Vita Chiesa

Papa a Ginevra: incontro ecumenico, «superare gli steccati dei sospetti e della paura»

«Spinti dall’accorato desiderio di Gesù, non si sono lasciati imbrigliare dagli intricati nodi delle controversie, ma hanno trovato l’audacia di guardare oltre e di credere nell’unità, superando gli steccati dei sospetti e della paura», ha proseguito Francesco citando san Gregorio di Nissa: «Se davvero l’amore riesce ad eliminare la paura e questa si trasforma in amore, allora si scoprirà che ciò che salva è proprio l’unità». «Siamo i beneficiari della fede, della carità e della speranza di tanti che, con l’inerme forza del Vangelo, hanno avuto il coraggio di invertire la direzione della storia, quella storia che ci aveva portato a diffidare gli uni degli altri e ad estraniarci reciprocamente, assecondando la diabolica spirale di continue frammentazioni», l’analisi del Papa. «Grazie allo Spirito Santo, ispiratore e guida dell’ecumenismo – ha sottolineato Francesco riferendosi all’oggi – la direzione è cambiata e una via tanto nuova quanto antica è stata indelebilmente tracciata: la via della comunione riconciliata, verso la manifestazione visibile di quella fraternità che già unisce i credenti».

«Nuovo slancio evangelizzatore» per «primavera ecumenica». «Il Consiglio ecumenico delle Chiese è nato come strumento di quel movimento ecumenico suscitato da un forte appello alla missione: come possono i cristiani evangelizzare se sono divisi tra loro?», ha ricordato il Papa, nel suo secondo discorso a Ginevra, in cui ha sottolineato che «questo urgente interrogativo indirizza ancora il nostro cammino e traduce la preghiera del Signore a essere uniti perché il mondo creda». Tracciando un bilancio dei 70 anni del Wcc, Francesco ha espresso un «vivo ringraziamento per l’impegno che profondete per l’unità, anche una preoccupazione», che «deriva dall’impressione che ecumenismo e missione non siano più così strettamente legati come in origine». «Il mandato missionario, che è più della diakonia e della promozione dello sviluppo umano, non può essere dimenticato né svuotato», il grido d’allarme del Papa: «Ne va della nostra identità. L’annuncio del Vangelo fino agli estremi confini è connaturato al nostro essere cristiani. Certamente, il modo in cui esercitare la missione varia a seconda dei tempi e dei luoghi e, di fronte alla tentazione, purtroppo ricorrente, di imporsi seguendo logiche mondane, occorre ricordare che la Chiesa di Cristo cresce per attrazione». Questa «forza di attrazione», ha precisato Francesco, consiste «non certo nelle nostre idee, strategie o programmi: a Gesù Cristo non si crede mediante una raccolta di consensi e il popolo di Dio non è riducibile al rango di una organizzazione non governativa».

Un «nuovo slancio evangelizzatore»: è questo, per il Papa, «il tesoro che noi, fragili vasi di creta, dobbiamo offrire a questo nostro mondo amato e tormentato. Non saremmo fedeli alla missione affidataci se riducessimo questo tesoro al valore di un umanesimo puramente immanente, adattabile alle mode del momento. E saremmo cattivi custodi se volessimo solo preservarlo, sotterrandolo per paura di essere provocati dalle sfide del mondo». «Siamo chiamati a essere un popolo che vive e condivide la gioia del Vangelo, che loda il Signore e serve i fratelli, con l’animo che arde dal desiderio di dischiudere orizzonti di bontà e di bellezza inauditi a chi non ha ancora avuto la grazia di conoscere veramente Gesù», l’invito del Santo Padre: «Se aumenterà la spinta missionaria, aumenterà anche l’unità fra noi». «Come alle origini l’annuncio segnò la primavera della Chiesa, così l’evangelizzazione segnerà la fioritura di una nuova primavera ecumenica», l’auspicio per il futuro: «Come alle origini, stringiamoci in comunione attorno al Maestro, non senza provare vergogna per i nostri continui tentennamenti e dicendogli, con Pietro: ‘Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna’».

