Vita Chiesa

Papa in Colombia, a i vescovi: «non siate «una casta di funzionari piegati alla dittatura del presente»

«Sono convinto che la Colombia abbia qualcosa di originale che richiama fortemente l’attenzione», ha proseguito il Francesco: «Non è mai stata una meta completamente realizzata, né una destinazione totalmente raggiunta, né un tesoro totalmente posseduto. La sua ricchezza umana, le sue abbondanti risorse naturali, la sua cultura, la sua luminosa sintesi cristiana, il patrimonio della sua fede e la memoria dei suoi evangelizzatori, la gioia spontanea e senza riserve della sua gente, l’impagabile sorriso della sua gioventù, la sua originale fedeltà al Vangelo di Cristo e alla sua Chiesa e, soprattutto, il suo indomabile coraggio di resistere alla morte, non solo annunciata, ma molte volte seminata: tutto questo viene sottratto, diciamo che si nasconde, a quelli che si presentano come stranieri bramosi di soggiogarla, mentre, all’opposto, si offre generosamente a chi tocca il suo cuore con la mansuetudine del pellegrino. La Colombia è così». «Per questo, come pellegrino, mi rivolgo alla vostra Chiesa», le parole di Francesco: «Sono vostro fratello, desideroso di condividere Cristo Risorto, per il quale nessun muro è eterno, nessuna paura è indistruttibile, nessuna piaga è incurabile». «Non sono il primo Papa che vi parla nella vostra casa», ha puntualizzato Bergoglio: «Due dei miei più grandi predecessori sono stati ospiti qui: il beato Paolo VI, che venne poco dopo la conclusione del Concilio Vaticano II per incoraggiare l’attuazione collegiale del mistero della Chiesa in America Latina; e san Giovanni Paolo II nella sua memorabile visita apostolica del 1986. Le parole di ambedue sono una risorsa permanente, le indicazioni che delinearono e la stupenda sintesi che offrirono sul nostro ministero episcopale costituiscono un patrimonio da custodire. Vorrei che quanto vi dico venga recepito in continuità con quello che essi hanno insegnato».

Il primo passo «si chiama Gesù ed è un passo irreversibile. Proviene dalla libertà di un amore che tutto precede. Perché il Figlio, egli stesso, è la vivente espressione di tale amore». Nella parte centrale del discorso, il Papa si è riferito al motto del viaggio in Colombia, «Facciamo il primo passo».  «Coloro che lo riconoscono e lo accolgono ricevono in eredità il dono di essere introdotti nella libertà di poter compiere sempre in Lui il primo passo, non hanno paura di perdersi se escono da sé stessi, perché possiedono la garanzia dell’amore che promana dal primo passo di Dio, una bussola che impedisce loro di perdersi», ha assicurato Francesco: «Custodite dunque, con santo timore e commozione, quel primo passo di Dio verso di voi e, per mezzo del vostro ministero, verso la gente che vi è stata affidata, nella consapevolezza di essere sacramento vivente di quella libertà divina che non ha paura di uscire da sé stessa per amore, che non teme di impoverirsi mentre si dona, che non ha necessità di altra forza che l’amore». «Dio ci precede, siamo tralci e non la vite», ha ricordato il Papa: «Non fate tacere la voce di colui che ci ha chiamati, e non pensate che siano la somma delle vostre povere virtù o le lusinghe dei potenti di turno ad assicurare il risultato della missione che Dio vi ha affidato. Al contrario, mendicate nella preghiera quando non potete né dare, né darvi, perché abbiate qualcosa da offrire a quelli che si accostano costantemente al vostro cuore di pastori». «La preghiera nella vita del vescovo è la linfa vitale che passa attraverso la vite, senza la quale il tralcio marcisce diventando infecondo», ha ribadito Francesco: «Lottate con Dio, e più ancora nella notte della sua assenza. Le ferite di questa quotidiana e prioritaria battaglia nella preghiera saranno fonte di risanamento per voi: sarete feriti da Dio per diventare capaci di curare».

«Non misuratevi con il metro di quelli che vorrebbero che foste solo una casta di funzionari piegati alla dittatura del presente. Abbiate invece sempre fisso lo sguardo nell’eternità di Colui che vi ha scelti, pronti ad accogliere il decisivo giudizio delle sue labbra». È il forte monito rivolto dal Papa ai vescovi. «Nella complessità del volto di questa Chiesa colombiana, è molto importante preservare la singolarità delle sue differenti e legittime forze, le sensibilità pastorali, le peculiarità regionali, le memorie storiche, le ricchezze delle peculiari esperienze ecclesiali», la ricetta di Francesco, che ha esortato i presuli a «cercare con perseveranza la comunione» tra di loro: «Non stancatevi di costruirla attraverso il dialogo franco e fraterno, condannando come la peste i progetti nascosti. Siate solleciti nel compiere il primo passo l’uno verso l’altro. Anticipatevi nella disponibilità a comprendere le ragioni dell’altro. Lasciatevi arricchire da quello che l’altro può offrirvi e costruite una Chiesa che offra a questo Paese una testimonianza eloquente di quanto si può progredire quando si è disposti a non rimanere nelle mani di pochi». Secondo il Papa, «il ruolo delle provincie ecclesiastiche in rapporto allo stesso messaggio di evangelizzazione è fondamentale, perché sono diverse e armonizzate le voci che lo proclamano». «Non accontentatevi di un mediocre impegno minimo, che lasci i rassegnati nella tranquilla quiete della loro impotenza, mentre al tempo stesso placa quelle speranze che avrebbero bisogno del coraggio di essere riposte più sulla forza di Dio che sulla propria debolezza», l’invito: «Riservate una particolare sensibilità per le radici afro-colombiane della vostra gente, che tanto generosamente hanno contribuito a disegnare il volto di questa terra».

