Vita Chiesa

Papa ad Alessano: «Capire i poveri era per don Tonino Bello una vera ricchezza»

Poco dopo aver pregato dieci minuti in silenzio, da solo, accanto al vescovo Angiuli, sulla sua tomba, sulla quale ha deposto un mazzo di fiori, e aver goduto del primo bagno di folla durante il giro sulla jeep bianca scoperta nel piazzale antistante il cimitero, salutato da una folla di 20mila persone, Francesco ha citato alcune parole di «gratitudine» di don Tonino Bello verso la sua terra natale: «Grazie, terra mia, piccola e povera, che mi hai fatto nascere povero come te ma che, proprio per questo, mi hai dato la ricchezza incomparabile di capire i poveri e di potermi oggi disporre a servirli».

«Capire i poveri era per lui vera ricchezza», ha commentato il Papa: «Aveva ragione, perché i poveri sono realmente ricchezza della Chiesa». «Ricordacelo ancora, don Tonino, di fronte alla tentazione ricorrente di accodarci dietro ai potenti di turno, di ricercare privilegi, di adagiarci in una vita comoda», la speciale supplica di Francesco: «Il Vangelo – eri solito ricordarlo a Natale e a Pasqua – chiama a una vita spesso scomoda, perché chi segue Gesù ama i poveri e gli umili. Così ha fatto il Maestro, così ha proclamato sua Madre, lodando Dio perché ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili». «Una Chiesa che ha a cuore i poveri – ha ammonito il Papa – rimane sempre sintonizzata sul canale di Dio, non perde mai la frequenza del Vangelo e sente di dover tornare all’essenziale per professare con coerenza che il Signore è l’unico vero bene».

Don Tonino Bello «non stava con le mani in mano». «Don Tonino ci richiama a non teorizzare la vicinanza ai poveri, ma a stare loro vicino, come ha fatto Gesù, che per noi, da ricco che era, si è fatto povero». È il ritratto di don Tonino bello, tracciato dal Papa nel suo paese natale. «Don Tonino sentiva il bisogno di imitarlo, coinvolgendosi in prima persona, fino a spossessarsi di sé», ha proseguito Francesco: «Non lo disturbavano le richieste, lo feriva l’indifferenza. Non temeva la mancanza di denaro, ma si preoccupava per l’incertezza del lavoro, problema oggi ancora tanto attuale. Non perdeva occasione per affermare che al primo posto sta il lavoratore con la sua dignità, non il profitto con la sua avidità». «Non stava con le mani in mano», ha fatto notare il Papa: «Agiva localmente per seminare pace globalmente, nella convinzione che il miglior modo per prevenire la violenza e ogni genere di guerre è prendersi cura dei bisognosi e promuovere la giustizia». «Se la guerra genera povertà, anche la povertà genera guerra», il monito di Francesco, secondo il quale «la pace si costruisce a cominciare dalle case, dalle strade, dalle botteghe, là dove artigianalmente si plasma la comunione». È quello che diceva, «speranzoso», don Tonino: «Dall’officina, come un giorno dalla bottega di Nazareth, uscirà il verbo di pace che instraderà l’umanità, assetata di giustizia, per nuovi destini».

«Ascoltare e riascoltare don Tonino». «Siete una finestra aperta, da cui osservare tutte le povertà che incombono sulla storia», ma siete soprattutto una finestra di speranza perché il Mediterraneo, storico bacino di civiltà, non sia mai un arco di guerra teso, ma un’arca di pace accogliente». Ai 20mila fedeli che lo hanno accolto oggi ad Alessano, Papa Francesco ha ricordato che don Tonino Bello chiamava questa terra di frontiera «terra-finestra, perché dal Sud dell’Italia si spalanca ai tanti Sud del mondo, dove i più poveri sono sempre più numerosi mentre i ricchi diventano sempre più ricchi e sempre di meno». «Don Tonino è uomo della sua terra, perché in questa terra è maturato il suo sacerdozio», ha proseguito il Papa: «Qui è sbocciata la sua vocazione, che amava chiamare evocazione: evocazione di quanto follemente Dio predilige, ad una ad una, le nostre fragili vite; eco della sua voce d’amore che ci parla ogni giorno; chiamata ad andare sempre avanti, a sognare con audacia, a decentrare la propria esistenza per metterla al servizio; invito a fidarsi sempre di Dio, l’unico capace di trasformare la vita in una festa». «Questa è la vocazione secondo don Tonino», ha commentato Francesco: «Una chiamata a diventare non solo fedeli devoti, ma veri e propri innamorati del Signore, con l’ardore del sogno, lo slancio del dono, l’audacia di non fermarsi alle mezze misure. Perché quando il Signore incendia il cuore, non si può spegnere la speranza. Quando il Signore chiede un ‘sì’, non si può rispondere con un ‘forse’. Farà bene, non solo ai giovani, ma a tutti noi, a tutti quelli che cercano il senso della vita, ascoltare e riascoltare le parole di don Tonino».

