Vita Chiesa

Papa Francesco a Barbiana: «Don Lorenzo servitore esemplare del Vangelo»

Papa Francesco è atterrato poco dopo le  11.10, nello spiazzo sottostante la chiesa di Barbiana.  Al suo arrivo è stato accolto dall’arcivescovo di Firenze, il card. Giuseppe Betori, e dal sindaco di Vicchio, Roberto Izzo. Quindi si è trasferito immediatamente al cimitero per la visita in privato e per fermarsi in preghiera sulla tomba di don Lorenzo. Poi in auto ha raggiunto la vicina chiesa dove ha salutato alcuni discepoli ed ex-alunni del sacerdote fiorentino.  Dopo un momento di preghiera personale in chiesa, Papa Francesco, accompagnato dal card. Betori, ha visitato i locali della canonica e della scuola. Quindi, nello spiazzo attorno alla piscina fatta costruire da don Milani, i discorsi pubblici.

Card. Betori: «ripensare le ragioni» per cui don Milani «può ancora illuminare» i preti di oggi. «Siamo ben consapevoli che la figura e la vicenda di don Lorenzo Milani vanno liberate da ogni retorica, non vanno minimizzate, vanno sottratte a strumentazioni ideologiche, difendendone invece la permanente e feconda provocazione». È il saluto del card. Giuseppe Betori, arcivescovo di  Firenze, al Papa, prima del discorso di Francesco a Barbiana. «Non cerchiamo in lui un esempio da imitare – cosa che lui ha sempre sfuggito – ma vorremmo ripensare le ragioni per cui non fu compreso nei suoi giorni e per cui può ancora illuminare la dedizione di tutti, in particolare dei preti, al Vangelo, alla Chiesa e ai poveri, nel nostro tempo».

«Sono venuto a Barbiana per rendere omaggio alla memoria di un sacerdote che ha testimoniato come nel dono di sé a Cristo si incontrano i fratelli nelle loro necessità e li si serve, perché sia difesa e promossa la loro dignità di persone, con la stessa donazione di sé che Gesù ci ha mostrato, fino alla croce». Così il Papa ha cominciato il suo discorso pubblico a Barbiana, alla presenza degli ex allievi di don Lorenzo a Calenzano e Barbiana, di 30 sacerdoti – tra cui gli attuali parroci delle tre parrocchie in cui don Milani ha esercitato il ministero pastorale, alcuni anziani sacerdoti che hanno condiviso con lui gli anni della formazione e i più giovani preti di Firenze, ordinati nel 2016 – e di una rappresentanza delle 200 case di accoglienza della diocesi di Firenze per coloro che si trovano in particolari situazioni di disagio.

E proprio agli ex allievi si è rivolto in primo luogo Francesco: «Voi siete i testimoni di come un prete abbia vissuto la sua missione, nei luoghi in cui la Chiesa lo ha chiamato, con piena fedeltà al Vangelo e proprio per questo con piena fedeltà a ciascuno di voi, che il Signore gli aveva affidato. E siete testimoni della sua passione educativa, del suo intento di risvegliare nelle persone l’umano per aprirle al divino. Di qui il suo dedicarsi completamente alla scuola, con una scelta che qui a Barbiana egli attuerà in maniera ancora più radicale». La scuola, per don Lorenzo, «non era una cosa diversa rispetto alla sua missione di prete, ma il modo concreto con cui svolgere quella missione, dandole un fondamento solido e capace di innalzare fino al cielo», ha puntualizzato il Papa: «E quando la decisione del vescovo lo condusse da Calenzano a qui, tra i ragazzi di Barbiana, capì subito che se il Signore aveva permesso quel distacco era per dargli dei nuovi figli da far crescere e da amare».