«Preghiera è ossigeno dell’ecumenismo, senza comunione diventa asfittica». «Camminare – Pregare – Lavorare insieme». Nella parte centrale del suo secondo discorso a Ginevra, il Papa si è soffermato sui tre verbi contenuti nel motto del pellegrinaggio ecumenico. «Camminare in entrata», ha spiegato, «per dirigerci costantemente al centro», che è Gesù, e «in uscita», cioè «verso le molteplici periferie esistenziali di oggi, per portare insieme la grazia risanante del Vangelo all’umanità sofferente». «Potremmo chiederci se stiamo camminando davvero o soltanto a parole, se presentiamo i fratelli al Signore e li abbiamo veramente a cuore oppure sono lontani dai nostri reali interessi», il suggerimento di Francesco: «Potremmo chiederci anche se il nostro cammino è un ritornare sui nostri passi o un convinto andare al mondo per portarvi il Signore». «Anche nella preghiera, come nel cammino, non possiamo avanzare da soli», il monito del secondo imperativo, «perché la grazia di Dio, più che ritagliarsi a misura di individuo, si diffonde armoniosamente tra i credenti che si amano». «Quando diciamo ‘Padre nostro’ risuona dentro di noi la nostra figliolanza, ma anche il nostro essere fratelli», l’esempio scelto dal Papa: «La preghiera è l’ossigeno dell’ecumenismo. Senza preghiera la comunione diventa asfittica e non avanza, perché impediamo al vento dello Spirito di spingerla in avanti».

«Chiediamoci: quanto preghiamo gli uni per gli altri?», l’esortazione in chiave ecumenica: «Il Signore ha pregato perché fossimo una cosa sola: lo imitiamo in questo?». Infine, «lavorare insieme», ha raccomandato Francesco sottolineando – tra l’altro – «la speciale importanza del lavoro che compie la Commissione Fede e Costituzione» e la sua ricerca «per una visione comune della Chiesa e il suo lavoro sul discernimento delle questioni morali ed etiche» che «toccano punti nevralgici della sfida ecumenica». Il Papa ha definito, infine, «imprescindibile» il ruolo dell’Istituto ecumenico di Bossey e definito la crescente adesione alla Giornata di preghiera per la cura del creato un «buon segno» dell’»affiatamento» ecumenico.

«C’è da inquietarsi quando alcuni cristiani si mostrano indifferenti nei confronti di chi è disagiato». «La credibilità del Vangelo è messa alla prova dal modo in cui i cristiani rispondono al grido di quanti, in ogni angolo della terra, sono ingiustamente vittime del tragico aumento di un’esclusione che, generando povertà, fomenta i conflitti». È la cartina al tornasole dell’ecumenismo, descritta dal Papa al termine del suo secondo discorso a Ginevra. «I deboli sono sempre più emarginati, senza pane, lavoro e futuro, mentre i ricchi sono sempre di meno e sempre più ricchi», l’appello: «Sentiamoci interpellati dal pianto di coloro che soffrono, e proviamo compassione», perché «il programma del cristiano è un cuore che vede», ha detto Francesco citando Benedetto XVI. «Vediamo ciò che è possibile fare concretamente, piuttosto che scoraggiarci per ciò che non lo è», ha proseguito: «Guardiamo anche a tanti nostri fratelli e sorelle che in varie parti del mondo, specialmente in Medio Oriente, soffrono perché sono cristiani. Stiamo loro vicini. E ricordiamo che il nostro cammino ecumenico è preceduto e accompagnato da un ecumenismo già realizzato, l’ecumenismo del sangue, che ci esorta ad andare avanti».

Nel cammino ecumenico, il Papa ha esortato inoltre «a superare la tentazione di assolutizzare determinati paradigmi culturali e di farci assorbire da interessi di parte»: «Aiutiamo gli uomini di buona volontà a dare maggior spazio a situazioni e vicende che riguardano tanta parte dell’umanità, ma che occupano un posto troppo marginale nella grande informazione», la consegna. «Non possiamo disinteressarci, e c’è da inquietarsi quando alcuni cristiani si mostrano indifferenti nei confronti di chi è disagiato», il monito: «Ancora più triste è la convinzione di quanti ritengono i propri benefici puri segni di predilezione divina, anziché chiamata a servire responsabilmente la famiglia umana e a custodire il creato». «Sull’amore per il prossimo, per ogni prossimo, il Signore, Buon Samaritano dell’umanità, ci interpellerà», ha ricordato Francesco: «Chiediamoci allora: che cosa possiamo fare insieme? Se un servizio è possibile, perché non progettarlo e compierlo insieme, cominciando a sperimentare una fraternità più intensa nell’esercizio della carità concreta?». «Aiutiamoci a camminare, pregare e lavorare insieme perché, con l’aiuto di Dio, l’unità progredisca e il mondo creda», l’auspicio finale.

testo integrale del discorso del Papa