Vita Chiesa

Papa Francesco a convegno Diocesi di Roma: «Ricostruire i legami familiari in una società liquida»

«Tante volte io volo e lui mi ha fatto atterrare». «Il cardinale Vallini ha tante virtù, e anche un senso di oggettività che mi ha aiutato tante volte». Prima di incominciare il suo discorso a San Giovanni in Laterano, il Papa ha risposto a braccio al saluto del cardinale Vallini. «Tante volte io volo e lui mi ha fatto atterrare con tanta carità», ha scherzato il Papa. «Non andrà in pensione», ha assicurato: «È in sei Congregazioni, continuerà a lavorare. È meglio così, perché un napoletano senza lavoro è una calamità in diocesi!». «Voglio ringraziare il cardinale Vallini per le sue parole», ha esordito Francesco: «E vorrei dire una cosa che lui non poteva dire, perché è sotto segreto, ma il Papa può dirlo. Quando dopo l’ elezione mi hanno detto che dovevo uscire prima nella Cappella Paolina e poi dal balcone a salutare la gente, subito mi è venuto il mente il nome del cardinale vicario. Questo l’ho sentito con simpatia e l’ho chiamato, e il cardinale Hummes che era davanti a me negli scrutini e diceva tante cose, anche lui mi  ha aiutato… Questi due mi hanno accompagnato. Il cardinale vicario mi ha accompagnato e mi sono affacciato con lui sul balcone, e voglio ringraziarlo».

Pensare e pregare in romanesco. Pensare, e pregare, «in romanesco». Il discorso del Papa all’apertura del Convegno della diocesi di Roma parte da un invito ad agire «in dialetto»: «Non per rinchiudersi e ignorare il resto – siamo sempre italiani – ma per affrontare la riflessione, e persino i momenti di preghiera, con un sano e stimolante realismo».  «Bisogna fare uno sforzo notevole, perché ci è chiesto di pensare alle nostre famiglie nel contesto di una grande città come Roma», ammette Francesco: «Con tutta la sua ricchezza, le opportunità, la varietà, e nello stesso tempo con tutte le sue sfide». «La vita delle famiglie e l’educazione degli adolescenti in una grande metropoli come questa esige alla base un’attenzione particolare e non possiamo prenderla alla leggera», la tesi del Papa, secondo il quale «non è la stessa cosa educare o essere famiglia in un piccolo paese e in una metropoli». «Non dico che sia meglio o peggio, è semplicemente diverso», puntualizza Francesco: «La complessità della capitale non ammette sintesi riduttive, piuttosto ci stimola a un modo di pensare poliedrico, per cui ogni quartiere e zona trova eco nella diocesi e così la diocesi può farsi visibile, palpabile in ogni comunità ecclesiale, con il suo proprio modo di essere».

«Voi vivete le tensioni di questa grande città», ha detto il Papa rivolgendosi al suo uditorio: «In molte delle visite pastorali che ho compiuto mi hanno presentato alcune delle vostre esperienze quotidiane: le distanze tra casa e lavoro (in alcuni casi fino a 2 ore per arrivare); la mancanza di legami familiari vicini, a causa del fatto di essersi dovuti spostare per trovare lavoro o per poter pagare un affitto; il vivere sempre «al centesimo’ per arrivare alla fine del mese, perché il ritmo di vita è di per sé più costoso (nel paese ci si arrangia meglio); il tempo tante volte insufficiente per conoscere i vicini là dove viviamo; il dover lasciare in moltissimi casi i figli soli… ». «Perciò la riflessione, la preghiera, fatela ‘in romanesco’, con volti di famiglie ben concreti e pensando come aiutarvi tra voi a formare i vostri figli all’interno di questa realtà», l’invito di Francesco sulla scorta del tema del Convegno: «Non lasciamoli soli! Accompagnare i genitori nell’educazione dei figli adolescenti»: «Non abbiate paura di ‘camminare’ per i vostri quartieri, e pensare a come dare impulso a un accompagnamento per i genitori e gli adolescenti».