«Ridare ai poveri la parola, perché senza la parola non c’è dignità e quindi neanche libertà e giustizia: questo insegna don Milani». Così Papa Francesco ha sintetizzato l’insegnamento di don Milani. «Ed è la parola che potrà aprire la strada alla piena cittadinanza nella società, mediante il lavoro, e alla piena appartenenza alla Chiesa, con una fede consapevole», ha proseguito. «Questo vale a suo modo anche per i nostri tempi, in cui solo possedere la parola può permettere di discernere tra i tanti e spesso confusi messaggi che ci piovono addosso, e di dare espressione alle istanze profonde del proprio cuore, come pure alle attese di giustizia di tanti fratelli e sorelle che aspettano giustizia», l’attualizzazione del Papa: «Di quella piena umanizzazione che rivendichiamo per ogni persona su questa terra, accanto al pane, alla casa, al lavoro, alla famiglia, fa parte anche il possesso della parola come strumento di libertà e di fraternità».

Il saluto ai ragazzi e agli educatori. «So che voi, come tanti  altri nel mondo, vivete in situazioni di marginalità, e che qualcuno vi sta accanto per non lasciarvi soli e indicarvi una strada di possibile riscatto, un futuro che si apra su orizzonti più positivi». È il saluto del Papa a ragazzi e giovani, ospiti di case di accoglienza della diocesi di Firenze. «Vorrei da qui ringraziare tutti gli educatori, quanti si pongono al servizio della crescita delle nuove generazioni, in particolare di coloro che si trovano in situazioni di disagio», l’omaggio di Francesco: «La vostra è una  missione piena di ostacoli ma anche di gioie. Ma soprattutto è una missione. Una missione di  amore, perché non si può insegnare senza amare e senza la consapevolezza che ciò che si dona è solo un diritto che si riconosce, quello di imparare. E da insegnare ci sono tante cose, ma quella essenziale è la crescita di una coscienza libera, capace di confrontarsi con la realtà e di orientarsi in  essa guidata dall’amore, dalla voglia di compromettersi con gli altri, di farsi carico delle loro fatiche  e ferite, di rifuggire da ogni egoismo per servire il bene comune». Di qui la citazione da «Lettera a una professoressa»: «Ho imparato che il problema degli altri è eguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia». «Questo è un appello alla responsabilità», ha commentato il Papa: «Un appello che riguarda voi, cari giovani, ma prima  di tutto noi, adulti, chiamati a vivere la libertà di coscienza in modo autentico, come ricerca del vero, del bello e del bene, pronti a pagare il prezzo che ciò comporta». E «questo senza compromessi», ha aggiunto a braccio.

«Tutto nasce dal suo essere prete». «A tutti voglio ricordare che la dimensione sacerdotale di don Lorenzo Milani è alla radice di tutto quanto sono andato rievocando finora di lui». Il Papa si è quindi rivolto ai sacerdoti che ha voluto accanto a lui, nella sua visita a carattere strettamente privato: «Vedo tra voi preti anziani, che avete condiviso con don Lorenzo Milani gli anni del seminario o il ministero in luoghi qui vicini; e anche preti giovani, che rappresentano il futuro del clero fiorentino e italiano. Alcuni di voi siete dunque testimoni dell’avventura umana e sacerdotale di don Lorenzo, altri ne siete eredi». In don Milani, «tutto nasce dal suo essere prete», ha detto Francesco: «Ma, a sua volta, il suo essere prete ha una radice ancora più profonda: la sua fede. Una fede totalizzante, che diventa un donarsi completamente al Signore e che nel ministero sacerdotale trova la forma piena e compiuta per il giovane convertito». Di qui l’attualità delle parole di don Raffaele Bensi, sua guida spirituale: «Per salvare l’anima venne da me. Da quel giorno d’agosto fino all’autunno, si ingozzò letteralmente di Vangelo e di Cristo. Quel ragazzo partì subito per l’assoluto, senza vie di mezzo. Voleva salvarsi e salvare, ad ogni costo. Trasparente e duro come un diamante, doveva subito ferirsi e ferire». «Essere prete come il modo in cui vivere l’Assoluto», ha commentato il Papa, che come conferma ha citato subito dopo le parole della mamma di don Lorenzo, Alice: «Mio figlio era in cerca dell’Assoluto. Lo ha trovato nella religione e nella vocazione sacerdotale».

