Vita Chiesa

Moschea, nessuna preclusione da parte della Chiesa fiorentina

Si evocano segni di pace e si semina zizzania. Sembra questo l’intento oggi de «La Repubblica – Firenze» quando, commentando il bel gesto dell’imam di Firenze che domenica ha partecipato alla Messa in Santa Maria del Fiore, attribuisce al cardinale Giuseppe Betori, in coppia con gli ultimi due sindaci della città, il veto alla costruzione di una «grande moschea unica» a Firenze. Mentre non risulta in nessun modo che Betori abbia espresso preclusioni in questo senso, tutt’altro. Ma questa deve essere una scelta degli stessi musulmani fiorentini. Quanto al luogo, la decisione va concordata con le autorità civili e non con quelle delle altre religioni.

In realtà la Chiesa fiorentina ha sempre vissuto in modo positivo e in dialogo con la comunità islamica il problema di un proprio luogo di culto in città. L’arcivescovo di Firenze lo ha ribadito più volte ricordando sempre, per correttezza, che non spetta appunto alla Chiesa cattolica «dare pareri al riguardo». L’importante è «che la soluzione che si andrà a trovare risponda ai criteri del libero esercizio del culto da parte di tutti, evitando ogni strumentalizzazione ideologica del problema e curando invece che questa occasione favorisca una chiara adesione di tutte le comunità religiose presenti nel Paese ai principi concernenti la persona e la società codificati nella Costituzione italiana». Concetto ribadito in altre occasioni scartando sempre la «visione simbolica», quella di chi dice che c’è un profilo della città nel quale manca un minareto, che è di fatto una posizione ideologica, altro invece è un approccio al problema dal punto di vista realistico.

Per quanto riguarda il suggerimento di concedere una chiesa per trasformarla in moschea, non sembra anzitutto che sia mai stata avanzata una tale richiesta da parte della comunità islamica di Firenze. Inoltre quel che a prima vista potrebbe sembrare un atto di liberalità, potrebbe essere visto anche come un gesto umiliante: ai musulmani verrebbe dato non ciò di cui hanno bisogno, ma ciò di cui la Chiesa cattolica non avrebbe più bisogno. E poi, se si tratta di fare una grande moschea, come chiede «La Repubblica», nessuno dei grandi edifici di culto di ampie proporzioni, a cominciare dalla stessa cattedrale, appartiene alla Chiesa fiorentina, bensì ad altri soggetti, per lo più allo Stato o ad altre istituzioni pubbliche. Che poi questo gesto lo avrebbero fatto Elia Dalla Costa o altri è una libera interpretazione che non sembra rispettosa del loro pensiero, che, al contrario, sembra difficilmente componibile con un atto che suonerebbe come una rinuncia del cattolicesimo alla propria stessa identità. Quanto poi al cardinale Piovanelli, che il problema della moschea a Firenze lo ha potuto prendere in considerazione da vivo, non risulta che abbia mai prospettato questa soluzione.

Dire poi che il centro storico di Firenze è un brand da difendere, significa non capire che esso è invece la testimonianza di una storia che va rispettata e non va manipolata ideologicamente. Quando non è stato fatto, Firenze non ne ha guadagnato. Piazza della Repubblica insegna: con la distruzione della storia proprio di una comunità religiosa, quella ebraica. Non mancano spazi nella città dignitosi e adeguati per un centro religioso che non può ridursi a un grande ambiente, ma richiede spazi articolati e che siano integrabili con il resto del territorio.

In conclusione la posizione della Chiesa fiorentina è molto chiara: massima apertura, anche perché il principio della libertà di culto va rispettato da tutti, ma nella concretezza dei problemi. Non si capisce pertanto perché si vogliano creare contrasti in una città che tra l’altro rappresenta un’isola felice nei rapporti tra le tre religioni abramitiche grazie alla storia di Firenze, ma grazie anche ai loro attuali massimi rappresentanti: l’imam Izzedin Elzir, il rabbino Joseph Levi e il cardinale Giuseppe Betori.