Vita Chiesa

Mons. Galantino ai religiosi: «Essere segni visibili del Vangelo»

Il presule ha sviluppato il suo intervento analizzando tre tentazioni e tre «parole» per superare la crisi e ancora tre condizioni per una rifondazione. Per le tentazioni il segretario generale Cei ha richiamato quelle indicate da Papa Francesco nel discorso conclusivo dell’Assemblea straordinaria dei vescovi: «La tentazione dell’irrigidimento ostile», quella del «buonismo distruttivo», il «pericolo di considerarsi padroni e non custodi del ‘depositum fidei’». «Per vincere queste tentazioni, che si manifestano anche nelle diverse forme che degradano la vita religiosa confinandola nella meschinità e rendendola semplicemente infruttuosa – ha chiarito Galantino -, la via indicata dal Vangelo è riassunta in una parola, per la precisione in un verbo, che abbiamo imparato a riconoscere come uno dei capisaldi dell’insegnamento di Papa Francesco: uscire».

L’uscire, ha precisato monsignor Galantino intervenendo all’assemblea Cism a Tivoli, «rimanda a scelte precise». Innanzitutto, «un decentrarsi che comporta di saper prendere le distanze sia dalle proprie idee – quante volte indebitamente assolutizzate! – sia dalle stesse opere». Non si tratta, dunque, «di relativizzarsi, quanto di capire che proprio la fedeltà al carisma può richiedere questo coraggio, ben sapendo che non viviamo per noi stessi, ma per il Regno». Va in questa direzione anche l’aiuto che i religiosi sono chiamati a offrire alle Chiese locali. «Il necessario discernimento potremmo tradurlo, a nostra volta, con un verbo che è tutt’altro che passivo: ascoltare», ha spiegato il segretario generale della Cei, per il quale, «una seconda scelta per vivere questa dimensione di Chiesa in uscita è la disponibilità a vincere la paura rispetto a ciò che è altro da noi, specie quando la diversità si configura come complessità e problematicità». Il presule ha, quindi, suggerito «un’altra parola per dire la sollecitudine a guardare in faccia la realtà e a lasciarci anche plasmare da essa»: «confronto». Ma uscire significa «anche rifarsi lo sguardo o, meglio, assumere lo sguardo di Cristo: se assumeremo il suo modo di pensare, di vivere e di relazionarsi», come ha detto il Papa, «non faticheremo a individuare nuove indicazioni e nuovi percorsi per la nostra pastorale e per la nostra stessa presenza».

Monsignor Galantino ha indicato anche «le condizioni affinché tutto questo passi dal piano delle buone intenzioni a quello della realtà». La prima è «una vita comunitaria, una vita di relazioni fraterne. In un contesto frammentato e spesso incapace di alimentare rapporti duraturi, la fraternità oggi ha una forza di attrazione enorme». Una seconda condizione «rimanda alla necessità di essere autenticamente radicati in un determinato carisma». La vita religiosa «si trova oggi a vivere un tempo di svolta, di riposizionamento, addirittura di rifondazione». C’è bisogno «di forme nuove, creative, capaci di inventare il futuro della Chiesa in un contesto marcato dall’indifferenza e dalla secolarizzazione». Nella fedeltà alle radici, «la nostra preoccupazione non può che essere una sola: essere un segno visibile e una sollecitazione rivolta a tutti a vivere secondo il Vangelo. A questa condizione sarà possibile ritrovare un ruolo fondamentale e costitutivo all’interno del popolo di Dio, nell’attenzione agli interrogativi che gli uomini nostri contemporanei si portano dentro e che si manifesta in un bisogno di spiritualità, intesa come vita nello Spirito: la vostra presenza possa far compagnia a tali domande con un’offerta di spiritualità fruibile, capace di generare stili di vita e non soltanto devozioni».

Mons. Galantino ha infine aggiunto all’assemblea Cism, che c’è la «necessità di essere profondamente immersi nella realtà, facendone esperienza: non per nulla il Papa a più riprese ci fa capire quanto sia importante il contatto reale con i poveri, conoscerne il vissuto e farne proprio lo sguardo sulle cose, fino ad accettare anche di imparare da loro». «Quanto bisogno c’è – ha osservato il segretario generale della Cei – di proporre una santità che non sia relegata tra gli incensi del tempio e che non sia spogliata della sua carica originaria, ma fatta di trascendenza e di esistenza quotidiana, indissolubilmente intrecciate tra loro: allora, è laboratorio di nuova umanità, capace di dar vita a strutture mentali, spirituali, affettive – e pure organizzative – semplici e accoglienti, poco pesanti e aperte, in cui non sia assente la gioia della comunione, perché una fraternità senza gioia è una fraternità che si spegne…». L’alternativa è «la sterilità, a cui siamo condannati quando il patrimonio della vita religiosa si blocca su un modello di società che non c’è più e su un modello di comportamenti che non esprimono più un valore avvertito come tale». Ricordando che l’anno 2015 sarà dedicato alla Vita consacrata, monsignor Galantino si è detto certo che «sarà un tempo di grazia non solo per la vita consacrata, ma per tutta la Chiesa».