Vita Chiesa

Papa Francesco: a Pcpne, «La Parola di Dio non può essere conservata in naftalina»

«Custodire e proseguire è quanto compete alla Chiesa per sua stessa natura, perché la verità impressa nell’annuncio del Vangelo da parte di Gesù possa raggiungere la sua pienezza fino alla fine dei secoli». Lo ha detto il Papa, nel discorso con cui ha chiuso nell’Aula nuova del Sinodo l’incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione (Pcpne) in occasione dei 25 anni del Catechismo della Chiesa Cattolica.

«È questa la grazia che è stata concessa al Popolo di Dio, ma è ugualmente un compito e una missione di cui portiamo la responsabilità, per annunciare in modo nuovo e più completo il Vangelo di sempre ai nostri contemporanei», ha proseguito Francesco: «Con la gioia che proviene dalla speranza cristiana, e muniti della medicina della misericordia, ci avviciniamo pertanto agli uomini e alle donne del nostro tempo per permettere che scoprano l’inesauribile ricchezza racchiusa nella persona di Gesù Cristo».

La Chiesa deve guardare al presente. «San Giovanni XXIII aveva desiderato e voluto il Concilio non in prima istanza per condannare gli errori, ma soprattutto per permettere che la Chiesa giungesse finalmente a presentare con un linguaggio rinnovato la bellezza della sua fede in Gesù Cristo», ha ricordato il Papa all’inizio del suo discorso, facendo proprie le parole del «Papa buono» nel discorso di apertura del Concilio: «È necessario che la Chiesa non si discosti dal sacro patrimonio delle verità ricevute dai padri; ma al tempo stesso deve guardare anche al presente, alle nuove condizioni e forme di vita che hanno aperto nuove strade all’apostolato cattolico». «Il nostro dovere – continuava Giovanni XXIII – non è soltanto custodire questo tesoro prezioso, come se ci preoccupassimo unicamente dell’antichità, ma di dedicarci con alacre volontà e senza timore a quell’opera che la nostra età esige, proseguendo così il cammino che la Chiesa compie da quasi venti secoli».

Un tesoro di cose antiche e nuove. «Uno strumento importante non solo perché presenta ai credenti l’insegnamento di sempre in modo da crescere nella comprensione della fede, ma anche e soprattutto perché intende avvicinare i nostri contemporanei, con le loro nuove e diverse problematiche, alla Chiesa, impegnata a presentare la fede come la risposta significativa per l’esistenza umana in questo particolare momento storico». È la definizione del Catechismo della Chiesa Cattolica, nelle parole del Papa. «Non è sufficiente trovare un linguaggio nuovo per dire la fede di sempre», la tesi di Francesco: «È necessario e urgente che, dinanzi alle nuove sfide e prospettive che si aprono per l’umanità, la Chiesa possa esprimere le novità del Vangelo di Cristo che, pur racchiuse nella Parola di Dio, non sono ancora venute alla luce». «È quel tesoro di cose antiche e nuove di cui parlava Gesù, quando invitava i suoi discepoli a insegnare il nuovo da lui portato senza tralasciare l’antico», ha detto Francesco citando il Vangelo di Matteo e la «preghiera sacerdotale» di Gesù contenuta nel Vangelo di Giovanni, quando prima di affrontare la passione e la morte «si rivolge al Padre manifestando la sua obbedienza nell’aver compiuto la missione che gli era stata affidata» e prega perché tutti coloro che in futuro crederanno in lui «siano raccolti e conservati nell’unità».

Un’esperienza di conoscenza e di amore. «Conoscere Dio non è in primo luogo un esercizio teorico della ragione umana, ma un desiderio inestinguibile impresso nel cuore di ogni persona», ha ricordato il Papa: «Questa conoscenza si fa forte, giorno dopo giorno, della certezza della fede di sentirsi amati, e per questo inseriti in un disegno carico di senso. Chi ama vuole conoscere di più la persona amata per scoprire la ricchezza che nasconde in sé e che ogni giorno emerge come una realtà sempre nuova. Per questo motivo, il nostro Catechismo si pone alla luce dell’amore come un’esperienza di conoscenza, di fiducia e di abbandono al mistero».

