Vita Chiesa

Papa Francesco a Missionari Misericordia: «Nessuna barriera ostacoli accesso a perdono del Padre»

«Ho ricevuto molte testimonianze di conversioni che si sono realizzate tramite il vostro servizio. Davvero dobbiamo riconoscere che la misericordia di Dio non conosce confini e con il vostro ministero siete segno concreto che la Chiesa non può, non deve e non vuole creare alcuna barriera o difficoltà che ostacoli l’accesso al perdono del Padre. Il “figliol prodigo” non è dovuto passare per la dogana: è stato accolto dal Padre, senza ostacoli». Lo ha detto, questa mattina, Papa Francesco, incontrando, nella Sala Regia del Palazzo apostolico, gli oltre 550 Missionari della Misericordia provenienti dai 5 Continenti, riuniti a Roma per il secondo incontro con il Papa, organizzato dall’8 all’11 aprile dal Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione a due anni dall’istituzione, durante il Giubileo della Misericordia, di questo ministero. In apertura si è rivolto a «coloro che sono stati nominati vescovi». «Spero che non abbiano perso la capacità di “misericordiare”», ha affermato. Citando la seconda lettera di san Paolo ai Corinzi, il Papa ha poi ricordato ai missionari che «siamo i collaboratori di Dio». «Quanto intensa sia questa chiamata è facile verificarlo. Il messaggio che portiamo a nome di Cristo è quello di fare pace con Dio. Il nostro apostolato – ha aggiunto il Papa – è un appello a cercare e ricevere il perdono del Padre. Come si vede, Dio ha bisogno di uomini che portino nel mondo il suo perdono e la sua misericordia. È la stessa missione che il Signore risorto ha dato ai discepoli all’indomani della sua Pasqua». Una «responsabilità» che, ha sottolineato Francesco, «richiede uno stile di vita coerente con la missione che abbiamo ricevuto». «Essere collaboratori della misericordia, quindi, presuppone di vivere l’amore misericordioso che noi per primi abbiamo sperimentato. Non potrebbe essere altrimenti».

«I ministri non si mettono sopra gli altri quasi fossero dei giudici nei confronti dei fratelli peccatori – ha detto ancora il Papa – . Un vero missionario della misericordia si rispecchia nell’esperienza dell’Apostolo: Dio ha scelto me; Dio si fida di me; Dio ha riposto la sua fiducia in me chiamandomi, nonostante sia un peccatore, a essere suo collaboratore per rendere reale, efficace e far toccare con mano la sua misericordia». Il Pontefice ha citato la lettera di san Paolo a Timoteo per spiegare che «bisogna sempre ripartire da questo punto fermo: Dio mi ha trattato con misericordia». «È questa la chiave per diventare collaboratori di Dio. Si sperimenta la misericordia e si è trasformati in ministri della misericordia». San Paolo, infatti, «al termine della vita, non rinuncia a riconoscere chi era, non nasconde il suo passato». «Avrebbe potuto fare l’elenco di tanti successi, nominare tante comunità che aveva fondato; invece – ha evidenziato il Papa -, preferisce sottolineare l’esperienza che più lo ha colpito e segnato nella vita». Così a Timoteo «indica la strada da percorrere: riconoscere la misericordia di Dio anzitutto nella propria esistenza personale». E «non si tratta certo di adagiarsi sul fatto di essere peccatori, quasi a volersi ogni volta giustificare, annullando così la forza della conversione».

«A volte il sacerdote, invece di avvicinare il penitente, lo allontana». «Quanti sono collaboratori di Dio e amministratori della sua misericordia devono prestare attenzione a non vanificare la grazia di Dio», ha ammonito il Papa, richiamando quanto emerge dalla seconda lettera di san Paolo ai Corinzi: «Riconoscere l’agire della grazia e il suo primato nella vita nostra e delle persone». Per esprimere «la dinamica del primo atto con il quale Dio ci viene incontro», il Papa ha citato un neologismo che gli sta a cuore: «Primerear». Poi ha ricordato che «la riconciliazione non è, come spesso si pensa, una nostra iniziativa privata o il frutto del nostro impegno». Perché «se così fosse, cadremmo in quella forma di neo-pelagianesimo che tende a sopravvalutare l’uomo e i suoi progetti, dimenticando che il Salvatore è Dio e non noi», ha aggiunto citando ancora una volta l’eresia già segnalata nella lettera «Placuit Deo» e nell’esortazione apostolica «Gaudete et Exsultate». «Dobbiamo ribadire sempre, ma soprattutto riguardo al sacramento della Riconciliazione, che la prima iniziativa è del Signore; è Lui che ci precede nell’amore, ma non in forma universale: caso per caso – ha aggiunto -. In ogni caso Lui precede, con ogni persona». Il compito del sacerdote, a questo punto, «consiste nel non rendere vana l’azione della grazia di Dio, ma sostenerla e permettere che giunga a compimento». «A volte, purtroppo, può capitare che il sacerdote, con il suo comportamento, invece di avvicinare il penitente lo allontani». L’esempio citato da Francesco si verifica quando «per difendere l’integrità dell’ideale evangelico si trascurano i passi che una persona sta facendo giorno dopo giorno». «Non è così che si alimenta la grazia di Dio – ha ammonito il Papa -. Riconoscere il pentimento del peccatore equivale ad accoglierlo a braccia spalancate; significa non fargli terminare neppure le parole che aveva preparato per scusarsi – ha aggiunto ricordando la parabola del figliol prodigo -, perché il confessore ha già compreso ogni cosa, forte della sua esperienza di essere lui pure un peccatore». «Non c’è bisogno di far provare vergogna a chi ha già riconosciuto il suo peccato e sa di avere sbagliato; non è necessario inquisire, là dove la grazia del Padre è già intervenuta; non è permesso violare lo spazio sacro di una persona nel suo relazionarsi con Dio». Infine, il Papa ha portato un esempio dalla Curia romana: è il caso di un cardinale, prefetto di una Congregazione, che «ha l’abitudine di andare a confessare a Santo Spirito in Sassia due, tre volte alla settimana». «Un giorno, spiegando, disse: “Quando mi accorgo che una persona incomincia a fare fatica nel dire, e io ho compreso di che cosa si tratta, dico: Ho capito. Vai avanti”. E quella persona “respira”. È un bel consiglio». «Parliamo tanto male della Curia romana, ma qui dentro ci sono dei santi».