Vita Chiesa

Papa Francesco al Corpo diplomatico: troppi diritti violati, a partire da quello alla vita

«La pace non si costruisce come affermazione del potere del vincitore sul vinto», e «si consolida quando le nazioni possono confrontarsi in un clima di parità». Sono i due «moniti» tratti dalla lezione della prima guerra mondiale, «che purtroppo l’umanità non seppe comprendere immediatamente, giungendo nell’arco di un ventennio a combattere un nuovo conflitto ancor più devastante del precedente». A citare la Grande Guerra è stato il Papa, nel suo quinto discorso (testo integrale) al Corpo diplomatico, in cui a proposito del centenario della prima guerra mondiale, che ricorre quest’anno, ha affermato che «vincere non significa mai umiliare l’avversario sconfitto».

«Non è la legge del timore che dissuade da future aggressioni, bensì la forza della ragionevolezza mite che sprona al dialogo e alla reciproca comprensione per sanare le differenze», il primo monito della Grande guerra, da cui deriva il secondo: «La pace si consolida quando le Nazioni possono confrontarsi in un clima di parità». «Lo intuì un secolo fa – proprio in questa data – l’allora Presidente statunitense Thomas Woodrow Wilson, allorché propose l’istituzione di una associazione generale delle Nazioni intesa a promuovere per tutti gli Stati, grandi e piccoli indistintamente, mutue garanzie d’indipendenza e di integrità territoriale», la citazione di Francesco, secondo il quale «si gettarono così idealmente le basi di quella diplomazia multilaterale, che è andata acquisendo nel corso degli anni un ruolo e un’influenza crescente in seno all’intera comunità internazionale». «Anche i rapporti fra le nazioni, come i rapporti umani, vanno regolati nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante, nella libertà», ha puntualizzato il Papa: ciò comporta «il principio che tutte le comunità politiche sono uguali per dignità di natura, come pure il riconoscimento dei vicendevoli diritti, unitamente all’adempimento dei rispettivi doveri».

All’inizio del suo discorso, Francesco ha citato i viaggi internazionali dell’anno appena trascorso: Egitto, Portogallo, Colombia, Myanmar e Bangladesh.

«Per la Santa Sede, parlare di diritti umani significa anzitutto riproporre la centralità della dignità della persona, in quanto voluta e creata da Dio a sua immagine e somiglianza», ha ricordato il Papa, che ha scelto di dedicare il discorso al Corpo diplomatico di quest’anno alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, a 70 anni dall’adozione di tale «importante documento». «L’affermazione della dignità di ogni persona umana», ha spiegato Francesco rivolgendosi al Corpo diplomatico, è alla base di ogni diritto, e il suo «disprezzo e disconoscimento» portano «ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità». «Ciascun essere umano, indipendentemente dalla sua condizione fisica, spirituale o sociale», è «meritevole di rispetto e considerazione», ha sintetizzato il Papa: «Da una prospettiva cristiana vi è una significativa relazione fra il messaggio evangelico e il riconoscimento dei diritti umani, nello spirito degli estensori della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo». Tali diritti, per Francesco, «traggono il loro presupposto dalla natura che oggettivamente accomuna il genere» e «sono stati enunciati per rimuovere i muri di separazione che dividono la famiglia umana e favorire quello che la dottrina sociale della Chiesa chiama sviluppo umano integrale», che riguarda la «promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo fino a comprendere l’umanità intera». «Una visione riduttiva della persona umana apre invece la strada alla diffusione dell’ingiustizia, dell’ineguaglianza sociale e della corruzione», il monito del Papa.

