Vita Chiesa

Papa a Milano: a sacerdoti e a consacrati, «non dobbiamo temere le sfide ma una fede senza sfide»

«Non dobbiamo temere le sfide», ma «una fede senza sfide». È il primo invito rivolto dal Papa ai sacerdoti e ai consacrati nel Duomo di Milano. «Ogni epoca storica, fin dai primi tempi del cristianesimo, è stata continuamente sottoposta a molteplici sfide», ha esordito Francesco rispondendo alle domande: «Sfide all’interno della comunità ecclesiale e nello stesso tempo nel rapporto con la società in cui la fede andava prendendo corpo». «Non dobbiamo temere le sfide ed è bene che ci siano, perché ci fanno crescere», l’invito: «Sono segno di una fede viva, di una comunità viva che cerca il suo Signore e tiene gli occhi e il cuore aperti. Dobbiamo piuttosto temere una fede senza sfide, una fede che si ritiene completa, come se tutto fosse stato detto e realizzato». «Le sfide ci aiutano a far sì che la nostra fede non diventi ideologica», ha spiegato il Papa: «Ci salvano da un pensiero chiuso e definito e ci aprono a una comprensione più ampia del dato rivelato». «Questa fede è tanto annacquata che non serve, questo dobbiamo temere», ha aggiunto Francesco a braccio: «Ci sono i pericoli delle ideologie, ma sempre le ideologie crescono, germogliano quando uno crede di avere la fede completa».

Una cultura della diversità. «La Chiesa, nell’arco di tutta la sua storia, tante volte – senza che ne siamo consapevoli – ha molto da insegnarci e aiutarci per una cultura della diversità». Ne è convinto il Papa, che nell’incontro domande-risposte con i sacerdoti e i consacrati, nel Duomo di Milano, ha ricordato che «lo Spirito Santo è il Maestro della diversità. Guardiamo le nostre diocesi, i nostri presbiteri, le nostre comunità. Guardiamo le congregazioni religiose. Tanti carismi, tanti modi di realizzare l’esperienza credente. La Chiesa è Una in un’esperienza multiforme. Pur essendo una è multiforme. Pure essendo una è multiforme, e questa è la ricchezza della Chiesa». «La tradizione ecclesiale ha una grande esperienza di come ‘gestire’ il molteplice all’interno della sua storia e della sua vita», l’analisi di Francesco, secondo il quale «abbiamo visto e vediamo molte ricchezze e molti orrori ed errori». «Qui abbiamo una buona chiave che ci aiuta a leggere il mondo contemporaneo», la ricetta del Papa: «Senza condannarlo e senza santificarlo. Riconoscendo gli aspetti luminosi e gli aspetti oscuri». «Discernere gli eccessi di uniformità o di relativismo», il consiglio di Francesco: «Due tendenze che cercano di cancellare l’unità delle differenze, l’interdipendenza». «La Chiesa è una nelle differenze», ha aggiunto a braccio, esortando a «discernere quando è lo Spirito Santo che fa l’unità e quando non è lo Spirito Santo che la fa».

Non confondere unità con uniformità. «Quante volte abbiamo confuso unità con uniformità? La pluralità e l’unità vengono dallo Spirito Santo. O quante volte abbiamo confuso pluralità con pluralismo?», ha chiesto il Papa, spiegando che «in entrambi i casi ciò che si cerca di fare è ridurre la tensione e cancellare il conflitto o l’ambivalenza a cui siamo sottoposti in quanto esseri umani». «Cercare di eliminare uno dei poli della tensione è eliminare il modo in cui Dio ha voluto rivelarsi nell’umanità del suo Figlio», ha ammonito Francesco: «Tutto ciò che non assume il dramma umano può essere una teoria molto chiara e distinta ma non coerente con la Rivelazione e perciò ideologica». «La fede per essere cristiana e non illusoria deve configurarsi all’interno dei processi umani senza ridursi ad essi», la sintesi.