Pena di morte inammissibile. La pena di morte è «un tema che dovrebbe trovare nel Catechismo della Chiesa Cattolica uno spazio più adeguato e coerente» con le sue finalità. È l’appello del Papa, che ha fatto notare che «questa problematica non può essere ridotta a un mero ricordo di insegnamento storico senza far emergere non solo il progresso nella dottrina ad opera degli ultimi Pontefici, ma anche la mutata consapevolezza del popolo cristiano, che rifiuta un atteggiamento consenziente nei confronti di una pena che lede pesantemente la dignità umana». «Si deve affermare con forza che la condanna alla pena di morte è una misura disumana che umilia, in qualsiasi modo venga perseguita, la dignità personale», ha affermato Francesco: «È in sé stessa contraria al Vangelo perché viene deciso volontariamente di sopprimere una vita umana che è sempre sacra agli occhi del Creatore e di cui Dio solo in ultima analisi è vero giudice e garante. Mai nessun uomo, neppure l’omicida perde la sua dignità personale, perché Dio è un Padre che sempre attende il ritorno del figlio il quale, sapendo di avere sbagliato, chiede perdono e inizia una nuova vita».

«A nessuno, quindi, può essere tolta non solo la vita, ma la stessa possibilità di un riscatto morale ed esistenziale che torni a favore della comunità», il monito del Papa, che ha osservato come «nei secoli passati, quando si era dinnanzi a una povertà degli strumenti di difesa e la maturità sociale ancora non aveva conosciuto un suo positivo sviluppo, il ricorso alla pena di morte appariva come la conseguenza logica dell’applicazione della giustizia a cui doversi attenere».

Il «mea culpa» per una mentalità più legalista che cristiana del passato. «Purtroppo, anche nello Stato Pontificio si è fatto ricorso a questo estremo e disumano rimedio, trascurando il primato della misericordia sulla giustizia», il «mea culpa» di Francesco: «Assumiamo le responsabilità del passato, e riconosciamo che quei mezzi erano dettati da una mentalità più legalistica che cristiana. La preoccupazione di conservare integri i poteri e le ricchezze materiali aveva portato a sovrastimare il valore della legge, impedendo di andare in profondità nella comprensione del Vangelo». Tuttavia, ha denunciato il Papa, «rimanere oggi neutrali dinanzi alle nuove esigenze per la riaffermazione della dignità personale, ci renderebbe più colpevoli». «Qui – ha spiegato – non siamo in presenza di contraddizione alcuna con l’insegnamento del passato, perché la difesa della dignità della vita umana dal primo istante del concepimento fino alla morte naturale ha sempre trovato nell’insegnamento della Chiesa la sua voce coerente e autorevole. Lo sviluppo armonico della dottrina, tuttavia, richiede di tralasciare prese di posizione in difesa di argomenti che appaiono ormai decisamente contrari alla nuova comprensione della verità cristiana».

A questo proposito, il Papa ha citato una frase di san Vincenzo di Lérins: «Forse qualcuno dice: dunque nella Chiesa di Cristo non vi sarà mai nessun progresso della religione? Ci sarà certamente, ed enorme. Infatti, chi sarà quell’uomo così maldisposto, così avverso a Dio da tentare di impedirlo?». «Per quanto grave possa essere stato il reato commesso, la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona», ha ribadito Francesco.

La natura e la missione della Chiesa. «Non solo nella dottrina, ma anche nella vita e nel culto viene offerta ai credenti la capacità di essere Popolo di Dio». Nel suo discorso, il Papa ha scelto una frase della Dei Verbum per sintetizzare «la natura e la missione della Chiesa». «La Parola di Dio non può essere conservata in naftalina come se si trattasse di una vecchia coperta da proteggere contro i parassiti!», ha ammonito: «La Parola di Dio è una realtà dinamica, sempre viva, che progredisce e cresce perché è tesa verso un compimento che gli uomini non possono fermare». Questa «legge del progresso», secondo la «felice formula di san Vincenzo di Lérins», per Francesco «appartiene alla peculiare condizione della verità rivelata nel suo essere trasmessa dalla Chiesa, e non significa affatto un cambiamento di dottrina». «Non si può conservare la dottrina senza farla progredire né la si può legare a una lettura rigida e immutabile, senza umiliare l’azione dello Spirito Santo», la tesi del Papa, che sulla scorta del documento conciliare ha ricordato che Dio «non cessa di parlare con la Sposa del suo Figlio». Una voce, questa, che per Francesco «siamo chiamati a fare nostra con un atteggiamento di religioso ascolto, per permettere alla nostra esistenza ecclesiale di progredire con lo stesso entusiasmo degli inizi, verso i nuovi orizzonti che il Signore intende farci raggiungere».