Il rischio della colonizzazione ideologica. L’emergere di «una molteplicità di nuovi diritti, non di rado in contrapposizione tra loro», dal Sessantotto in poi, «non ha sempre favorito la promozione di rapporti amichevoli tra le nazioni, poiché si sono affermate nozioni controverse dei diritti umani che contrastano con la cultura di molti Paesi, i quali non si sentono perciò rispettati nelle proprie tradizioni socio-culturali, ma piuttosto trascurati di fronte alle necessità reali che devono affrontare». È l’analisi del Papa, che nel discorso al Corpo diplomatico ha messo in guardia del «rischio – per certi versi paradossale – che, in nome degli stessi diritti umani, si vengano ad instaurare moderne forme di colonizzazione ideologica dei più forti e dei più ricchi a danno dei più poveri e dei più deboli». Nello stesso tempo, ha puntualizzato Francesco, «è bene tenere presente che le tradizioni dei singoli popoli non possono essere invocate come un pretesto per tralasciare il doveroso rispetto dei diritti fondamentali enunciati dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo».

A settant’anni di distanza, «molti diritti fondamentali» sono ancora oggi violati, il monito del Papa: «Primo fra tutti quello alla vita, alla libertà e alla inviolabilità di ogni persona umana. Non sono solo la guerra o la violenza che li ledono. Nel nostro tempo ci sono forme più sottili: penso anzitutto ai bambini innocenti, scartati ancor prima di nascere; non voluti talvolta solo perché malati o malformati o per l’egoismo degli adulti. Penso agli anziani, anch’essi tante volte scartati, soprattutto se malati, perché ritenuti un peso. Penso alle donne, che spesso subiscono violenze e sopraffazioni anche in seno alle proprie famiglie. Penso poi a quanti sono vittime della tratta delle persone che viola la proibizione di ogni forma di schiavitù». «Quante persone, specialmente in fuga dalla povertà e dalla guerra, sono fatte oggetto di tale mercimonio perpetrato da soggetti senza scrupoli?», la denuncia di Francesco, secondo il quale «difendere il diritto alla vita e all’integrità fisica» significa anche «tutelare il diritto alla salute della persona e dei suoi familiari», garantendo «il diritto di ciascuno ad avere le cure mediche e i servizi sociali necessari». Di qui l’appello affinché «ci si adoperi per favorire anzitutto un facile accesso per tutti alle cure e ai trattamenti sanitari», adottando «politiche in grado di garantire, a prezzi accessibili, la fornitura di medicinali essenziali per la sopravvivenza delle persone indigenti, senza tralasciare la ricerca e lo sviluppo di trattamenti che, sebbene non siano economicamente rilevanti per il mercato, sono determinanti per salvare vite umane».

«Difendere il diritto alla vita implica pure adoperarsi attivamente per la pace, universalmente riconosciuta come uno dei valori più alti da ricercare e difendere». Ne è convinto il Papa, che nell’analizzare lo scenario internazionale ha parlato di «gravi conflitti locali» che «continuano ad infiammare varie regioni della terra». «Gli sforzi collettivi della comunità internazionale, l’azione umanitaria delle organizzazioni internazionali e le incessanti implorazioni di pace che si innalzano dalle terre insanguinate dai combattimenti sembrano essere sempre meno efficaci di fronte alla logica aberrante della guerra», la denuncia contenuta nel discorso al Corpo diplomatico: «Tale scenario non può far diminuire il nostro desiderio e il nostro impegno per la pace, consapevoli che senza di essa lo sviluppo integrale dell’uomo diventa irraggiungibile». «Il disarmo integrale e lo sviluppo integrale sono strettamente correlati fra loro», ha ribadito Francesco: d’altra parte, «la ricerca della pace come precondizione per lo sviluppo implica combattere l’ingiustizia e sradicare, in modo non violento, le cause della discordia che portano alle guerre».

