Vita Chiesa

Lucca, da Gemma il fiore della Passione

di Anna Maria Lippi LombardiIl monastero femminile di clausura di Santa Gemma Galgani è situato poco fuori le Mura della città, in località «Porta Elisa». È proprio la figura di Santa Gemma che stimola, al di là del suo emergere come donna, ad approfondire il carisma di questa giovane, che in soli 25 anni di vita terrena è salita agli «onori degli altari», vicina al suo Gesù che stigmatizzò la sua vita e la sua persona. Una Gemma così grande e famosa, oggi, da far sorgere monasteri a lei intitolati appena un anno dopo la sua morte, non solo a Lucca, ma anche all’estero, in ogni parte del mondo.Sono la reverenda madre Giovanna e suor Paola a riceverci nel monastero e a porgerci la loro testimonianza.«A Lucca le monache Passioniste giunsero solo dopo la morte di Gemma le cui spoglie, diventata Santa, sono custodite amorevolmente dalla nostra Comunità sotto l’Altare della Chiesa del monastero. Nella vita millenaria della Chiesa – raccontano le due monache – la nostra storia non è molto lunga: abbiamo solo 220 anni. Papa Clemente XIV approvò infatti le nostre regole nel 1770 ed il primo monastero Passionista sorse a Tarquinia, in provincia di Viterbo, l’anno successivo».Il loro fondatore è uno dei più grandi Santi della Chiesa: San Paolo della Croce, che fu anche un grande mistico del Cristianesimo. Egli, dopo aver fondato la congregazione dei Passionisti, con l’aiuto della venerabile Maria Crocifissa di Gesù, dette vita alla prima comunità di monache Passioniste.«Pur non rinunciando alle austerità della vita dei tradizionali monasteri – continua suor Paola – fino da quell’epoca il nostro Ordine ha voluto distinguersi per una più aperta attenzione ai bisogni della Chiesa e della società e questo cerchiamo di realizzarlo con la preghiera di intercessione e di riparazione, con una intensa vita spirituale, alimentata dall’Eucarestia e dalla memoria della Passione di Cristo, che viviamo in “gioiosa penitenza”, nel silenzio e nello spirito di povertà e solitudine custoditi dalla clausura». A Lucca quindi, nel 1905, sorse il Monastero – che è il secondo fondato in Italia – intitolato a Santa Gemma Galgani.Ormai è sicuramente nota a tutti la vita della grande mistica. Nacque a Camigliano, il 12 marzo 1878, da una famiglia benestante. Purtroppo, dopo il fallimento economico del padre, la giovanetta si ritrovò in assoluta povertà e, dopo essere vissuta per tre anni presso la famiglia Giannini, che l’accolse poiché si era ormai delineata in lei la vocazione di dedicarsi al Signore, cercò in tutti i modi di entrare in un monastero di Claustrali. «A nulla valsero i tentativi dei suoi direttori spirituali – spiegano le due monache – tra cui quello del Passionista padre Germano. Essa morì l’11 aprile 1903 prima di poter essere ammessa in qualche Istituto, restando monaca Passionista nel suo spirito, nel suo cuore e nel suo desiderio. Oggi il carisma di Gemma è lo stesso che distingue noi, sue sorelle in Cristo, che viviamo nei monasteri, chiamate semplicemente “Passioniste”». Ma come vivono le claustrali del monastero di Santa Gemma?«La nostra giornata – raccontano – è scandita da orari precisi: la levata è pressoché sempre alle 5,25 del mattino. Il resto del tempo prevede la Liturgia delle ore, dalle “Lodi alla Compieta”, inoltre orazioni personali, la celebrazione della Santa Messa, del Santo Rosario, dei Vespri. C’è però anche il tempo della ricreazione, vissuta nella gioia di ritrovarsi insieme, sentirsi sorelle in Gesù Crocifisso». E c’è anche il tempo del lavoro, che consiste nel fare la quotidiana pulizia, ognuna della propria cella, dell’istituto e della chiesa. «Coltiviamo anche fiori per l’addobbo dei nostri altari, oltre a fare un po’ di orticello; teniamo poi animali piccoli da cortile per le nostre necessità e per chi si rivolge a noi. Dobbiamo inoltre provvedere al cibo per i sacerdoti che officiano nella nostra chiesa, rendendosi utili per il sacramento della Confessione, che costituisce un servizio anche alle parrocchie che non hanno sacerdoti a sufficienza».Altro compito che viene svolto nella comunità è la pubblicazione del mensile religioso di attualità «Santa Gemma. Monastero Passioniste di Lucca», che viene spedito in Italia ed all’estero.

«Poiché il fine delle religiose è la carità, nell’offerta totale di sé a Dio – precisano le suore – siamo impegnate nel diffondere la memoria della Passione di Gesù nel mondo, ma siamo presenti anche nella vita attuale della Chiesa e ci adoperiamo per ricevere in monastero giovani, donne e suore, per ritiri, esercizi spirituali, ovviamente nello spirito dell’Istituto. Del resto sempre più frequenti sono i pellegrinaggi al monastero di Santa Gemma, qui fuori Porta Elisa, oltre alla casa dove essa visse da “povera”, in via del Biscione, ed a quella, in via della Rosa, dove il Signore la chiamò a sé, oggi chiamata Casa delle Stigmate”».

