Vita Chiesa

Papa Francesco: a Tv2000 e InBlu Radio, «il nemico più grande di Dio è il denaro»

Nel colloquio con il direttore di Rete, Paolo Ruffini, e il direttore dell’Informazione, Lucio Brunelli, riflette sui frutti dell’Anno Santo straordinario («Una benedizione del Signore»); su come dovrà cambiare la Chiesa, sul modo in cui la misericordia interpella le coscienze dei singoli e degli Stati, sull’idolatria del denaro e sull’attenzione verso i più poveri. Papa Francesco racconta quindi numerosi episodi legati ai suoi «Venerdì della Misericordia» con ex prostitute, malati terminali, carcerati, Dio e le ricchezze. «Il diavolo sempre entra per le tasche, sempre», ribadisce il Papa: «È la sua porta d’entrata. Si deve lottare per fare una Chiesa povera per i poveri, secondo il Vangelo, no? Si deve lottare. E quando io vedo Matteo 25, che è il protocollo sul quale noi saremo giudicati, capisco di più cosa significa una Chiesa povera per i poveri: le opere di misericordia, no?, in Matteo 25. È possibile, ma sempre si deve lottare perché la tentazione della ricchezza è molto grande. Sant’Ignazio ci insegna, negli esercizi, che ci sono tre scalini: il primo, la ricchezza che incomincia a corrompere l’anima; poi, la vanità, le bolle di sapone, una vita vanitosa, l’apparire, il figurare… e poi, la superbia e l’orgoglio. E da lì, tutti i peccati. Ma il primo scalino sono i soldi, la mancanza di povertà. Per questo non è facile, e bisogna continuamente, continuamente riflettere, esaminarsi».

«Io ho allergia degli adulatori. Ho allergia. Mi viene naturale, eh? non è virtù», dice ancora Bergoglio nell’intervista. «Perché adulare un altro è usare una persona per uno scopo, nascosto o che si veda, ma per ottenere qualcosa per se stesso», spiega: «Anche, è indegno. Noi, a Buenos Aires, nell’argot porteño nostro, gli adulatori li chiamiamo ‘lecca calze’ (leccapiedi), e la figura è proprio di quello che lecca le calze dell’altro. È brutto masticare le calze dell’altro, perché … è un nome ben fatto… E anche a me, quando mi lodano, anche qualcuno che mi loda per qualcosa che è uscita bene: ma subito, tu ti accorgi chi ti loda lodando Dio, ‘ma, sta bene, bravo, avanti, questo si deve fare!’, e chi lo fa con un po’ di olio per farsi … I detrattori, ma … i detrattori parlano male di me, e io me lo merito, perché sono un peccatore: così mi viene di pensare. Quello non mi fa pensare, non mi preoccupa. Ma non te lo meriti per questo! No. Però, per quello che lui non sa. E così risolvo il problema. Ma l’adulatore è … non so come si dice in italiano, ma è come l’olio …». Atra grazia che il Papa chiede «tutti i giorni», è il senso dell’umorismo, «perché il senso dell’umorismo ti solleva, ti fa vedere il provvisorio della vita e prendere le cose con uno spirito di anima redenta. È un atteggiamento umano, ma è il più vicino alla grazia di Dio».

Il Papa ha poi ribadito che «Il carcere come punizione. E questo non è buono». Il carcere è come un purgatorio», prosegue Francesco, secondo il quale «non c’è una vera pena senza speranza. Se una pena non ha speranza, non è una pena cristiana, non è umana. Per questo, la pena di morte non va». «L’ergastolo, così freddo, è una pena di morte un po’ coperta», ammonisce il Papa: «Ma nel caso di una persona che per le sue caratteristiche psicologiche non dia una garanzia di reinserimento? Ma ci sono forme di reinserirlo con il lavoro, con la cultura, all’interno di un certo regime di carcere, ma che lui si senta utile alla società, sorvegliato, ma l’anima è cambiata: non è quello che ha fatto il reato, un criminale, ma è uno che ha cambiato la sua vita e adesso fa qualcosa dentro il carcere che lo reinserisce e si sente con un’altra dignità, no? E questo è importante. Ma il muro – sia la pena di morte, sia l’ergastolo, così, come punizione – non aiuta».