«La proliferazione di armi aggrava chiaramente le situazioni di conflitto e comporta enormi costi umani e materiali che minano lo sviluppo e la ricerca di una pace duratura», il monito del Papa, che ha definito «storico» il risultato raggiunto lo scorso anno con l’adozione del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, al termine della Conferenza delle Nazioni Unite «finalizzata a negoziare uno strumento giuridicamente vincolante per proibire le armi nucleari». «La promozione della cultura della pace per uno sviluppo integrale richiede sforzi perseveranti verso il disarmo e la riduzione del ricorso alla forza armata nella gestione degli affari internazionali», la direzione di marcia indicata da Francesco, che ha esortato ad evitare «polarizzazioni su una questione così delicata» e ha fatto notare che «ogni sforzo in tale direzione, per quanto modesto, rappresenta un risultato importante per l’umanità». No alle armi, sì al «negoziato», la posizione della Santa Sede, che ha firmato e ratificato, anche a nome e per conto dello Stato della Città del Vaticano, il Trattato sulla proibizioni delle armi nucleari, nella prospettiva formulata da San Giovanni XXIII nella Pacem in terris. «Non è escluso che un fatto imprevedibile ed incontrollabile possa far scoccare la scintilla che metta in moto l’apparato bellico», la frase citata del suo predecessore, di cui Francesco, nello scenario attuale della «terza guerra mondiale a pezzi», ha rilanciato un altro appello: «Riesce quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia. È lecito tuttavia sperare che gli uomini, incontrandosi e negoziando, abbiano a scoprire meglio i vincoli che li legano, provenienti dalla loro comune umanità e abbiano pure a scoprire che una fra le più profonde esigenze della loro comune umanità è che tra essi e tra i rispettivi popoli regni non il timore, ma l’amore».

«È di primaria importanza che si possa sostenere ogni tentativo di dialogo nella penisola coreana, al fine di trovare nuove strade per superare le attuali contrapposizioni, accrescere la fiducia reciproca e assicurare un futuro di pace al popolo coreano e al mondo intero». Il primo appello alla pace il Papa lo ha rivolto allo scacchiere della Corea del Nord. Subito dopo Francesco ha citato la Siria: «È importante che possano proseguire, in un clima propositivo di accresciuta fiducia tra le parti, le varie iniziative di pace in corso, perché si possa finalmente mettere fine al lungo conflitto che ha coinvolto il Paese e causato immani sofferenze». «Il comune auspicio è che, dopo tanta distruzione, sia giunto il tempo di ricostruire», le parole del Papa, secondo il quale «più ancora che costruire edifici, è necessario ricostruire i cuori, ritessere la tela della fiducia reciproca, premessa imprescindibile per il fiorire di qualunque società. Occorre dunque adoperarsi per favorire le condizioni giuridiche, politiche e di sicurezza, per una ripresa della vita sociale, dove ciascun cittadino, indipendentemente dall’appartenenza etnica e religiosa, possa partecipare allo sviluppo del Paese». In questa prospettiva, ha fatto notare Francesco, «è vitale che siano tutelate le minoranze religiose, tra le quali vi sono i cristiani, che da secoli contribuiscono attivamente alla storia della Siria». Altrettanto importante è far sì «che possano far ritorno in patria i numerosi profughi che hanno trovato accoglienza e rifugio nelle Nazioni limitrofe, specialmente in Giordania, in Libano e in Turchia». «L’impegno e lo sforzo compiuto da questi Paesi in tale difficile circostanza merita l’apprezzamento e il sostegno di tutta la comunità internazionale – l’invito di Francesco – la quale nel contempo è chiamata ad adoperarsi a creare le condizioni per il rimpatrio dei rifugiati provenienti dalla Siria. È un impegno che essa deve concretamente assumersi a cominciare dal Libano, affinché quell’amato Paese continui ad essere un ‘messaggio’ di rispetto e convivenza e un modello da imitare per tutta la Regione e per il mondo intero». «La volontà di dialogo è necessaria anche nell’amato Iraq – ha proseguito il Papa – perché le varie componenti etniche e religiose possano ritrovare la strada della riconciliazione e della pacifica convivenza e collaborazione, come pure nello Yemen e in altre parti della regione, nonché in Afghanistan».

