Vita Chiesa

Papa in Cile: al clero, «conosco il dolore per i casi di abusi». Serve «coraggio di chiedere perdono»

«So che avete subito insulti». «Dolore per il danno e la sofferenza delle vittime e delle loro famiglie, che hanno visto tradita la fiducia che avevano posto nei ministri della Chiesa», ha detto Francesco: «Dolore per la sofferenza delle comunità ecclesiali; e dolore anche per voi, fratelli, che oltre alla fatica della dedizione avete vissuto il danno provocato dal sospetto e dalla messa in discussione, che in alcuni o in molti può aver insinuato il dubbio, la paura e la sfiducia». «So che a volte avete subito insulti sulla metropolitana o camminando per la strada», ha assicurato il Papa: «Che andare vestiti da prete in molte zone si sta pagando caro». Di qui l’invito «a chiedere a Dio che ci dia la lucidità di chiamare la realtà col suo nome, il coraggio di chiedere perdono e la capacità di imparare ad ascoltare quello che lui ci sta dicendo». «Le nostre società stanno cambiando», ha proseguito Francesco facendo notare che «il Cile di oggi è molto diverso da quello che conobbi al tempo della mia giovinezza, quando mi formavo. Stanno nascendo nuove e varie forme culturali che non si adattano ai contorni conosciuti. E dobbiamo riconoscere che, tante volte, non sappiamo come inserirci in queste nuove situazioni. Spesso sogniamo le ‘cipolle d’Egitto’ e ci dimentichiamo che la terra promessa sta davanti. Che la promessa è di ieri, ma per domani». «Possiamo cadere nella tentazione di chiuderci e isolarci per difendere le nostre posizioni che finiscono per essere nient’altro che bei monologhi», il monito del Papa: «Possiamo essere tentati di pensare che tutto va male, e invece di professare una ‘buona novella’, quello che professiamo è solo apatia e disillusione». L’esortazione di Francesco, invece, è ad «affrontare la realtà così come ci si presenta. La realtà personale, comunitaria e sociale». Il Papa è arrivato nella cattedrale di Santiago alle ore 17.15 (21.15 ora di Roma), dove è stato accolto dal card. Ricardo Ezzati Andrello, arcivescovo di Santiago, che gli ha rivolto un breve saluto.

«Non siamo qui perché siamo migliori degli altri. Non siamo supereroi che, dall’alto, scendono a incontrarsi con i ‘mortali’. Piuttosto siamo inviati con la consapevolezza di essere uomini e donne perdonati. E questa è la fonte della nostra gioia». È l’identikit della vita consacrata, tracciato dal Papa nel discorso al clero. «Il consacrato è colui e colei che incontra nelle proprie ferite i segni della Risurrezione; che riesce a vedere nelle ferite del mondo la forza della Risurrezione; che, come Gesù, non va incontro ai fratelli con il rimprovero e la condanna». «Gesù non si presenta ai suoi senza piaghe», ha ricordato Francesco: «Proprio partendo dalle sue piaghe Tommaso può confessare la fede. Siamo invitati a non dissimulare o nascondere le nostre piaghe». «Una Chiesa con le piaghe è capace di comprendere le piaghe del mondo di oggi e di farle sue, patirle, accompagnarle e cercare di sanarle», la tesi del Papa: «Una Chiesa con le piaghe non si pone al centro, non si crede perfetta, ma pone al centro l’unico che può sanare le ferite e che si chiama Gesù Cristo. La consapevolezza di avere delle piaghe ci libera; sì, ci libera dal diventare autoreferenziali, di crederci superiori. Ci libera da quella tendenza prometeica di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato». «In Gesù, le nostre piaghe sono risorte», ha proseguito Francesco: «Ci rendono solidali; ci aiutano a distruggere i muri che ci imprigionano in un atteggiamento elitario per stimolarci a gettare ponti e andare incontro a tanti assetati del medesimo amore misericordioso che solo Cristo ci può offrire».

Tra gli altri atteggiamenti stigmatizzati dal Papa, «quell’atteggiamento distruttivo che è il vittimismo» o, al contrario, il «cadere in un ‘tanto è tutto uguale’ che finisce per annacquare qualsiasi impegno nel relativismo più dannoso». Ugualmente sbagliato, per Francesco, è «considerare chiunque come se fosse un nemico, o non accettare con serenità le contraddizioni o le critiche». No, inoltre, anche alla «tristezza» e al «malumore».

Non abbiamo bisogno di supereroi. «Vedo con una certa preoccupazione che ci sono comunità che vivono prese dall’ansia più di figurare sul cartellone, di occupare spazi, di apparire e mostrarsi, che non di rimboccarsi le maniche e andare a toccare la realtà sofferta del nostro popolo fedele». È il monito del Papa, che nel discorso rivolto al clero nella cattedrale di Santiago, dopo aver citato un santo cileno, ha ricordato che «il popolo di Dio non aspetta né ha bisogno di supereroi, aspetta pastori, consacrati, che conoscano la compassione, che sappiano tendere una mano, che sappiano fermarsi davanti a chi è caduto e, come Gesù, aiutino ad uscire da quel giro vizioso di ‘masticare’ la desolazione che avvelena l’anima».

«Passare dall’essere una Chiesa di abbattuti e desolati a una Chiesa servitrice di tanti abbattuti che vivono accanto a noi». È la conversione pastorale chiesta alla Chiesa cilena, nella parte finale del discorso al clero. «Una Chiesa capace di porsi al servizio del suo Signore nell’affamato, nel carcerato, nell’assetato, nel senzatetto, nel denudato, nel malato», ha proseguito Francesco: «Un servizio che non si identifica con l’assistenzialismo o il paternalismo, ma con la conversione del cuore». «Il problema non sta nel dar da mangiare al povero, vestire il denudato, assistere l’infermo, ma nel considerare che il povero, il denudato, il malato, il carcerato, il senzatetto hanno la dignità di sedersi alle nostre tavole, di sentirsi ‘a casa’ tra noi, di sentirsi in famiglia», ha spiegato il Papa, in modo da «creare le condizioni perché ogni persona abbattuta possa incontrarsi con Gesù». «Non si amano le situazioni, né le comunità ideali, si amano le persone», il monito di Francesco, che ha esortato i presenti «a preparare nel vostro cuore una specie di testamento spirituale, sul modello del Cardinal Raúl Silva Henríquez», che pregava dicendo: «La Chiesa che io amo è la Santa Chiesa di tutti i giorni… la tua, la mia, la Santa Chiesa di tutti i giorni… Gesù, il Vangelo, il pane, l’Eucaristia, il Corpo di Cristo umile ogni giorno. Con i volti dei poveri e i volti di uomini e donne che cantavano, che lottavano, che soffrivano. La Santa Chiesa di tutti i giorni». Al termine del suo discorso, il Papa si è recato in sagrestia per l’incontro con i vescovi.