di allora e che forse Dante non pensava a Pietro da Morrone quando stigmatizzava «il gran rifiuto». E forse perché ha da poco lasciato il mondo, si fa affascinare dalla dietrologia ed enumera quelli che potrebbero essere i motivi nascosti: l’isolamento del Pontefice in Vaticano, i gruppi di potere, lo Ior, lo scandalo della pedofilia, il problema del celibato dei preti. Le sue parole suscitano sgomento, ma altre sorelle intervengono e cercano di rimettere a posto i tasselli di un mosaico che appare subito non omogeneo. È ancora la voce delle anziane a richiamare la necessità di non cedere a facili ricerche del «male ad ogni costo». Nulla si può escludere, ma pare più realistico pensare ad una scelta ponderata, legata ad una situazione personale diventata di giorno in giorno sempre più pesante.

Un’altra voce si leva ed evoca gli ultimi tempi del pontificato di Giovanni Paolo II. Alla sorella è rimasta dentro l’immagine del Papa sofferente, con lo sguardo perso nel vuoto, provato, ormai incapace di esprimersi, che con un gesto di disappunto, sconfinante nella disperazione, sottolineava quelle parole che non gli uscivano di bocca. «Ci insegnava la teologia del dolore e non nascondeva i limiti dell’uomo ad una società per la quale malattia, inefficienza fisica e morte sono quasi dei tabù: tutti devono essere in forma, perennemente giovani, in una assurda lotta contro il passare del tempo. In quei giorni c’erano uomini politici che giravano con la bandana in testa, perché si erano fatti trapiantare i capelli». Un accenno di sorriso illumina gli sguardi delle monache: tutte sanno a chi si allude, ma nessuna ne pronuncia il nome. «Allora» – riprende la suora – ci furono critiche contro il Papa: perché ostentare tanta debolezza? Perché non ritirarsi? Se lo chiedevano in tanti, soprattutto cattolici. Ora, Benedetto lo ha fatto e criticheranno anche lui».

«Lo criticano già» – interviene la monaca trentina, una donna concreta come le montagne della sua terra – «Papa Ratzinger ha fatto una scelta opposta, ma uguale, per il bene della Chiesa. E noi tutti sbagliamo a considerare il papa come un re che abdica: il suo è un servizio, il più gravoso, che tiene costantemente sotto i riflettori chi deve agire per i beni dello Spirito». È agitata, la sorella, di solito calma e silenziosa. «Andrà a chiudere la sua vita in monastero, nella preghiera: forse gli mancava perfino il tempo per pregare».

La sorella della cucina interviene: «Gli rimproverano il fatto che “dalla croce non si scende”, ma Ratzinger la sua croce la porterà sempre con sé». E aggiunge una riflessione bella: «Come Gesù, si è offerto liberamente alla sua passione». Inoltre, la suora si dice convinta della validità dell’esempio di chi lascia un «potere grande, vero», nel momento in cui qui da noi per il potere politico ci si affrontano senza esclusione di colpi. Ed in generale si persegue il potere come fine appagante e non come mezzo per mettersi al servizio degli altri.

La Madre sottolinea come nei vari servizi televisivi che ha visto «essere papa» sia stato spesso considerato una carica politica, quasi un mestiere, da equiparare al Presidente della Repubblica, ad un sovrano, ad un Capo di Governo. L’aspetto di guida spirituale, la successione petrina, il compito apostolico, vengono dimenticati. «Essere papa o vescovo non sono gradini di una carriera» e forse la Madre ripensa con tristezza ad un giovane presule che proprio in Monastero qualche tempo prima si era espresso così  nei confronti della sua fresca nomina episcopale.

Molte altre idee hanno espresso le monache. La sede vacante di pochi giorni è per loro infinitamente preferibile ad un lungo periodo di sofferenza ecclesiale legata ad un Papa indebolito, che debba demandare ad altri importanti aspetti della sua missione. Leggono la scelta del Pontefice come un vero atto di libertà, il risultato del soffio dello Spirito.

La Madre riprende la parola per ultima e definisce il gesto del Papa come una lezione di teologia dommatica: ci ha dimostrato che «Solo Dio è necessario». La barca della Chiesa non resta abbandonata a se stessa, perché Cristo non viene meno. Commenta anche la scelta dell’invisibilità da parte del Papa, che continuerà a pregare, a vivere per la Chiesa, rimanendo nascosto: è un modo forte per indicare un valore vero, in un mondo in cui la parola d’ordine è apparire e sembra persona di successo solo chi si impone all’attenzione degli altri. Il monastero di clausura garantisce anche  l’impossibilità di una contrapposizione fra vescovo emerito di Roma e Papa, quando la Chiesa avrà  il suo nuovo timoniere.

La fiorentina, nata entro le mura, a pochi passi dal Battistero, non si trattiene: «E bravi papi: questi ultimi due ci hanno proprio spiazzati». Come dire che le sorprese del vero cristianesimo – quello per cui evangelicamente la vita è morte e la morte è vita, vero povero è il ricco e vero ricco è il povero –  non finiscono mai. La comunità rasserenata si avvia a dire compieta, con la consapevolezza di stare vivendo un fatto di grandissima importanza. «Il Papa mi ha proprio edificata» commenta convinta la sagrestana, aprendo la porta del coro per l’ultima preghiera della giornata.