«C’è una scelta che come pastori non possiamo eludere: formare al discernimento». Questo l’altro invito del Papa ai sacerdoti e ai consacrati. «La diversità offre uno scenario molto insidioso», l’analisi di Francesco: «La cultura dell’abbondanza a cui siamo sottoposti offre un orizzonte di tante possibilità, presentandole tutte come valide e buone». «I nostri giovani – ha fatto notare, in particolare, il Papa – sono esposti a uno zapping continuo. Possono navigare su due o tre schermi aperti contemporaneamente, possono interagire nello stesso tempo in diversi scenari virtuali». «Ci piaccia o no, è il mondo in cui sono inseriti ed è nostro dovere come pastori aiutarli ad attraversare questo mondo», la consegna di Francesco, secondo il quale è bene «insegnare loro a discernere, perché abbiano gli strumenti e gli elementi che li aiutino a percorrere il cammino della vita senza che si estingua lo Spirito Santo che è in loro». «In un mondo senza possibilità di scelta, o con meno possibilità, forse le cose sembrerebbero più chiare, non so», l’affermazione del Papa: «Oggi i nostri fedeli – e noi stessi – siamo esposti a questa realtà, e perciò sono convinto che come comunità ecclesiale dobbiamo incrementare l’habitus del discernimento – questo è una sida – e questo dai piccoli agli adulti». «Quando si è bambini è facile che il papà e la mamma ci dicano quello che dobbiamo fare, e va bene», ha osservato Francesco: «Oggi non credo sia tanto facile, ma ai miei tempi sì», ha aggiunto a braccio. «Ma via via che cresciamo, in mezzo a una moltitudine di voci dove apparentemente tutte hanno ragione, il discernimento di ciò che ci conduce alla Risurrezione, alla vita e non a una cultura di morte, è cruciale», ha proseguito a proposito della necessità di «chiedere la grazia del discernimento».

Il diacono non è un mezzo prete o un mezzo laico. «Voi diaconi avete molto da dare. Pensiamo al valore del discernimento. All’interno del presbiterio, voi potete essere una voce autorevole per mostrare la tensione che c’è tra il dovere e il volere, le tensioni che si vivono all’interno della vita familiare – voi avete una suocera! – come pure le benedizioni che si vivono all’interno della vita familiare». È la risposta del Papa a un diacono. «Ma dobbiamo stare attenti a non vedere i diaconi come mezzi preti e mezzi laici», ha ammonito Francesco subito dopo: «Alla fine non stanno né di qua né di là». «No, questo non si deve fare, è un pericolo», ha aggiunto a braccio: «Guardarli così ci fa male e fa male a loro. Questo modo di considerarli toglie forza al carisma proprio del diaconato nella vita della Chiesa. E nemmeno va bene l’immagine del diacono come una specie di intermediario tra i fedeli e i pastori». «Né a metà cammino fra fedeli e laici, né a metà cammino tra pastori e fedeli», ha ammonito fuori testo Francesco, secondo il quale «ci sono due tentazioni: c’è il pericolo del clericalismo, e questo non va». «Alcune volte vedo qualcuno quando assiste la liturgia quasi sembra voler prendere il posto del prete», ha detto sempre a braccio il Papa: «L’altra tentazione è il funzionalismo, per cui il diacono è un ragazzo per fare i compiti. Voi avete un carisma chiaro nella Chiesa, e dovete custodirlo». Il diaconato, ha spiegato infatti il Papa, «è una vocazione specifica, una vocazione familiare che richiama il servizio», che ha ricordato come «i primi cristiani ellenisti» abbiano «inventato i diaconi» per assistere le vedove e gli orfani, «per servire», «e a noi vescovi la preghiera e l’annunzio della Parola». «Servizio»: questa, per il Papa, «la parola chiave per capire il vostro carisma».

Il diacono è il custode del servizio nella Chiesa. «Il diacono è – per così dire – il custode del servizio nella Chiesa: ogni parola deve essere ben misurata, voi siete i custodi del servizio nella Chiesa»: «Il servizio alla Parola, il servizio all’altare, il servizio ai poveri. E la vostra missione, la sua forza e il suo contributo consistono in questo: nel ricordare a tutti noi che la fede, nelle sue diverse espressioni – la liturgia comunitaria, la preghiera personale, le diverse forme di carità – e nei suoi vari stati di vita – laicale, clericale, familiare – possiede un’essenziale dimensione di servizio. Il servizio a Dio e ai fratelli. E quanta strada c’è da fare in questo senso!». «Voi non siete mezzi preti e mezzi laici – questo sarebbe ‘funzionalizzare’ il diaconato –, siete sacramento del servizio a Dio e ai fratelli, e da questa parola servizio viene tutto lo sviluppo del vostro lavoro, della vostra vocazione, del vostro essere nella Chiesa», ha detto il Papa rivolgendosi direttamente ai diaconi presenti: «Una vocazione che come tutte le vocazioni non è solamente individuale, ma vissuta all’interno della famiglia e con la famiglia; all’interno del Popolo di Dio e con il Popolo di Dio». In sintesi: «Non c’è servizio all’altare, non c’è liturgia che non si apra al servizio dei poveri, e non c’è servizio dei poveri che non conduca alla liturgia; non c’è vocazione ecclesiale che non sia familiare. Questo ci aiuta a rivalutare il d come vocazione ecclesiale».

