Vita Chiesa

Papa Francesco ai Gesuiti: «Camminare insieme andando alle periferie dove gli altri non arrivano»

Dando il benvenuto al Santo Padre nell’Aula della congregazione, il padre Arturo Sosa ha detto: «Caro Papa Francesco, a nome della Compagnia di Gesù riunita in occasione della 36a Congregazione generale le do il benvenuto in quest’Aula. Grazie di essere venuto nella nostra casa. Quest’incontro avviene in un momento molto importante della 36a Congregazione generale. Siamo nel pieno del discernimento sulle questioni proposte dall’intera Compagnia». Il Papa non può partecipare alla Congregazione generale, si legge in una nota dei gesuiti, ma può richiedere che la Compagnia consideri alcune questioni di grande importanza che riguardano la missione. Nel corso della storia, quando i gesuiti si sono riuniti per una Congregazione generale hanno chiesto un’udienza con il Santo Padre che ha l’opportunità di affidare direttamente una missione alla Compagnia di Gesù in accordo con il quarto voto. «Per i membri della 36a Congregazione generale che si trovano nel pieno del discernimento della missione della Compagnia di Gesù all’interno della più ampia missione della Chiesa – conclude la nota -, l’udienza con il Santo Padre, a cui i gesuiti professano uno speciale voto di obbedienza, è stato un momento importante».

«Camminare insieme – liberi e obbedienti – camminare andando alle periferie dove gli altri non arrivano». Così il Papa ha sintetizzato la missione dei Gesuiti, nel discorso tenuto oggi. «La Chiesa ha bisogno di voi», ha ripetuto Francesco ai suoi confratelli sulla scia dei suoi predecessori: il beato Paolo VI, San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Lo stile additato ai gesuiti è il «modo» di sant’Ignazio: «Vedere le cose nel loro divenire, nel loro farsi, eccetto il sostanziale». Si tratta, per il Papa, di uno stile che «toglie la Compagnia di Gesù da tutte le paralisi e la libera da tante velleità». «Il modo d’essere dell’Istituto è cammino verso di Lui», ha ribadito Francesco citando la «formula»: «Tanto la povertà quanto l’obbedienza o il fatto di non essere obbligati a determinate cose come la preghiera in coro, non sono né esigenze né privilegi, ma aiuti fatti alla mobilità della Compagnia», per «correre» verso «i luoghi, i tempi e le persone», affinché «tutte le regole siano d’aiuto per cose concrete».

«Il camminare, per Ignazio, non è un mero andare vagando, ma è fare qualcosa in favore degli altri». Il Papa si è soffermato sul concetto di «giovamento» nell’accezione ignaziana. «Il giovamento non è individualistico, è comune», ha spiegato: «Se da qualche lato si inclinava la bilancia nel cuore di Ignazio, era verso l’aiuto al prossimo, tanto è vero che si arrabbiava se gli dicevano che la ragione per cui uno si sarebbe fermato nella Compagnia era perché in tal modo avrebbe salvato la sua anima». «Unire tensioni», altra raccomandazione contenuta nella Formula, che esorta a unire «la salvezza e la perfezione propria e la salvezza e la perfezione del prossimo». «L’armonizzazione di questa e di tutte le tensioni – ha ammonito Francesco – non si dà mediante formulazioni astratte»: «Camminando e progredendo, la Compagnia va armonizzando le tensioni che inevitabilmente le diversità di persone che convoca e le missioni che riceve contengono e producono».

«Le opere di misericordia – la cura dei malati negli ospedali, l’elemosina mendicata e distribuita, l’insegnamento ai piccoli, il sopportare pazientemente le molestie… – erano l’ambiente vitale in cui Ignazio e i primi compagni si muovevano ed esistevano, il loro pane quotidiano. Stavano attenti che tutto il resto non fosse di ostacolo!», ha ricordato il Papa, nel discorso ai gesuiti, in cui ha spiegato che «il giovamento non è elitario», ma è «quello che maggiormente ci fa bene». «Si tratta del ‘magis’, di quel plus che porta Ignazio ad iniziare processi, ad accompagnarli e a valutare la loro reale incidenza nella vita delle persone, in materia di fede, o di giustizia, o di misericordia e carità», ha proseguito Francesco: «Il magis è il fuoco, il fervore dell’azione, che scuote gli assonnati. I nostri santi lo hanno sempre incarnato». «Dicevano di sant’Alberto Hurtado che era un dardo acuto che si conficca nella carne addormentata della Chiesa», le parole del Papa, che ha messo ancora una volta in guardia dalla «tentazione che Paolo VI chiamava ‘spiritus vertiginis’ e De Lubac ‘mondanità spirituale’». «Tentazione che non è, in primo luogo, morale ma spirituale – ha ammonito Francesco – e che ci distrae dall’essenziale: che è essere di giovamento, lasciare un’impronta, incidere nella storia, specialmente nella vita dei più piccoli».