Appello per lo status quo di Gerusalemme. Nella parte centrale del discorso al Corpo diplomatico, il Papa ha rivolto «un pensiero particolare a israeliani e palestinesi», in seguito alle tensioni delle ultime settimane. «La Santa Sede, nell’esprimere dolore per quanti hanno perso la vita nei recenti scontri – le parole di Francesco – rinnova il suo pressante appello a ponderare ogni iniziativa affinché si eviti di esacerbare le contrapposizioni, e invita ad un comune impegno a rispettare, in conformità con le pertinenti Risoluzioni delle Nazioni Unite, lo status quo di Gerusalemme, città sacra a cristiani, ebrei e musulmani». «Settant’anni di scontri rendono quanto mai urgente trovare una soluzione politica che consenta la presenza nella Regione di due Stati indipendenti entro confini internazionalmente riconosciuti», ha proseguito il Papa, secondo il quale «pur tra le difficoltà, la volontà di dialogare e di riprendere i negoziati rimane la strada maestra per giungere finalmente ad una coesistenza pacifica dei due popoli». «Anche all’interno di contesti nazionali, l’apertura e la disponibilità all’incontro sono essenziali», ha affermato Francesco citando il «caro Venezuela, che sta attraversando una crisi politica ed umanitaria sempre più drammatica e senza precedenti»: la Santa Sede, «mentre esorta a rispondere senza indugio alle necessità primarie della popolazione, auspica che si creino le condizioni affinché le elezioni previste per l’anno in corso siano in grado di avviare a soluzione i conflitti esistenti, e si possa guardare con ritrovata serenità al futuro».

«La Comunità internazionale non dimentichi neppure le sofferenze di tante parti del Continente africano» – l’altro appello del Papa – «specialmente in Sud Sudan, nella Repubblica Democratica del Congo, in Somalia, in Nigeria e nella Repubblica Centroafricana, dove il diritto alla vita è minacciato dallo sfruttamento indiscriminato delle risorse, dal terrorismo, dal proliferare di gruppi armati e da perduranti conflitti. Non basta indignarsi dinanzi a tanta violenza. Occorre piuttosto che ciascuno nel proprio ambito si adoperi attivamente per rimuovere le cause della miseria e costruire ponti di fraternità, premessa fondamentale per un autentico sviluppo umano». «Un impegno comune a ricostruire i ponti è urgente pure in Ucraina», ha detto Francesco, ricordando che «l’anno appena conclusosi ha mietuto nuove vittime nel conflitto che affligge il Paese, continuando a recare grandi sofferenze alla popolazione, in particolare alle famiglie che risiedono nelle zone interessate dalla guerra e che hanno perso i loro cari, non di rado anziani e bambini».

«Ritengo urgente che si intraprendano reali politiche a sostegno delle famiglia, dalla quale peraltro dipende l’avvenire e lo sviluppo degli Stati. Senza di essa non si possono infatti costruire società in grado di affrontare le sfide del futuro». Nel suo quinto discorso al Corpo diplomatico, il Papa ha dedicato «un pensiero speciale alla famiglia», «nucleo naturale e fondamentale della società» che «ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato», come è riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948. «È noto come, specialmente in Occidente, la famiglia sia ritenuta un istituto superato», il grido d’allarme di Francesco: «Alla stabilità di un progetto definitivo, si preferiscono oggi legami fugaci. Ma non sta in piedi una casa costruita sulla sabbia di rapporti fragili e volubili. Occorre piuttosto la roccia, sulla quale ancorare fondamenta solide. E la roccia è proprio quella comunione di amore, fedele e indissolubile, che unisce l’uomo e la donna, una comunione che ha una bellezza austera e semplice, un carattere sacro e inviolabile e una funzione naturale nell’ordine sociale». «Il disinteresse per le famiglie porta poi con sé un’altra conseguenza drammatica – e particolarmente attuale in alcune Regioni – che è il calo della natalità», l’analisi del Papa, secondo il quale «si vive un vero inverno demografico», che «è il segno di società che faticano ad affrontare le sfide del presente e che divengono dunque sempre più timorose dell’avvenire, finendo per chiudersi in se stesse». «Non si può dimenticare la situazione di famiglie spezzate a causa della povertà, delle guerre e delle migrazioni», l’altro appello di Francesco: «Abbiamo fin troppo spesso dinanzi ai nostri occhi il dramma di bambini che da soli varcano i confini che separano il sud dal nord del mondo, sovente vittime del traffico di esseri umani».