Giovani «sognatori» solo con i nonni. La nostra è una società «liquida», cioè «sradicata», vale a dire abitata da «persone, famiglie», che «a poco a poco vanno perdendo i loro legami, quel tessuto vitale così importante per sentirci parte gli uni degli altri, partecipi con gli altri di un progetto comune». È l’analisi del Papa, che nel discorso di apertura del Convegno della sua diocesi ha aggiornato la celebre definizione del sociologo Bauman denunciando che la nostra società sta perdendo «l’esperienza di sapere che apparteniamo ad altri, nel senso più nobile del termine». «È importante tenere conto di questo clima di sradicamento, perché a poco a poco passa nei nostri sguardi e specialmente nella vita dei nostri figli», il monito di Francesco, secondo il quale «una cultura sradicata, una famiglia sradicata è una famiglia senza storia, senza memoria, senza radici. E quando non ci sono radici, qualsiasi vento finisce per trascinarti». Per questo, suggerisce il Papa, «una delle prime cose a cui dobbiamo pensare come genitori, come famiglie, come pastori sono gli scenari dove radicarci, dove generare legami, trovare radici, dove far crescere quella rete vitale che ci permetta di sentirci ‘casa’».

Le reti sociali. «Oggi le reti sociali sembrerebbero offrirci questo spazio di ‘rete’, di connessione con altri, e anche i nostri figli li fanno sentire parte di un gruppo», l’analisi di Francesco: «Ma il problema che comportano, per la loro stessa virtualità, è che ci lasciano come ‘per aria’ e perciò molto ‘volatili’. Non c’è peggior alienazione per una persona di sentire che non ha radici, che non appartiene a nessuno». «Tante volte esigiamo dai nostri figli un’eccessiva formazione in alcuni campi che consideriamo importanti per il loro futuro», il rilievo sull’educazione: «Li facciamo studiare una quantità di cose perché diano il ‘massimo’. Ma non diamo altrettanta importanza al fatto che conoscano la loro terra, le loro radici. Li priviamo della conoscenza dei geni e dei santi che ci hanno generato». Di qui l’apprezzamento del laboratorio intergenerazionale della diocesi, e al suo «spazio» dedicato ai nonni.  «Affinché i nostri giovani abbiano visioni, siano ‘sognatori’, possano affrontare con audacia e coraggio i tempi futuri, è necessario che ascoltino i sogni profetici dei loro padri», ha ribadito il Papa: «Se vogliamo che i nostri figli siano formati e preparati per il domani, non è solo imparando lingue  che ci riusciranno. È necessario che si connettano, che conoscano le loro radici. Solo così potranno volare alto, altrimenti saranno presi dalle ‘visioni’ di altri».

«I  nonni che sognano danno ai bambini l’appartenenza di cui hanno bisogno», ha aggiunto, a braccio, il Papa. «Oggi ai nonni non li lasciamo sognare», ha proseguito sempre a braccio: «La nostra cultura li scarta perché non producono». «Ma i nonni possono sognare soltanto quando si incontrano con la vita nuova, e lì sognano», ha puntualizzato Francesco a proposito del dialogo intergenerazionale, oggetto di uno dei laboratori della diocesi di Roma. «Non lasciamoli da parte!», ha esclamato il Papa, esortando la diocesi ad un «esame di coscienza» sul modo in cui vengono trattati gli anziani. A questo proposito, il Papa ha raccontato ancora una volta l’aneddoto del nonno molto vecchio che a tavola, mangiando, si sporcava. Così il figlio ha deciso di farlo mangiare da solo in un’altra stanza, in modo da porter invitare gli amici. «Alcuni giorni dopo – le parole di Francesco – il papà ha trovato suo figlio che giocava con il martello, i chiodi e il legno e gli ha chiesto: ‘Cosa stai facendo?’. «Un tavolo’. ‘Perché?’. ‘Perché quando tu invecchi possa mangiare da solo lì’». «Dobbiamo stare attenti agli zii», l’altro invito del Papa: «Le prime parolacce le ho imparate da uno zio ‘zitello’», ha rivelato. «Per guadagnarsi la simpatia dei nipoti, tante volte non fanno bene», l’obiezione di Francesco: «Noi avevamo uno zio che ci dava di nascosto le sigarette».

«L’adolescenza non è una patologia e non possiamo affrontarla come se lo fosse». È il passaggio centrale del discorso del Papa.  «Un figlio che vive la sua adolescenza, per quanto possa essere difficile per i genitori, è un figlio con futuro e speranza», ha detto Francesco, ribaltando la prospettiva con cui questa fase della vita dei figli viene in genere affrontata dai genitori. «Mi preoccupa tante volte la tendenza attuale a ‘medicalizzare’ precocemente i nostri ragazzi», il grido d’allarme del Papa: «Sembra che tutto si risolva medicalizzando, o controllando tutto con lo slogan ‘sfruttare al massimo il tempo’, e così risulta che l’agenda dei ragazzi è peggio di quella di un alto dirigente». «L’adolescenza non è una patologia che dobbiamo combattere», ha ripetuto Francesco: «Fa parte della crescita normale, naturale della vita dei nostri ragazzi. Dove c’è vita c’è movimento, dove c’è movimento ci sono cambiamenti, ricerca, incertezze, c’è speranza, gioia e anche angoscia e desolazione. Inquadriamo bene i nostri discernimenti all’interno di processi vitali prevedibili. Esistono margini che è necessario conoscere per non allarmarsi, per non essere nemmeno negligenti, ma per saper accompagnare e aiutare a crescere». «Non è tutto indifferente, ma nemmeno tutto ha la stessa importanza», la tesi del Papa, secondo il quale «bisogna discernere quali battaglie sono da fare e quali no».