Cercare la gioia, ha poi spiegato il Papa, «non va confuso con il cercare un effetto speciale, che la nostra epoca sa produrre per esigenze di consumo»: è «uscire verso tutte le periferie». E ha ricordato che «è compito proprio della Compagnia consolare il popolo fedele e aiutare con il discernimento affinché il nemico della natura umana non ci sottragga la gioia: la gioia di evangelizzare, la gioia della famiglia, la gioia della Chiesa, la gioia del creato… Che non ce la rubi né per scoraggiamento di fronte alla grandezza dei mali del mondo e ai malintesi tra coloro che si propongono di fare il bene, né che ce la rimpiazzi con le gioie fatue che sono sempre a portata di mano in qualsiasi negozio». «Chiedere insistentemente la consolazione», il primo dei tre imperativi consegnati ai suoi confratelli: «Praticare e insegnare questa preghiera di chiedere e supplicare la consolazione è il principale servizio alla gioia». «Una buona notizia non si può dare con il volto triste», ha ammonito il Papa, secondo il quale «la gioia non è un ‘di più’ decorativo, è chiaro indice della grazia: indica che l’amore è attivo, operante, presente». «Questo servizio della gioia – ha sottolineato Francesco – fu quello che condusse i primi compagni a decidere di non sciogliere ma costituire la compagnia che si offrivano e condividevano spontaneamente e la cui caratteristica era la gioia che dava loro il pregare insieme, l’uscire in missione insieme e il tornare a riunirsi, ad imitazione della vita che conducevano il Signore e i suoi Apostoli. Questa gioia dell’annuncio esplicito del Vangelo – mediante la predicazione della fede e la pratica della giustizia e della misericordia – è ciò che porta la Compagnia ad uscire verso tutte le periferie». In sintesi, il gesuita «è un servitore della gioia del Vangelo, sia quando lavora artigianalmente conversando e dando gli esercizi spirituali a una sola persona, sia quando lavora in maniera strutturata organizzando opere di formazione, di misericordia, di riflessione».

«Dove c’è un dolore, là c’è la Compagnia». Papa Francesco ha cominciato da questa frase di padre Arrupe, per spiegare ai suoi confratelli gesuiti che «la misericordia non è una parola astratta ma uno stile di vita, che antepone alla parola i gesti concreti che toccano la carne del prossimo e si istituzionalizzano in opere di misericordia». «Il modo in cui Ignazio vive e formula la sua esperienza della misericordia – ha detto Francesco citando gli esercizi spirituali ignaziani – è di grande giovamento personale e apostolico e richiede un’acuta ed elevata esperienza di discernimento», soprattutto per liberare «la forza vivificante della misericordia che noi molte volte diluiamo con formulazioni astratte e condizioni legalistiche». «Il Signore, che ci guarda con misericordia e ci sceglie, ci invia per far giungere con tutta la sua efficacia la stessa misericordia ai più poveri, ai peccatori, agli scartati e ai crocifissi del mondo attuale che soffrono l’ingiustizia e la violenza», la consegna del Papa: «Solo se sperimentiamo questa forza risanatrice nel vivo delle nostre stesse piaghe, come persone e come corpo, perderemo la paura di lasciarci commuovere dall’immensità della sofferenza dei nostri fratelli e ci lanceremo a camminare pazientemente con la nostra gente, imparando da essa il modo migliore di aiutarla e servirla».

Essere «uomini per gli altri» – «Non clericali, ma ecclesiali» – e «agire contro lo spirito antiecclesiale». Con queste parole il Papa, al termine del discorso ha declinato il terzo imperativo: «Fare il bene di buon animo, sentendo con la Chiesa». «Non basta pensare, fare o organizzare il bene, ma bisogna compierlo con buon spirito», l’indicazione di Francesco, secondo il quale «è proprio della Compagnia fare le cose sentendo con la Chiesa». «Fare questo senza perdere la pace e con gioia, considerati i peccati che vediamo sia in noi come persone sia nelle strutture che abbiamo creato – ha ammonito il Papa – implica portare la Croce, sperimentare la povertà e le umiliazioni» e, non ultimo «agire contro» lo spirito antiecclesiale, «inclinandosi totalmente e decisamente dal lato della nostra Madre, la Chiesa, non per giustificare una posizione discutibile, ma per aprire uno spazio in cui lo Spirito avrebbe potuto agire a suo tempo». «Non camminiamo né da soli né comodi», le parole scelte da Francesco per spigare la «spogliazione», che «fa sì che la Compagnia abbia e possa sempre avere il volto, l’accento e il modo di essere di tutti i popoli, di ogni cultura, inserendosi in tutti, nello specifico del cuore di ogni popolo, per fare lì Chiesa con ognuno di essi, inculturando il Vangelo ed evangelizzando ogni cultura».