Ritratto di una «espropriata»Oggi sono sempre più numerosi i miracoli scientificamente riconosciuti che si attribuiscono a Santa Gemma. Eppure nella sua vita di appassionata attesa per entrare in un monastero essa non fu compresa. Si portò dentro la sua Passione, che si identificava con la Passione di Gesù Crocifisso, fino alla morte avvenuta tra gli spasimi di un dolore fisico e spirituale, simile a quello di Gesù sulla Croce. Ed allora, se così visse Gemma, è comprensibile quell’espressione attribuitale da mons. Giuliano Agresti, il quale in un volume del 1978 intitolato «Ritratto della espropriata» (pubblicato da Pacini Fazzi) delineò un quadro della «povera Gemma», come essa amava definirsi, chiarendo proprio il significato di quel termine «espropriata». Monsignor Agresti ci fa così conoscere una Gemma che sperimentò una dopo l’altra tutte le privazioni: dopo il fallimento del padre, venne privata non solo di tutti i beni, ma anche della casa dove abitava e diventò povera come i derelitti, i nomadi, gli «ultimi», cioè i poveri del Vangelo. «L’unica cosa che mi era rimasta era la carità verso i poveri», essa scrisse. E si trovò a fare tutti i servizi vivendo presso una famiglia, ma essa accettò ed imparò ad amare anche la «povertà del lavoro». In seguito dovette anche sperimentare l’impoverimento degli affetti umani: la perdita della madre, da piccola, poi quella del padre e dell’amato fratello seminarista Gino. A poco a poco la tisi doveva stroncare tutta la sua famiglia, per cui Gemma, privata degli affetti familiari, scelse la via dell’amore a Dio.Iniziava però anche il suo impoverimento fisico, perché anche essa fu minata dalla tisi e fu inferma ripetutamente, fino alla morte. Tuttavia, sebbene dovesse patire grandi sofferenze, non fu compresa, bensì inizialmente tacciata di «isterica» da parte di medici, familiari ed anche ecclesiastici.

Nel suo lungo calvario fisico la «povera Gemma» doveva essere offesa anche nella dignità della sua persona umana; provò l’amarezza della derisione, che la rese però comune al Cristo sofferente sulla Croce.

E si avvicinò così alla condizione degli umili, dei semplici, di coloro che sono privi di quella cultura che nobilita di fronte agli uomini, perché fu estromessa dalla scuola, sia pure a causa della salute malferma, e considerata una «illetterata».

Eppure, come afferma mons. Agresti, «Gemma si alza sul mondo dei lumi e del superuomo» con la sua semplicità di animo, che le fece conoscere la vera sapienza, e costituisce «una sfida alla esorbitante cultura dell’uomo adulto contemporaneo ed una speranza per gli ultimi del sapere».Il messaggio quindi di Gemma sta nell’aver accettato e amato quella Croce che la faceva sentire vicina a Gesù Crocifisso, quell’arrendersi al dolore che redime, quell’offrirsi a Dio e fare della Passione e morte di Gesù il centro delle sue preghiere, di quei rapimenti, che Essa, nella sua semplicità, chiamava «fatti straordinari». E Gesù rispose alla sua obbedienza totale ed alla sua volontà, con l’imprimerle le stigmate nella carne, «e la portò con sé dal Getsemani al Calvario», come scrive ancora mons. Agresti.E noi, oggi, consideriamo la vita ed il messaggio di Santa Gemma più attuali che mai, di una modernità sorprendente, perché si accompagnano alla normalità del quotidiano, che è di tutti e di ciascuno. «Insomma, scrive Divo Barsotti, una esperienza mistica a cui è chiamato ogni cristiano che voglia seguire Cristo, portando con Lui la propria Croce e conformandosi con Lui alla volontà del Padre. Qui sta tutta la modernità di questa giovane Santa». Le religiose di clausura nella diocesi di LuccaDei sette monasteri femminili di clausura attivi a Lucca solo due sono rimasti entro la cerchia delle Mura. Entrando da Porta Elisa, nella via omonima, si incontra a sinistra il monastero della Visitazione, le cui monache osservano la Regola di San Francesco di Sales e sono chiamate appunto «Salesiane». A questo medesimo Ordine appartengono le sorelle che, provenendo da Pisa, si sono stabilite nell’antica villa Fasciotti, nel paese di San Pancrazio, nei pressi di Lucca, con il nome di «monastero della Visitazione di Santa Maria». In città, al n. 41 di via della Zecca, si trova un altro monastero femminile, quello delle «Benedettine dell’Adorazione Perpetua del Santissimo Sacramento», uno dei più antichi, che ha mantenuto la sua sede.Fuori invece della città, oltre il Santuario di Santa Gemma – di cui trattiamo in queste pagine – vi sono due monasteri che seguono l’Ordine Carmelitano. Il primo a stabilirsi nella campagna lucchese, sulla collina di San Colombano (Capannori) è quello che va sotto il nome di «Carmelo di Santa Teresa».

L’altro, sempre del medesimo Ordine, si trova sulla collina di Monte San Quirico, vicino a Lucca, e accoglie un numero di religiose carmelitane, che si divise dal comune gruppo di «Carmelitane Scalze», avendo però la medesima provenienza da un precedente antico Monastero femminile di clausura che sorse nel paese di Camaiore.

Da questo, per vari motivi, lo «sciame» delle Carmelitane dovette trasferirsi nei suddetti monasteri lucchesi.Sempre sulla collina di Monte San Quirico, in via Poveri Vecchi 721, fu trasferito dalla primitiva sede in via Elisa, un altro monastero, oggi pure molto attivo, quello delle Clarisse dell’Ordine di Santa Chiara, che mantengono il ricordo del luogo di origine nel nome, «Monastero di San Micheletto».

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