I migranti sono prima di tutto persone. «Uscire da una diffusa retorica sull’argomento e partire dalla considerazione essenziale che davanti a noi ci sono innanzitutto persone». È la ricetta del Papa per le migrazioni, tema sempre presente nei suoi cinque discorsi al Corpo diplomatico. «Oggi si parla molto di migranti e migrazioni, talvolta solo per suscitare paure ancestrali», la disamina di Francesco nel discorso di quest’anno: «Non bisogna dimenticare che le migrazioni sono sempre esistite. Nella tradizione giudeo-cristiana, la storia della salvezza è essenzialmente storia di migrazioni. Né bisogna dimenticare che la libertà di movimento, come quella di lasciare il proprio Paese e di farvi ritorno appartiene ai diritti fondamentali dell’uomo». «Pur riconoscendo che non sempre tutti sono animati dalle migliori intenzioni, non si può dimenticare che la maggior parte dei migranti preferirebbe stare nella propria terra – l’analisi del Papa – mentre si trova costretta a lasciarla a causa di discriminazioni, persecuzioni, povertà e degrado ambientale». «Accogliere l’altro – ha fatto notare Francesco – richiede un impegno concreto, una catena di aiuti e di benevolenza, un’attenzione vigilante e comprensiva, la gestione responsabile di nuove situazioni complesse che, a volte, si aggiungono ad altri e numerosi problemi già esistenti, nonché delle risorse che sono sempre limitate». «Praticando la virtù della prudenza, i governanti sapranno accogliere, promuovere, proteggere e integrare, stabilendo misure pratiche, nei limiti consentiti dal bene comune rettamente inteso, permettere quell’inserimento», l’auspicio: «Essi hanno una precisa responsabilità verso le proprie comunità, delle quali devono assicurare i giusti diritti e lo sviluppo armonico, per non essere come il costruttore stolto che fece male i calcoli e non riuscì a completare la torre che aveva cominciato a edificare».

«Desidero esprimere particolare gratitudine all’Italia che in questi anni ha mostrato un cuore aperto e generoso e ha saputo offrire anche dei positivi esempi di integrazione». È il grazie del Papa per l’impegno italiano sul versante delle migrazioni. «Il mio auspicio – ha proseguito Francesco rivolgendosi al Corpo diplomatico – è che le difficoltà che il Paese ha attraversato in questi anni, le cui conseguenze permangono, non portino a chiusure e preclusioni, ma anzi ad una riscoperta di quelle radici e tradizioni che hanno nutrito la ricca storia della nazione e che costituiscono un inestimabile tesoro da offrire al mondo intero». Il Papa ha poi lodato l’impegno di non pochi Paesi in Asia, in Africa e nelle Americhe, che accolgono e assistono numerose persone» e ha espresso «apprezzamento per gli sforzi compiuti da altri Stati europei, particolarmente la Grecia e la Germania». «Non bisogna dimenticare che numerosi rifugiati e migranti cercano di raggiungere l’Europa perché sanno di potervi trovare pace e sicurezza – ha ribadito Francesco – che sono peraltro il frutto di un lungo cammino nato dagli ideali dei Padri fondatori del progetto europeo dopo la Seconda Guerra Mondiale». «L’Europa deve essere fiera di questo suo patrimonio, basato su certi principi e su una visione dell’uomo che affonda le basi sulla sua storia millenaria, ispirata dalla concezione cristiana della persona umana», l’esortazione del Papa: «L’arrivo dei migranti deve spronarla a riscoprire il proprio patrimonio culturale e religioso, così che, riprendendo coscienza dei valori sui quali si è edificata, possa allo stesso tempo mantenere viva la propria tradizione e continuare ad essere un luogo accogliente, foriero di pace e di sviluppo».

