Vita Chiesa

Papa Francesco, udienza: «Non amare è il primo passo per uccidere»

«Nessuno può disprezzare la vita altrui o la propriaPapa, che nell’udienza di oggi si è soffermato ancora una volta, come aveva già fatto mercoledì scorso, sul quinto comandamento: non uccidere, che rivela che «agli occhi di Dio la vita umana è preziosa, sacra ed inviolabile». «Davanti al tribunale di Dio, anche l’ira contro un fratello è una forma di omicidio», ha ammonito Francesco citando la prima lettera di Giovanni: «Chiunque odia il proprio fratello è omicida». «Ma Gesù non si ferma a questo, e nella stessa logica aggiunge che anche l’insulto e il disprezzo possono uccidere», ha sottolineato il Papa. «E noi siamo abituati a insultare», ha proseguito a braccio: «È vero, ci viene un insulto come se fosse un respiro. E Gesù ci dice: ‘Fermati, perché l’insulto fa male, uccide’». «Il disprezzo – ha spiegato Francesco ancora a braccio – è una forma di uccisione della dignità della persona». «Sarebbe bello – l’auspicio – che questo insegnamento di Gesù entrasse nella mente e nel cuore di tutti noi: ‘Non insulterò mai nessuno’, sarebbe un bel proposito. Gesù ci dice che se tu disprezzi, insulti, odi, questo è omicidio». «Nessun codice umano equipara atti così differenti assegnando loro lo stesso grado di giudizio», ha fatto notare il Papa: «E coerentemente Gesù invita addirittura a interrompere l’offerta del sacrificio nel tempio se ci si ricorda che un fratello è offeso nei nostri confronti, per andare a cercarlo e riconciliarsi con lui». «Anche noi, quando andiamo alla Messa – la proposta a braccio ai 18mila fedeli presenti oggi in piazza – dovremmo avere questo atteggiamento di riconciliazione con le persone con le quali abbiamo avuto dei problemi, abbiamo pensato male di loro, li abbiamo insultati. Ma tante volte, mentre aspettiamo che venga il sacerdote a dire la Messa, si chiacchiera un po’ e si parla male degli altri». «Pensiamo all’importanza dell’insulto, del disprezzo, dell’odio», l’invito sempre fuori testo di Francesco: «Gesù li mette sulla linea dell’uccisione».

«L’indifferenza uccide. È come dire all’altra persona: ‘Tu sei morto per me’, perché tu l’hai ucciso nel tuo cuore». È il monito del Papa, sulla scorta della Quinta Parola del Decalogo, oggetto della catechesi dell’udienza di oggi, così come di quella di mercoledì scorso. «L’uomo ha una vita nobile, molto sensibile, e possiede un io recondito non meno importante del suo essere fisico», ha spiegato Francesco: «Per offendere l’innocenza di un bambino basta una frase inopportuna. Per ferire una donna può bastare un gesto di freddezza. Per spezzare il cuore di un giovane è sufficiente negargli la fiducia. Per annientare un uomo basta ignorarlo». «Non amare è il primo passo per uccidere; e non uccidere è il primo passo per amare», ha sintetizzato il Papa, citando la «frase terribile uscita dalla bocca del primo omicida, Caino, dopo che il Signore gli chiede dove sia suo fratello. Caino risponde: ‘Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?’». «Così parlano gli assassini», ha commentato Francesco: «Non mi riguarda, sono fatti tuoi, e cose simili». «Proviamo a rispondere a questa domanda», l’invito ai 18mila fedeli presenti oggi in piazza San Pietro: «Siamo noi i custodi dei nostri fratelli? Sì, lo siamo! Siamo custodi gli uni degli altri! E questa è la strada della vita, la strada della non uccisione».

«La vita umana ha bisogno di amore. E qual è l’amore autentico? È quello che Cristo ci ha mostrato, cioè la misericordia». Ne è convinto il Papa, che ha concluso l’udienza di oggi affermando che «l’amore di cui non possiamo fare a meno è quello che perdona, che accoglie chi ci ha fatto del male». «Nessuno di noi può sopravvivere senza misericordia, tutti abbiamo bisogno del perdono, tutti!», ha ribadito Francesco: «Se uccidere significa distruggere, sopprimere, eliminare qualcuno, allora non uccidere vorrà dire curare, valorizzare, includere. E anche perdonare». «Nessuno si può illudere pensando: ‘Sono a posto perché non faccio niente di male’», il monito del Papa: «Un minerale o una pianta, questi sanpietrini che sono lì, non fanno niente di male, hanno questo tipo di esistenza, un uomo no: una persona, un uomo e una donna no. A un uomo e a una donna è richiesto di più. C’è del bene da fare, preparato per ognuno di noi, ciascuno il suo, che ci rende noi stessi fino in fondo». «Non uccidere», ha concluso Francesco, «è un appello all’amore e alla misericordia, è una chiamata a vivere secondo il Signore Gesù, che ha dato la vita per noi e per noi è risorto». «Una volta abbiamo ripetuto tutti insieme qui in piazza una frase di un santo su questo, forse ci aiuterà», la proposta a braccio alla folla in piazza: «Non fare del male è cosa buona, ma non fare del bene non è buono. Sempre dobbiamo fare del bene, andare oltre». «Non uccidere significa una chiamata all’amore», la sintesi finale.

«Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!». Sono le parole di san Giovanni Paolo II, di cui ieri si sono celebrati i quarant’anni dell’elezione al soglio di Pietro. A ripeterle è stato il Papa, durante il saluto ai fedeli di lingua polacca. «Un applauso a San Giovanni Paolo II!», ha detto a braccio Francesco, salutato dall’applauso dei 18mila presenti oggi in piazza San Pietro. «Sono sempre attuali le parole che pronunciò il giorno dell’inaugurazione del suo pontificato», l’omaggio del Papa al suo predecessore: «Che esse continuino ad ispirare la vostra vita personale, familiare e sociale; siano di incoraggiamento a seguire fedelmente il Cristo, a scorgere la sua presenza nel mondo e nell’altro uomo, specialmente in quello povero e bisognoso d’aiuto. L’uomo, infatti, come insegnava il Papa proveniente dalla stirpe dei polacchi, è la via della Chiesa». Salutando, come di consueto al termine dell’udienza, i pellegrini di lingua italiana, Francesco ha ricordato la figura di Sant’Ignazio di Antiochia, vescovo e martire di Roma. «Impariamo da questo santo vescovo dell’antica Siria a testimoniare con coraggio la nostra fede», attraverso «la forza della perseveranza, nonostante le avversità e le persecuzioni», l’invito finale.