Vita Chiesa

Papa Francesco ai vescovi: non trasformatevi in funzionari

«Avete tanti compiti, la Chiesa ha tanti compiti. Il dialogo con le istituzioni sociali, culturali e politiche è compito vostro e non è facile. Fate anche tanto lavoro con le Conferenze episcopali regionali che sono voci di tante Regioni così diverse. È bello! Forse bisognerebbe ridurre un po’ il numero delle diocesi, sono tante. Andate avanti con fratellanza. Il dialogo culturale, sociale e politico è cosa vostra. Avanti!». È quanto ha affermato Papa Francesco rispondendo, a braccio, al saluto rivoltogli questa sera dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, all’inizio della celebrazione della «professio fidei», nella Basilica di San Pietro.

«È significativo – e ne sono particolarmente contento – che il nostro primo incontro avvenga proprio qui, sul luogo che custodisce non solo la tomba di Pietro, ma la memoria viva della sua testimonianza di fede, del suo servizio alla verità, del suo donarsi fino al martirio per il Vangelo e per la Chiesa». Sono le prime parole rivolte dal Papa ai vescovi italiani riuniti in occasione della 65ª assemblea generale in corso fino a domani in Vaticano. «Questa sera – ha proseguito Papa Francesco, nel suo primo incontro con i vescovi italiani – l’altare della Confessione diventa così il nostro lago di Tiberiade, sulle cui rive riascoltiamo lo stupendo dialogo tra Gesù e Pietro, con l’interrogativo indirizzato all’Apostolo, ma che deve risuonare anche nel nostro cuore». «Mi ami tu? Mi sei amico?», è la duplice domanda contenuta nel Vangelo di Giovanni, che il Papa ha ripetuto tre volte: «La domanda – ha spiegato – è rivolta a un uomo che, nonostante solenni dichiarazioni, si era lasciato prendere dalla paura e aveva rinnegato». La domanda, per il Papa, «è rivolta a ciascuno di noi: se evitiamo di rispondere in maniera troppo affrettata e superficiale, essa ci spinge a guardarci dentro, a rientrare in noi stessi».

«La conseguenza dell’amare il Signore è dare tutto – proprio tutto, fino alla stessa vita – per Lui: questo è ciò che deve distinguere il nostro ministero pastorale; è la cartina di tornasole che dice con quale profondità abbiamo abbracciato il dono ricevuto rispondendo alla chiamata di Gesù e quanto ci siamo legati alle persone e alle comunità che ci sono state affidate». Lo ha detto il Papa ai vescovi, ai quali ha precisato: «Non siamo espressione di una struttura o di una necessità organizzativa: anche con il servizio della nostra autorità siamo chiamati a essere segno della presenza e dell’azione del Signore risorto, a edificare, quindi, la comunità nella carità fraterna». «Colui che scruta i cuori – ha proseguito il Papa citando la lettera ai Romani – si fa mendicante d’amore e c’interroga sull’unica questione veramente essenziale, premessa e condizione per pascere le sue pecore, i suoi agnelli, la sua Chiesa». «Ogni ministero – ha affermato il Papa – si fonda su questa intimità con il Signore; vivere di Lui è la misura del nostro servizio ecclesiale, che si esprime nella disponibilità all’obbedienza, all’abbassamento e alla donazione totale». Un dato, questo, che non è «scontato», perché «anche l’amore più grande, quando non è continuamente alimentato, si affievolisce e si spegne», ha ammonito il Papa.

«La mancata vigilanza rende tiepido il Pastore; lo fa distratto, dimentico e persino insofferente; lo seduce con la prospettiva della carriera, la lusinga del denaro e i compromessi con lo spirito del mondo; lo impigrisce, trasformandolo in un funzionario, un chierico di stato preoccupato più di sé, dell’organizzazione e delle strutture, che del vero bene del Popolo di Dio». È il passo centrale del primo discorso rivolto da Papa Francesco ai vescovi italiani. «Si corre il rischio – ha detto il Papa – come l’Apostolo Pietro, di rinnegare il Signore, anche se formalmente ci si presenta e si parla in suo nome; si offusca la santità della Madre Chiesa gerarchica, rendendola meno feconda». Di qui la necessità di chiedersi: «Chi siamo, Fratelli, davanti a Dio? Quali sono le nostre prove? Che cosa ci sta dicendo Dio attraverso di esse? Su che cosa ci stiamo appoggiando per superarle?». Come per Pietro, «la domanda insistente e accorata di Gesù può lasciarci addolorati e maggiormente consapevoli della debolezza della nostra libertà, insidiata com’è da mille condizionamenti interni ed esterni, che spesso suscitano smarrimento, frustrazione, persino incredulità».