«L’integrazione è un processo bidirezionale, con diritti e doveri reciproci», ha poi ricordato il Papa, che si è soffermato sul quarto verbo del messaggio per la Giornata mondiale della pace: integrare, sul quale «si confrontano posizioni diverse alla luce di altrettante valutazioni, esperienze, preoccupazioni e convincimenti». «Chi accoglie è chiamato a promuovere lo sviluppo umano integrale, mentre a chi è accolto si chiede l’indispensabile conformazione alle norme del Paese che lo ospita, nonché il rispetto dei principi identitari dello stesso», ha ribadito Francesco: «Ogni processo di integrazione deve mantenere sempre la tutela e la promozione delle persone, specialmente di coloro che si trovano in situazioni di vulnerabilità, al centro delle norme che riguardano i vari aspetti della vita politica e sociale». La Santa Sede, da parte sua, «non intende interferire nelle decisioni che spettano agli Stati, i quali, alla luce delle rispettive situazioni politiche, sociali ed economiche, nonché delle proprie capacità e possibilità di ricezione e di integrazione, hanno la prima responsabilità dell’accoglienza». Tuttavia, ha precisato il Papa, «ritiene di dover svolgere un ruolo di ‘richiamo’ dei principi di umanità e di fraternità, che fondano ogni società coesa ed armonica». Di qui la necessità di «non dimenticare l’interazione con le comunità religiose, sia istituzionali che a livello associativo, le quali possono svolgere un ruolo prezioso di rinforzo nell’assistenza e nella protezione, di mediazione sociale e culturale, di pacificazione e di integrazione». «Nell’anno passato i governi, le organizzazioni internazionali e la società civile si sono interpellati reciprocamente sui principi di base, sulle priorità e sulle modalità più opportune per rispondere ai movimenti migratori ed alle situazioni protratte che riguardano i rifugiati», ha sottolineato Francesco auspicando che «tali sforzi, con i negoziati che si apriranno a breve, portino risultati degni di una comunità mondiale sempre più interdipendente, fondata sui principi di solidarietà e di mutuo aiuto. Nell’attuale contesto internazionale non mancano le possibilità e i mezzi per assicurare ad ogni uomo e ogni donna che vive sulla Terra condizioni di vita degne della persona umana».