«Che il Signore ci dia questa grazia: una Chiesa non mondana», ha detto, a braccio, il Papa, citando a più riprese le parole di don Tonino Bello, che raccomandava: «Amiamo il mondo. Vogliamogli bene. Prendiamolo sotto braccio. Usiamogli misericordia. Non opponiamogli sempre di fronte i rigori della legge se non li abbiamo temperati prima con dosi di tenerezza». «Sono parole che rivelano il desiderio di una Chiesa per il mondo: non mondana, ma per il mondo», il commento di Francesco. «In questa terra, nacque Antonio e divenne don Tonino», le parole del Papa: «Questo nome, semplice e familiare, che leggiamo sulla sua tomba, ci parla ancora. Racconta il suo desiderio di farsi piccolo per essere vicino, di accorciare le distanze, di offrire una mano tesa. Invita all’apertura semplice e genuina del Vangelo. Don Tonino l’ha tanto raccomandata, lasciandola in eredità ai suoi sacerdoti». Quella che sognava don Tonino, ha sottolineato Francesco, era «una Chiesa monda di autoreferenzialità ed estroversa, protesa, non avviluppata dentro di sé; non in attesa di ricevere, ma di prestare pronto soccorso; mai assopita nelle nostalgie del passato, ma accesa d’amore per l’oggi, sull’esempio di Dio, che ha tanto amato il mondo». Il nome «don Tonino», come si faceva chiamare da tutti, per il Papa «ci dice anche la sua salutare allergia verso i titoli e gli onori, il suo desiderio di privarsi di qualcosa per Gesù che si è spogliato di tutto, il suo coraggio di liberarsi di quel che può ricordare i segni del potere per dare spazio al potere dei segni. Don Tonino non lo faceva certo per convenienza o per ricerca di consensi, ma mosso dall’esempio del Signore». «Nell’amore per Lui troviamo la forza di dismettere le vesti che intralciano il passo per rivestirci di servizio, per essere ‘Chiesa del grembiule, unico paramento sacerdotale registrato dal Vangelo’», l’auspicio di Francesco sulla scorta di don Tonino.

«Da questa sua amata terra che cosa don Tonino ci potrebbe ancora dire?». Si è chiesto il Papa, nella parte finale del suo primo discorso nel Salento. «Questo credente con i piedi per terra e gli occhi al Cielo, e soprattutto con un cuore che collegava Cielo e terra, ha coniato, tra le tante, una parola originale, che tramanda a ciascuno di noi una grande missione», ha ricordato Francesco ad Alessano: «Gli piaceva dire che noi cristiani ‘dobbiamo essere dei contempl-attivi, con due t, cioè della gente che parte dalla contemplazione e poi lascia sfociare il suo dinamismo, il suo impegno nell’azione’, della gente che non separa mai preghiera e azione». «Caro don Tonino – ha poi proseguito il Papa dando del «tu» al vescovo di Molfetta, come ha fatto a più riprese nel suo discorso – ci hai messo in guardia dall’immergerci nel vortice delle faccende senza piantarci davanti al tabernacolo, per non illuderci di lavorare invano per il Regno. E noi ci potremmo chiedere se partiamo dal tabernacolo o da noi stessi. Potresti domandarci anche se, una volta partiti, camminiamo; se, come Maria, Donna del cammino, ci alziamo per raggiungere e servire l’uomo, ogni uomo». «Se ce lo chiedessi, dovremmo provare vergogna per i nostri immobilismi e per le nostre continue giustificazioni», il mea culpa di Francesco: «Ridestaci allora alla nostra alta vocazione; aiutaci ad essere sempre più una Chiesa contempl-attiva, innamorata di Dio e appassionata dell’uomo!».

«Imitiamo don Tonino». «In ogni epoca il Signore mette sul cammino della Chiesa dei testimoni che incarnano il buon annuncio di Pasqua, profeti di speranza per l’avvenire di tutti. Dalla vostra terra Dio ne ha fatto sorgere uno, come dono e profezia per i nostri tempi. E Dio desidera che il suo dono sia accolto, che la sua profezia sia attuata». È l’omaggio del Papa a don Tonino Bello dalla sua terra natale, Alessano, davanti a 20mila fedeli. «Non accontentiamoci di annotare bei ricordi – l’invito rivolto a loro -, non lasciamoci imbrigliare da nostalgie passate e neanche da chiacchiere oziose del presente o da paure per il futuro. Imitiamo don Tonino, lasciamoci trasportare dal suo giovane ardore cristiano, sentiamo il suo invito pressante a vivere il Vangelo senza sconti. È un invito forte rivolto a ciascuno di noi e a noi come Chiesa. Ci aiuterà a spandere oggi la fragrante gioia del Vangelo».

Testo integrale del discorso del Papa