«Non sono certamente questi – ha precisato il Papa – i sentimenti e gli atteggiamenti che il Signore intende suscitare; piuttosto, di essi approfitta il Nemico, il Diavolo, per isolare nell’amarezza, nella lamentela e nello scoraggiamento». Gesù, buon Pastore, «non umilia né abbandona al rimorso: in Lui parla la tenerezza del Padre, che consola e rilancia; fa passare dalla disgregazione della vergogna al tessuto della fiducia; ridona coraggio, riaffida responsabilità, consegna alla missione». L’esempio da seguire, per il Santo Padre, è quello di Pietro, che «purificato al fuoco del perdono può dire umilmente: ‘Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene’», come si legge nel Vangelo di Giovanni, che «nella sua prima Lettera ci esorta a pascere il gregge di Dio, sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a noi affidate, ma facendoci modelli del gregge».

«Essere Pastori significa credere ogni giorno nella grazia e nella forza che ci viene dal Signore, nonostante la nostra debolezza, e assumere fino in fondo la responsabilità di camminare innanzi al gregge, sciolti da pesi che intralciano la sana celerità apostolica, e senza tentennamenti nella guida, per rendere riconoscibile la nostra voce sia da quanti hanno abbracciato la fede, sia da coloro che ancora non sono di questo ovile». È un forte invito alla responsabilità, quello rivolto da Papa Francesco ai vescovi italiani. «Siamo chiamati – le sue parole – a far nostro il sogno di Dio, la cui casa non conosce esclusione di persone o di popoli, come annunciava profeticamente Isaia». In questa prospettiva, «essere Pastori vuol dire anche disporsi a camminare in mezzo e dietro al gregge: capaci di ascoltare il silenzioso racconto di chi soffre e di sostenere il passo di chi teme di non farcela; attenti a rialzare, a rassicurare e a infondere speranza». «Dalla condivisione con gli umili la nostra fede esce sempre rafforzata», ha assicurato il Papa: «Mettiamo da parte – l’invito ai vescovi – ogni forma di supponenza, per chinarci su quanti il Signore ha affidato alla nostra sollecitudine». Fra questi, «un posto particolare riserviamolo ai nostri sacerdoti»: «soprattutto per loro, il nostro cuore, la nostra mano e la nostra porta restino aperte in ogni circostanza».

«La professione di fede che ora rinnoviamo insieme non è un atto formale», «porta a dispiegare la propria vita secondo il progetto di Dio, impegnando tutto di sé per il Signore Gesù», attraverso «quel discernimento che conosce e si fa carico dei pensieri, delle attese e delle necessità degli uomini del nostro tempo». È la conclusione della “Professio fidei”, al termine della quale Papa Francesco ha affidato i vescovi italiani alla protezione di Maria, recitando una speciale preghiera mariana: «Madre del silenzio, che custodisce il mistero di Dio, liberaci dall’idolatria del presente, a cui si condanna chi dimentica. Purifica gli occhi dei Pastori con il collirio della memoria: torneremo alla freschezza delle origini, per una Chiesa orante e penitente. Madre della bellezza, che fiorisce dalla fedeltà al lavoro quotidiano, destaci dal torpore della pigrizia, della meschinità e del disfattismo. Rivesti i Pastori di quella compassione che unifica e integra: scopriremo la gioia di una Chiesa serva, umile e fraterna. Madre della tenerezza, che avvolge di pazienza e di misericordia, aiutaci a bruciare tristezze, impazienze e rigidità di chi non conosce appartenenza. Intercedi presso tuo Figlio perché siano agili le nostre mani, i nostri piedi e i nostri cuori: edificheremo la Chiesa con la verità nella carità. E saremo il Popolo di Dio, pellegrinante verso il Regno. Amen».