«Pochi sì, in minoranza sì, anziani sì, rassegnati no!». Con queste parole in risposta alla domanda di una religiosa, il Papa ha sintetizzato il carisma della vita consacrata, durante l’incontro con i sacerdoti e i consacrati nel Duomo di Milano. «Mi raccomando, se avete tempo leggete quello che dicono i padri del deserto sull’accidia, è una cosa che ha tanta attualità oggi», il consiglio a braccio. «La misericordia ristora e dà pace», ha ricordato il Papa citando le parole pronunciate poco prima dal card. Scola: «Un buon rimedio contro la rassegnazione è la misericordia che ristora e dà pace». «Quando ci prende la rassegnazione, viviamo con l’immaginario di un passato glorioso che, lungi dal risvegliare il carisma iniziale, ci avvolge sempre più in una spirale di pesantezza esistenziale», e così «tutto si fa più pesante e difficile da sollevare», ha ammonito Francesco, secondo il quale «fa bene a tutti noi rivisitare le origini, una memoria che ci salva da qualunque immaginazione gloriosa ma irreale del passato». «La maggioranza dei nostri padri e madri fondatori non pensarono mai ad essere una moltitudine, o una gran maggioranza», ha ricordato il Papa: «I nostri fondatori si sentirono mossi dallo Spirito Santo in un momento concreto della storia ad essere presenza gioiosa del Vangelo per i fratelli; a rinnovare ed edificare la Chiesa come lievito nella massa, come sale e luce del mondo». «Le nostre congregazioni non sono nate per essere la massa, ma un po’ di sale e un po’ di lievito, che avrebbe dato il proprio contributo perché la massa crescesse; perché il popolo di Dio avesse quel ‘condimento’ che gli mancava», ha proseguito: «Per molti anni abbiamo creduto, e siamo cresciuti con l’idea che le famiglie religiose dovessero occupare spazi più che avviare processi».

Una minoranza benedetta. Oggi, invece, per il Papa la realtà «ci chiama ad avviare processi più che occupare spazi, a lottare per l’unità più che attaccarci a conflitti passati, ad ascoltare la realtà, ad aprirci alla ‘massa’, al santo Popolo fedele di Dio, al tutto ecclesiale». La vita consacrata, insomma, come «una minoranza benedetta, che è invitata nuovamente a lievitare, lievitare in sintonia con quanto lo Spirito Santo ha ispirato nel cuore dei vostri fondatori e nel cuore di voi stesse». «Siete poche, siete pochi, quelli che siete, andate nelle periferie, andate ai confini a incontrarvi col Signore, a rinnovare la missione delle origini, alla Galilea del primo incontro», il mandato di Francesco: «Scegliete le periferie, risvegliate processi, accendete la speranza spenta e fiaccata da una società che è diventata insensibile al dolore degli altri. Nella nostra fragilità come congregazioni possiamo farci più attenti a tante fragilità che ci circondano e trasformarle in spazio di benedizione».

«Non sopravvivere, vivere!». Con questo invito, pronunciato a braccio come gran parte della risposta all’ultima domanda, il Papa ha concluso l’incontro con i sacerdoti e i consacrati, nel Duomo di Milano. Francesco ha esortato a «mettere Gesù là dove deve stare: in mezzo al suo popolo». «Solo questo – ha assicurato – ci salverà dal vivere in un atteggiamento di sopravvivenza». «La logica di Dio non si capisce, soltanto si obbedisce», ha ricordato citando l’esperienza di Abramo: «Quella è la strada su cui dovete andare». Francesco, inoltre, ancora fuori testo ha esortato le religiose e le religiose a fuggire «la tentazione di cercare le sicurezze umane», come i soldi: «Succede. Incominciano a pesare le strutture, che sono vuote adesso, non sappiamo come fare, e ci viene la tentazione di vendere le strutture per avere i soldi per la vecchiaia. Incominciano a essere pesanti i soldi che abbiamo in banca, e la povertà dove va? Ma il Signore è buono: quando una Congregazione non va per la strada della povertà, le invia un economo brutto che fa crollare tutto, e questo è una grazia!». Invitando i consacrati a essere «sale» e «lievito», e a non puntare alle masse, il Papa ha citato un esempio concreto: «Mai ho visto un pizzaiolo che per fare la pizza usa mezzo chilo di lievito e 100 grammi di farina». Sul ruolo prezioso dei religiosi come «minoranza» in terra di missione, Francesco ha richiamato infine l’attenzione su un articolo de L’Osservatore Romano, letto ieri sera con la data di oggi, che parlava del congedo delle due ultime sorelle di Gesù in Afghanistan, fra i musulmani. «Non c’erano più suore e loro erano anziane, dovevano tornare», ha raccontato il Papa: «Erano benvolute da tutti, perché erano testimoni, consacrate a Dio padre di tutti». L’altro esempio citato da Francesco, quello del popolo coreano, che «all’inizio ha avuto tre o quattro missionari cinesi e poi, per due secoli, è stato portato avanti dai laici. Le strade del Signore sono come Lui vuole che siano».