Far cessare il lavoro minorile. «Non vi è pace né sviluppo se l’uomo è privato della possibilità di contribuire personalmente tramite la propria opera all’edificazione del bene comune». Con queste parole il Papa, nella parte finale del discorso, si è soffermato sull’importanza del diritto al lavoro. «Rincresce constatare come il lavoro sia in molte parti del mondo un bene scarsamente disponibile», il grido d’allarme: «Poche sono talvolta le opportunità, specialmente per i giovani, di trovare lavoro. Spesso è facile perderlo non solo a causa delle conseguenze dell’alternarsi dei cicli economici, ma anche per il progressivo ricorso a tecnologie e macchinari sempre più perfetti e precisi in grado di sostituire l’uomo. E se da un lato si constata un’iniqua distribuzione delle opportunità di lavoro, dall’altro si rileva la tendenza a pretendere da chi lavora ritmi sempre più pressanti». «Le esigenze del profitto, dettate della globalizzazione – la denuncia di Francesco – hanno portato ad una progressiva riduzione dei tempi e dei giorni di riposo, con il risultato che si è persa una dimensione fondamentale della vita – quella del riposo – che serve a rigenerare la persona non solo fisicamente, ma anche spiritualmente». Per il Papa, inoltre, «sono motivo di particolare preoccupazione i dati pubblicati recentemente dall’Organizzazione Mondiale del Lavoro circa l’incremento del numero dei bambini impiegati in attività lavorative e delle vittime delle nuove forme di schiavitù. La piaga del lavoro minorile continua a compromettere seriamente lo sviluppo psico-fisico dei fanciulli, privandoli delle gioie dell’infanzia, mietendo vittime innocenti». «Non si può pensare di progettare un futuro migliore, né auspicare di costruire società più inclusive, se si continuano a mantenere modelli economici orientati al mero profitto e allo sfruttamento dei più deboli, come i bambini», il monito di Francesco: «Eliminare le cause strutturali di tale piaga dovrebbe essere una priorità di governi e organizzazioni internazionali, chiamati ad intensificare gli sforzi per adottare strategie integrate e politiche coordinate finalizzate a far cessare il lavoro minorile in tutte le sue forme». Un posto eminente tra i diritti, infine, spetta alla «libertà di pensiero, di coscienza e di religione, che include la libertà di cambiare religione». Spesso, invece, il diritto alla libertà di religione è «disatteso», e la religione diviene «l’occasione per giustificare ideologicamente nuove forme di estremismo o un pretesto per l’emarginazione sociale, se non addirittura per forme di persecuzione dei credenti».

«Lasciare alle generazioni che seguiranno una terra più bella e vivibile».  «Tra i doveri particolarmente impellenti vi è oggi quello di prendersi cura della nostra Terra». È il tema della responsabilità verso il creato, l’ultimo argomento trattato nell’amplissimo discorso del Papa al Corpo diplomatico, durato quasi un’ora. «Sappiamo che la natura può essere di per sé cruenta anche quando ciò non è responsabilità dell’uomo», ha detto il Papa lungamente applaudito: «L’abbiamo visto in quest’ultimo anno con i terremoti che hanno colpito diverse parti della terra, particolarmente negli ultimi mesi in Messico e in Iran mietendo numerose vittime, come pure con la forza degli uragani che hanno interessato diversi Paesi caraibici fino a giungere sulle coste statunitensi e che, più recentemente, hanno investito le Filippine». Tuttavia, «non bisogna dimenticare che c’è anche una precipua responsabilità dell’uomo nell’interazione con la natura», il monito di Francesco: «I cambiamenti climatici, con l’innalzamento globale delle temperature e gli effetti devastanti che esse comportano, sono anche conseguenza dell’azione dell’uomo. Occorre dunque affrontare, in uno sforzo congiunto, la responsabilità di lasciare alle generazioni che seguiranno una Terra più bella e vivibile, adoperandosi, alla luce degli impegni concordati a Parigi nel 2015, per ridurre le emissioni di gas nocivi all’atmosfera e dannosi per la salute umana».

Come i costruttori di cattedrali. «Lo spirito che deve animare i singoli e le nazioni in quest’opera è assimilabile a quello dei costruttori delle cattedrali medievali che costellano l’Europa», l’immagine scelta dal Papa: «Tali imponenti edifici raccontano l’importanza della partecipazione di ciascuno ad un’opera capace di travalicare i confini del tempo. Il costruttore di cattedrali sapeva che non avrebbe visto il compimento del proprio lavoro. Nondimeno si è adoperato attivamente, comprendendo di essere parte di un progetto, di cui avrebbero goduto i suoi figli, i quali – a loro volta – lo avrebbero abbellito ed ampliato per i loro figli. Ciascun uomo e donna di questo mondo – e particolarmente chi ha responsabilità di governo – è chiamato a coltivare lo stesso spirito di servizio e di solidarietà intergenerazionale, ed essere così un segno di speranza per il nostro travagliato mondo».

testo integrale del discorso del Papa