«Senza questa sete di Assoluto si può essere dei buoni funzionari del sacro, ma non si può essere preti, preti veri, capaci di diventare servitori di Cristo nei fratelli», ha ammonito Francesco: «Cari preti, con la grazia di Dio – il suo invito – cerchiamo di essere uomini di fede, una fede schietta, non annacquata; e uomini di carità, carità pastorale verso tutti coloro che il Signore ci affida come fratelli e figli». «Don Lorenzo ci insegna anche a voler bene alla Chiesa, come le volle bene lui, con la schiettezza e la verità che possono creare anche tensioni, ma mai fratture, abbandoni», ha sottolineato il Papa: «Amiamo la Chiesa, cari confratelli, e facciamola amare, mostrandola come madre premurosa di tutti, soprattutto dei più poveri e fragili, sia nella vita sociale sia in quella personale e religiosa. La Chiesa che don Milani ha mostrato al mondo ha questo volto materno e premuroso, proteso a dare a tutti la possibilità di incontrare Dio e quindi dare consistenza alla propria persona in tutta la sua dignità».              

Il riconoscimento della Chiesa. «Prima di concludere, non posso tacere che il gesto che ho oggi compiuto vuole essere una risposta a quella richiesta più volte fatta da don Lorenzo al suo vescovo, e cioè che fosse riconosciuto e compreso nella sua fedeltà al Vangelo e nella rettitudine della sua azione pastorale». Si è concluso con un solenne omaggio di Papa Francesco alla figura di don Milani la visita strettamente privata conclusa a Barbiana.  «In una lettera al vescovo  – ha detto Francesco – scrisse: ‘Se lei non mi onora oggi con un qualsiasi atto solenne, tutto il mio apostolato apparirà come un fatto privato…’. Dal card. Silvano Piovanelli, di cara memoria, in poi gli arcivescovi di Firenze hanno in diverse occasioni dato questo riconoscimento a don Lorenzo. Oggi lo fa il Vescovo di Roma. Ciò non cancella le amarezze che hanno accompagnato la vita di don Milani – non si tratta di cancellare la storia o di negarla, bensì di comprenderne circostanze e umanità in gioco –, ma dice che la Chiesa riconosce in quella vita un modo esemplare di servire il Vangelo, i poveri e la Chiesa stessa». «Con la mia presenza a Barbiana, con la preghiera sulla tomba di don Lorenzo Milani penso di dare risposta a quanto auspicava sua madre», ha detto Francesco citando l’auspicio di mamma Alice: «Mi preme soprattutto che si conosca il prete, che si sappia la verità, che si renda onore alla Chiesa anche per quello che lui è stato nella Chiesa e che la Chiesa renda onore a lui… quella Chiesa che lo ha fatto tanto soffrire ma che gli ha dato il sacerdozio, e la forza di quella fede che resta, per me, il mistero più profondo di mio figlio… Se non si comprenderà realmente il sacerdote che don Lorenzo è stato, difficilmente si potrà capire di lui anche tutto il resto. Per esempio il suo profondo equilibrio fra durezza e carità». Il prete «trasparente e duro come un diamante», ha concluso il Papa utilizzando la definizione di don Milani data da don Bensi, «continua a trasmettere la luce di Dio sul cammino della Chiesa». «Prendete la fiaccola e portatela avanti», il congedo sotto forma di invito, pronunciato a braccio, di Francesco. Salutando, infine, i presenti sul prato antistante della Chiesa, ancora a braccio Francesco ha detto: «Anche io prenda l’esempio di questo bravo prete». E poi, rivolgendosi di nuovo, ma fuori testo, ai preti: «Non c’è pensione nel sacerdozio, tutti avanti con coraggio!».