«In questo serve molto ascoltare coppie con esperienza, che se pure non ci daranno mai una ricetta, ci aiuteranno con la loro testimonianza a conoscere questo o quel margine o gamma di comportamenti», il consiglio. Il punto di partenza da cui partire è che «l’adolescenza è una fase di passaggio nella vita non solo dei vostri figli, ma di tutta la famiglia». «Voi lo sapete bene e lo vivete; e come tale, nella sua globalità, dobbiamo affrontarla», le parole rivolte ai genitori: «È una fase-ponte, e per questo motivo gli adolescenti non sono né di qua né di là, sono in cammino, in transito. Non sono bambini – e non vogliono essere trattati come tali – e non sono adulti, ma vogliono essere trattati come tali, specialmente a livello di privilegi. Vivono proprio questa tensione, prima di tutto in sé stessi e poi con chi li circonda. Cercano sempre il confronto, domandano, discutono tutto, cercano risposte. Passano attraverso vari stati d’animo, e le famiglie con loro. Però, permettetemi di dirvi che è un tempo prezioso nella vita dei vostri figli. Un tempo difficile, sì. Un tempo di cambiamenti e di instabilità, sì. Una fase che presenta grandi rischi, senza dubbio. Ma, soprattutto, è un tempo di crescita per loro e per tutta la famiglia».

«Diamo noi la vertigine» ai giovani. «I nostri ragazzi cercano di essere e vogliono sentirsi – logicamente – protagonisti. Cercano in molti modi la ‘vertigine’ che li faccia sentire vivi. Dunque, diamogliela!». A lanciare l’invito, controcorrente, è stato il Papa, nel discorso con cui ha aperto il Convegno annuale della sua diocesi. «Stimoliamo tutto quello che li aiuta a trasformare i loro sogni in progetti, e che possano scoprire che tutto il potenziale che hanno è un ponte, un passaggio verso una vocazione, nel senso più ampio e bello della parola», la ricetta pastorale: «Proponiamo loro mete ampie, grandi sfide e aiutiamoli a realizzarle, a raggiungere le loro mete». «Non lasciamoli soli, sfidiamoli più di quanto loro ci sfidano», l’invito agli educatori: «Non lasciamo che la ‘vertigine’ la ricevano da altri, i quali non fanno che mettere a rischio la loro vita: diamogliela noi». «Questo richiede – ha spiegato il Papa – di trovare educatori capaci di impegnarsi nella crescita dei ragazzi. Richiede educatori spinti dall’amore e dalla passione di far crescere in loro la vita dello Spirito di Gesù, di far vedere che essere cristiani esige coraggio ed è una cosa bella. Per educare gli adolescenti di oggi non possiamo continuare a utilizzare un modello di istruzione meramente scolastico, solo di idee. Bisogna seguire il ritmo della loro crescita. È importante aiutarli ad acquisire autostima, a credere che realmente possono riuscire in ciò che si propongono». Il percorso suggerito dal vescovo di Roma è quello di una «alfabetizzazione integrata», cioè «un’educazione basata sull’intelletto (la testa), gli affetti (il cuore) e l’agire (le mani)», che sappia «insegnare ai nostri ragazzi a integrare tutto ciò che sono e che fanno», attraverso la capacità di «sviluppare in maniera simultanea e integrata i diversi linguaggi che ci costituiscono come persone».  «Questo offrirà ai nostri ragazzi la possibilità di una crescita armonica a livello non solo personale, ma al tempo stesso sociale», ha assicurato Francesco, secondo il quale «urge creare luoghi dove la frammentazione sociale non sia lo schema dominante».

