Vita Chiesa

Papa Francesco, udienza: «avere il coraggio di chiamare Dio col nome di Padre»

«C’era qualcosa di affascinante nella preghiera di Gesù, di talmente affascinante che un giorno i suoi discepoli hanno chiesto di esservi introdotti», ha ricordato Francesco: «Il Signore pregava», ha aggiunto a braccio. «I discepoli di Gesù – ha proseguito – sono colpiti dal fatto che lui, specialmente la mattina e la sera, si ritira in solitudine e si immerge in preghiera. E per questo, un giorno, gli chiedono di insegnare anche a loro a pregare». «È allora che Gesù trasmette quella che è diventata la preghiera cristiana per eccellenza»: il Padre nostro, ha spiegato il Papa, facendo notare che «Luca, rispetto a Matteo, ci restituisce l’orazione di Gesù in una forma un po’ abbreviata, che incomincia con la semplice invocazione: ‘Padre’».

«Chiamare Dio col nome di ‘Padre’ non è per nulla un fatto scontato», ha fatto notare il Papa, che durante l’udienza di oggi, davanti a 15 mila fedeli, si è soffermato sulla preghiera del Padre Nostro. «Saremmo portati ad usare i titoli più elevati, che ci sembrano più rispettosi della sua trascendenza», ha spiegato Francesco: «Invece, invocarlo come ‘Padre’ ci pone in una relazione di confidenza con lui, come un bambino che si rivolge al suo papà, sapendo di essere amato e curato da lui». «Questa è la grande rivoluzione che il cristianesimo imprime nella psicologia religiosa dell’uomo», ha esclamato il Papa: «Il mistero di Dio, che sempre ci affascina e ci fa sentire piccoli, però non fa più paura, non ci schiaccia, non ci angoscia». «Questa è una rivoluzione difficile da accogliere nel nostro animo umano», ha ammesso Francesco: «Tant’è vero che perfino nei racconti della Risurrezione si dice che le donne, dopo aver visto la tomba vuota e l’angelo, fuggirono via, perché erano piene di spavento e di stupore. Ma Gesù ci rivela che Dio è Padre buono, e ci dice: ‘Non abbiate paura!».

«Dio è Padre alla sua maniera: buono, indifeso davanti al libero arbitrio dell’uomo, capace solo di coniugare il verbo amare». Il Papa ha citato ancora una volta la parabola del padre misericordioso, narrata da Luca nel suo Vangelo. «Quando il figlio ribelle, dopo aver sperperato tutto, ritorna finalmente alla casa natale – ha ribadito Francesco – quel padre non applica criteri di giustizia umana, ma sente anzitutto il bisogno di perdonare, e con il suo abbraccio fa capire al figlio che in tutto quel lungo tempo di assenza gli è mancato, è dolorosamente mancato al suo amore di padre». Gesù, in altre parole, «racconta di un padre che sa essere solo amore per i suoi figli. Un padre che non punisce il figlio per la sua arroganza e che è capace perfino di affidargli la sua parte di eredità e lasciarlo andar via di casa». «Dio è Padre, dice Gesù, ma non alla maniera umana, perché non c’è nessun padre in questo mondo che si comporterebbe come il protagonista di questa parabola», il commento di Francesco. «Che mistero insondabile è un Dio che nutre questo tipo di amore nei confronti dei suoi figli!», ha esclamato: «Forse è per questa ragione che, evocando il centro del mistero cristiano, l’apostolo Paolo non se la sente di tradurre in greco una parola che Gesù, in aramaico, pronunciava ‘abbà’. Per due volte san Paolo, nel suo epistolario, tocca questo tema, e per due volte lascia quella parola non tradotta, nella stessa forma in cui è fiorita sulle labbra di Gesù, ‘abbà’, un termine ancora più intimo rispetto a ‘padre’, e che qualcuno traduce ‘papà, babbo’».

«Non siamo mai soli. Possiamo essere lontani, ostili, potremmo anche professarci senza Dio. Ma il Vangelo di Gesù Cristo ci rivela che è Dio che non può stare senza di noi: lui non sarà mai un Dio senza l’uomo». Si è conclusa con queste parole di speranza l’udienza di oggi. «È lui che non può stare senza di noi, e questo è un mistero grande», ha proseguito Francesco a braccio: «Dio non può essere Dio senza l’uomo, è un grande mistero questo». «Questa certezza è la sorgente della nostra speranza, che troviamo custodita in tutte le invocazioni del Padre nostro», ha ricordato il Papa: «Quando abbiamo bisogno di aiuto, Gesù non ci dice di rassegnarci e chiuderci in noi stessi, ma di rivolgerci al Padre e chiedere a lui con fiducia». «Tutte le nostre necessità, da quelle più evidenti e quotidiane, come il cibo, la salute, il lavoro, fino a quella di essere perdonati e sostenuti nelle tentazioni, non sono lo specchio della nostra solitudine», ha assicurato Francesco: «C’è invece un Padre che sempre ci guarda con amore, e che sicuramente non ci abbandona». Poi la conclusione della catechesi, con la recita del «Padre nostro» insieme a tutti i fedeli presenti in piazza, preceduta da queste parole: «Adesso vi faccio una proposta: ognuno di noi ha tanti problemi, tante necessità. Pensiamoci un po’, in silenzio, a questi problemi, a queste necessità. Pensiamo anche al Padre, al nostro Padre, che non può essere senza di noi e che in questo momento ci sta guardando. E tutti insieme, con fiducia e speranza, preghiamo: Padre nostro che sei nei cieli…».

I saluti. «Nel nostro tempo c’è tanto bisogno di pregare – cristiani, ebrei e musulmani – per la pace», ha detto il Papa, prima di salutare, al termine dell’udienza, i fedeli di lingua italiana. «Domani, alle ore 13, si rinnova in diversi Paesi l’iniziativa ‘Un minuto per la pace’, cioè un piccolo momento di preghiera nella ricorrenza dell’incontro in Vaticano tra me, il compianto presidente israeliano Peres e il presidente palestinese Abbas», l’appello di Francesco, che ha citato l’incontro avvenuto l’8 giugno del 2014: «Nel nostro tempo c’è tanto bisogno di pregare – cristiani, ebrei e musulmani – per la pace».

Salutando, al termine dell’udienza, i fedeli di lingua italiana, il Papa si è rivolto in particolare agli atleti del pellegrinaggio Macerata-Loreto con la «fiaccola della pace», accompagnati dal vescovo, mons. Nazzareno Marconi. «Accolgo con gioia i bambini di oncologia pediatrica del Policlinico San Matteo d Pavia: gli sbandieratori di Mappano di Caselle e gli studenti, in particolare i ragazzi dell’Istituto Cangemi di Boscoreale», ha proseguito Francesco, che nel triplice saluto finale ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli ha ricordato che «il mese di giugno da poco iniziato ci ricorda la devozione al Sacro Cuore di Gesù».