Vita Chiesa

Papa Francesco: Giubileo Curia Romana, «la Chiesa non crolla»

Dopo la meditazione di padre Marko Ivan Rupnik in Aula Paolo VI, che Francesco ha seguito attentamente in prima fila seduto accanto al cardinale Angelo Comastri, arciprete della basilica vaticana, e ai suoi altri confratelli cardinali e vescovi, alle 9.15 è partita la processione che dall’esterno dell’Aula, scendendo i gradini e passando attraverso il Braccio di Carlo Magno, si è diretta verso la Porta Santa per entrare da lì in basilica, luogo della celebrazione eucaristica che il Papa ha presieduto. Francesco, mentre i religiosi e i laici aprivano la processione, ha aspettato seduto, poi insieme a monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, e a mons. Georg Ganswein, prefetto della Casa Pontificia, si è unito alla processione, attorniato dal personale laico con le proprie famiglie. A chiudere la processione, la schiera di sacerdoti, in talare bianca, che concelebreranno insieme ai cardinali, ai vescovi e ai membri della Curia Romana.

Cristo è la «pietra» su cui «dobbiamo costruire»: per questo «la Chiesa non crolla». Dall’Altare della Confessione della basilica di San Pietro, nel corso dell’omelia, Francesco ha citato sant’Agostino, che «con parole espressive scrive che la Chiesa, pur agitata e scossa per le vicende della storia, non crolla, perché è fondata sulla pietra, da cui Pietro deriva il suo nome». «Non è la pietra che trae il suo nome da Pietro, ma è Pietro che lo trae dalla pietra», prosegue il vescovo di Ippona: «Così come non è il nome Cristo che deriva da cristiano, ma il nome cristiano che deriva da Cristo. La pietra è Cristo, sul fondamento del quale anche Pietro è stato edificato». «In questo momento, ad ognuno di noi il Signore Gesù ripete la sua domanda: ‘Voi, chi dite che io sia?’», le parole di Francesco: «Una domanda chiara e diretta, di fronte alla quale non è possibile sfuggire o rimanere neutrali, né rimandare la risposta o delegarla a qualcun altro. Ma in essa non c’è nulla di inquisitorio, anzi, è piena di amore! L’amore del nostro unico Maestro, che oggi ci chiama a rinnovare la fede in Lui, riconoscendolo quale Figlio di Dio e Signore della nostra vita. E il primo chiamato a rinnovare la sua professione di fede è il Successore di Pietro, che porta con sé la responsabilità di confermare i fratelli». «Lasciamo che la grazia plasmi di nuovo il nostro cuore per credere, e apra la nostra bocca per compiere la professione di fede e ottenere la salvezza», l’invito del Papa: «Facciamo nostre le parole di Pietro: ‘Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente’. Il nostro pensiero e il nostro sguardo siano fissi su Gesù Cristo, inizio e fine di ogni azione della Chiesa. Lui è il fondamento e nessuno ne può porre uno diverso. Lui è la pietra su cui dobbiamo costruire».

«Ai pastori, anzitutto, viene richiesto di avere come modello Dio stesso che si prende cura del suo gregge», ha ribadito  il Papa, che nell’omelia ha citato il profeta Ezechiele, per descrivere «il modo di agire di Dio», che «va in cerca della pecora perduta, riconduce all’ovile quella smarrita, fascia quella ferita e cura quella malata». «Un comportamento che è segno dell’amore che non conosce confini», ha commentato Francesco: «È una dedizione fedele, costante, incondizionata, perché a tutti i più deboli possa giungere la sua misericordia». «Non dobbiamo dimenticare che la profezia di Ezechiele prende le mosse dalla constatazione delle mancanze dei pastori d’Israele», ha ammonito il Papa: «Fa bene anche a noi, chiamati ad essere pastori nella Chiesa, lasciare che il volto di Dio Buon Pastore ci illumini, ci purifichi, ci trasformi e ci restituisca pienamente rinnovati alla nostra missione». «Che anche nei nostri ambienti di lavoro possiamo sentire, coltivare e praticare un forte senso pastorale, anzitutto verso le persone che incontriamo tutti i giorni», l’auspicio di Francesco: «Che nessuno si senta trascurato o maltrattato, ma ognuno possa sperimentare, prima di tutto qui, la cura premurosa del Buon Pastore».

«Dobbiamo pascere il gregge con animo generoso e diventare un modello per tutti», rifuggendo da «ogni tentazione». È la consegna del Papa ai membri della Curia Romana, del Governatorato e delle istituzioni collegate alla Santa Sede, che hanno gremito la basilica di San Pietro in occasione del loro Giubileo. «Siamo chiamati ad essere i collaboratori di Dio in un’impresa così fondamentale e unica come quella di testimoniare con la nostra esistenza la forza della grazia che trasforma e la potenza dello Spirito che rinnova», ha detto Francesco: «Lasciamo che il Signore ci liberi da ogni tentazione che allontana dall’essenziale della nostra missione, e riscopriamo la bellezza di professare la fede nel Signore Gesù». «La fedeltà al ministero bene si coniuga con la misericordia di cui vogliamo fare esperienza», ha proseguito facendo riferimento al tema dell’anno giubilare e ricordando che «nella Sacra Scrittura fedeltà e misericordia sono un binomio inseparabile»: «Dove c’è l’una, là si trova anche l’altra, e proprio nella loro reciprocità e complementarietà si può vedere la presenza stessa del Buon Pastore». «La fedeltà che ci è richiesta è quella di agire secondo il cuore di Cristo», ha precisato il Papa.