«Occorre insegnare a pensare ciò che si sente e si fa, a sentire ciò che si pensa e si fa, a fare ciò che si pensa e si sente», ha detto il Papa ripetendo l’invito fatto al mondo della scuola, in piazza San Pietro, il 10 maggio del 2014: «Un dinamismo di capacità posto al servizio della persona e della società. Questo aiuterà a far sì che i nostri ragazzi si sentano attivi e protagonisti nei loro processi di crescita e li porterà anche a sentirsi chiamati a partecipare alla costruzione della comunità».  «Spesso pensiamo che l’educazione sia impartire conoscenze e lungo il cammino lasciamo degli analfabeti emotivi e ragazzi con tanti progetti incompiuti perché non hanno trovato chi insegnasse loro a fare», la denuncia di Francesco: «Abbiamo concentrato l’educazione nel cervello trascurando il cuore e le mani. E questa è anche una forma di frammentazione sociale».

No a «competizione» tra genitori e figli e a «lifting» al cuore. «I ragazzi vogliono essere ‘grandi’ e i ‘grandi’ vogliono essere o sono diventati adolescenti». Il papa ha messo l’accento su questa «dinamica ambientale che ci interpella tutti». «Non possiamo ignorare questa cultura, dal momento che è un aria che tutti respiriamo», il monito di Francesco,  secondo il quale «oggi c’è una specie di competizione tra genitori e figli; diversa da quella di altre epoche in cui normalmente si verificava il confronto tra gli uni e gli altri». «Oggi siamo passati dal confronto alla competizione», il grido d’allarme del Papa: «I nostri ragazzi oggi trovano molta competizione e poche persone con cui confrontarsi. Il mondo adulto ha accolto come paradigma e modello di successo l’eterna giovinezza. Sembra che crescere, invecchiare, ‘stagionarsi’ sia un male. È sinonimo di vita frustrata o esaurita. Oggi sembra che tutto vada mascherato e dissimulato. Come se il fatto stesso di vivere non avesse senso».

«Com’è triste che qualcuno voglia fare il lifting al cuore! Com’è doloroso che qualcuno voglia cancellare le ‘rughe’ di tanti incontri, di tante gioie e tristezze!», ha esclamato Francesco, che come esempio positivo, in senso contrario, ha citato «la grande Anna Magnani, che quando le hanno proposto di fare un lifting ha risposto: ‘Queste rughe mi sono costate tutta la vita, sono preziose!’». «Questa è una delle minacce ‘inconsapevoli’ più pericolose nell’educazione dei nostri adolescenti – ha tuonato il Papa salutato dagli applausi -: escluderli dai loro processi di crescita perché gli adulti occupano il loro posto. Adulti che non vogliono essere adulti e vogliono giocare a essere adolescenti per sempre. Questa ‘emarginazione’ può aumentare una tendenza naturale che hanno i ragazzi a isolarsi o a frenare i loro processi di crescita per mancanza di confronto».

«Austerità» antidoto a «voragine di consumo» e «golosità spirituale». «In un contesto di consumismo molto forte», in cui «sembra che siamo spinti a consumare consumo, nel senso che l’importante è consumare sempre», è urgente «recuperare quel principio spirituale così importante e svalutato: l’austerità». Il Papa ha concluso con questa raccomandazione il suo discorso di apertura al Convegno della diocesi di Roma. «Siamo entrati in una voragine di consumo e siamo indotti a credere che valiamo per quanto siamo capaci di produrre e di consumare, per quanto siamo capaci di avere», la denuncia di Francesco, che a braccio ha citato le statistiche che dicono che, dopo quelle alimentari, le spese maggiori degli italiani – uomini e donne – sono sostenute per i cosmetici: educare, invece, all’austerità «è una ricchezza incomparabile», perché «risveglia l’ingegno e la creatività, genera possibilità per l’immaginazione e specialmente apre al lavoro in équipe, in solidarietà, apre agli altri». «Esiste una specie di golosità spirituale», ha spiegato il Papa a proposito di quell’atteggiamento «dei golosi che, invece di mangiare, divorano tutto ciò che li circonda, sembrano ingozzarsi mangiando». «Credo che ci faccia bene educarci meglio, come famiglia, in questa ‘golosità’ e dare spazio all’austerità come via per incontrarsi, gettare ponti, aprire spazi, crescere con gli altri e per gli altri», la proposta di Francesco: «Questo lo può fare solo chi sa essere austero; altrimenti è un semplice goloso». Infine, la citazione dell’Amoris Laetitia, come bussola e direzione di marcia: «La storia di una famiglia è solcata da crisi di ogni genere, che sono anche parte della sua drammatica bellezza. Bisogna aiutare a scoprire che una crisi superata non porta ad una relazione meno intensa, ma a migliorare, a sedimentare e a maturare il vino dell’unione. Non si vive insieme per essere sempre meno felici, ma per imparare ad essere felici in modo nuovo, a partire dalle possibilità aperte da una nuova tappa».