Vita Chiesa

Mons. Galantino: «La scuola per un nuovo umanesimo»

La scuola esiste, in primo luogo, «per essere spazio di crescita nella conoscenza, sviluppando progressivamente un’apertura al reale nella varietà delle sue dimensioni. È la scuola, infatti, il primo ambito in cui impariamo a conoscere tante realtà che vanno aldilà della nostra esperienza quotidiana, avviando un percorso che ci condurrà via via ad incontrare forme di pensiero sempre più articolate. È nella scuola che impariamo a cogliere la ricchezza culturale sviluppata dall’umanità, le tante testimonianze della nostra singolare creatività. È nella scuola che impariamo ad esprimerci, diventando noi stessi – in misura diversa – creativi produttori di cultura». In un contesto in cui «la globalizzazione tende ad inghiottire tutte le differenze, suscitando per reazione la violenza cieca dei fondamentalismi», trova la sua collocazione «l’insegnamento della religione cattolica, col suo contributo prezioso ed assolutamente specifico».

Per monsignor Galantino, «un primo e decisivo passo che deve compiere questo insegnamento perché la sua presenza nell’areopago culturale contemporaneo possa essere effettivamente prezioso e specifico mi sembra quello di un chiaro contributo che vada nella direzione di un sano recupero della identità a tutti i livelli: da quello personale a quello culturale». Secondo il segretario generale della Cei, «se la scuola vuole conservare il suo ruolo formativo e se vuole contribuire a superare» la condizione perversa», in cui «annegano le differenze e la personalità si frammenta nel gioco incessante delle esperienze», «bisogna che riscopra la sua funzione educativa e bisogna che la proposta educativa, da chiunque venga, abbia una sua identità precisa». Dal punto di vista pedagogico «è indispensabile che allo studente venga offerta una proposta da assumere come punto di riferimento e che, contestualmente, gli vengano offerti gli strumenti critici per testarne la validità». Il presule ha parlato della cosiddetta neutralità: «L’ermeneutica contemporanea ci ha fatto capire che la neutralità non esiste. Chi guarda i problemi li affronta inevitabilmente da un punto di vista. Per cui, capite quanti limiti presenta l’atteggiamento di alcuni docenti cattolici che, troppe volte, sono invisibili, si mimetizzano fino al punto da essere irriconoscibili, non solo religiosamente, ma anche culturalmente».

 «Il superamento di questi atteggiamenti paradossali dal punto di vista culturale e professionale suppongono che i soggetti del processo educativo curino la loro formazione intellettuale e che, chi insegna religione cattolica, questa formazione intellettuale la faccia nell’orizzonte di una fede vissuta da una mente che pensa», ha precisato monsignor Galantino, per il quale «perché tutto ciò diventi storia quotidiana che contribuisce alla crescita dell’umano è necessario che la ricchezza di contenuti che caratterizza ogni insegnamento – si tratti dell’Irc o di altre aree disciplinari – venga presentata con competenza, in tutta la sua specificità, per essere accolta come espressione di uno sguardo significativo sull’uomo e sul mondo. Il docente deve essere lui stesso davvero esperto ed, anzi – vorrei dire – innamorato di ciò che insegna; solo così potrà suscitare (avvalendosi delle opportune mediazioni didattiche) interesse e passione per la conoscenza». Agli studenti, d’altra parte, «si chiede di coltivare la curiositas – quella virtù che porta a cercare di comprendere sempre meglio, ad esplorare la ricchezza del reale, a porre domande sempre nuove a chi insegna». La scuola è poi, costitutivamente, «anche luogo di relazione, spazio nel quale persone diverse, portatrici di esperienze diverse e talvolta culture diverse, intessono relazioni che sono esse stesse di grande spessore educativo».

Ogni scuola, ha proseguito il segretario generale della Cei, «opera in modo davvero efficace quando vive come comunità, formata da una molteplicità di figure capaci di collaborare per contribuire alla missione educativa operando in modo sinergico». Di più, «la scuola si inserisce in un contesto di più ampio respiro ed è chiamata a un’interazione costruttiva con esso – a partire dalla realtà delle famiglie, che ad essa affidano i propri figli e le proprie figlie, ma che conservano tutta la responsabilità educativa nei loro confronti». Ecco, allora, che la «dimensione dell’accoglienza» costituisce una «dimensione essenziale per l’esperienza scolastica». L’esperienza scolastica riveste «una fondamentale valenza civile, come momento cruciale per la formazione dei cittadini capaci di socialità positiva e costruttori di pace». Soprattutto «in un tempo che vede riemergere all’orizzonte internazionale la pretesa di legittimare la violenza nei confronti di chi vive esperienze religiose o culturali diverse dalla propria. La fede cristiana rigetta tali posizioni, per affermare invece con forza la dignità di ogni persona quale fondamento della pace e di una positiva convivenza all’interno della famiglia umana». Infatti, la scuola gioca «un ruolo importante, formando alla pace tramite un’esperienza di relazioni tra diversi, nell’accoglienza reciproca, nella condivisione di un vissuto di umanità».

 «Il vero, profondo senso ultimo dell’esperienza scolastica è quello di offrire uno spazio nel quale vivere percorsi per sperimentare e comprendere sempre meglio cosa voglia dire essere umani», ha osservato monsignor Galantino. Per questo «è davvero grave quando la scuola tradisce tale prospettiva, quando diviene terreno di scontro tra diverse ideologie o interessi particolari, quando si smarrisce il rispetto per le persone (specie le più deboli), quando si svilisce la domanda di conoscenza». Al contrario, «essa corrisponde appieno alla propria vocazione quando diviene spazio di formazione a un umanità vissuta a tutto tondo, a una vita buona, vera e bella; quando i diversi saperi disciplinari convergono nell’offrire agli studenti strumenti per comprendere questo nostro tempo così complesso, ma anche un orizzonte di sapienza che aiuti ad abitarlo in modo sensato, con uno stile di vita libero, coraggioso, delicato, sostenibile». La comunità cristiana, ha evidenziato, «testimonia – anche nello spazio della scuola – quanto potente sia il contributo che può offrire in tale processo formativo il riferimento a Gesù Cristo». Una figura che «si offre a ogni uomo ed ogni donna – a ogni ragazzo e ad ogni ragazza, a ogni bambino e ad ogni bambina – come indicazione di un fecondo cammino di vita buona, invitando a sperimentarlo nella propria esistenza», nelle «grandi scelte», così come «nel quotidiano».