«Vi invito a non avere paura di toccare la carne ferita della vostra storia e della storia della vostra gente. Fatelo con umiltà, senza la vana pretesa di protagonismo e con il cuore indiviso, libero da compromessi o servilismi. Solo Dio è il Signore e la nostra anima di pastori non si deve sottomettere a nessun’altra causa». Così Papa Francesco ha esortato i vescovi colombiani a vivere da protagonisti accanto al loro popolo. «La Colombia ha bisogno del vostro sguardo, sguardo di vescovi, per sostenerla nel coraggio del primo passo verso la pace definitiva, la riconciliazione, il ripudio della violenza come metodo, il superamento delle disuguaglianze che sono la radice di tante sofferenze, la rinuncia alla strada facile ma senza uscita della corruzione, il paziente e perseverante consolidamento della res publica, che richiede il superamento della miseria e della disuguaglianza», ha detto Francesco nei risvolti più politici del suo discorso, in cui – come aveva già fatto nel suo primo discorso in terra di Colombia, rivolto alle autorità – ha citato ancora una volta Gabriel Garcia Marquez: «Non immaginavo che fosse più facile iniziare una guerra che concluderla». «Tutti sappiamo che la pace esige dagli uomini un coraggio morale diverso», ha commentato Francesco: «La guerra deriva da quanto di più basso c’è nel nostro cuore, la pace invece ci spinge ad essere più grandi di noi stessi». «Non pensavo che ci sarebbero volute tante parole per spiegare quello che si provava nella guerra, in realtà ne bastava una sola: paura», aggiungeva Marquez nel suo romanzo-capolavoro, «Cent’anni di solitudine». «Non è necessario che vi parli di tale paura, radice avvelenata, frutto amaro e nefasta eredità di ogni conflitto», il controcanto del Papa, incoraggiando i vescovi «a continuare a credere che si può agire diversamente, ricordando che non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura».

«Voi vedete con i vostri occhi e conoscete come pochi la deformazione del volto di questo Paese, siete custodi degli elementi fondamentali che lo rendono uno, nonostante le sue lacerazioni», ha detto ai vescovi: «La Colombia ha bisogno di voi per riconoscersi nel suo vero volto carico di speranza malgrado le sue imperfezioni, per perdonarsi reciprocamente nonostante le ferite non del tutto cicatrizzate, per credere che si può percorrere un’altra strada anche quando l’inerzia spinge a ripetere gli stessi errori, per avere il coraggio di superare quanto può renderla miserabile nonostante i suoi tesori».

«Molti possono contribuire alla sfida di questa azione, ma la vostra missione è peculiare. Voi non siete tecnici né politici, siete pastori», ha precisato il Papa, che ha esortato i presuli a pronunciare una parola: riconciliazione.  «Cristo – ha spiegato Francesco – è la parola di riconciliazione scritta nei vostri cuori e avete la forza di porla pronunciare non solo sui pulpiti, nei documenti ecclesiali o negli articoli dei periodici, ma più ancora nel cuore delle persone, nel segreto santuario delle loro coscienze». «Alla Chiesa non interessa altro che la libertà di pronunciare questa parola», ha precisato Francesco: «Non servono alleanze con una parte o con l’altra, bensì la libertà di parlare ai cuori di tutti. Proprio lì avete l’autonomia di inquietare, lì avete la possibilità di sostenere una inversione di rotta». «Tenere sempre lo sguardo fisso all’uomo concreto», l’altra consegna ai vescovi: «Non servite un concetto di uomo, ma la persona umana amata da Dio, fatta di carne e ossa, storia, fede, speranza, sentimenti, delusioni, frustrazioni, dolori, ferite, e vedrete che questa concretezza dell’uomo smaschera le fredde statistiche, i calcoli manipolati, le strategie cieche, le informazioni distorte».

La famiglia, la vita, i giovani, i sacerdoti, le vocazioni, i laici, la formazione: sono le «sfide» prioritarie per la Colombia, additate dal Papa ai vescovi, sulla scia dei suoi predecessori. Nel discorso finora più ampio pronunciato in Colombia, durato circa tre quarti d’ora, Francesco ha citato le famiglie colombiane, minate dalla «piaga della violenza e dell’alcolismo», nonché dalla «fragilità del vincolo matrimoniale» e dall’assenza dei padri di famiglia, e i «tanti giovani minacciati dal vuoto dell’anima e presi dalla droga come via di uscita» o «dallo stile di vita facile». In Colombia sono molti i laici, ha riconosciuto il Papa, che «resistono anche quando non pochi proclamano il nuovo dogma dell’egoismo e della morte di ogni solidarietà». «Conservate la serenità», l’invito ai vescovi, anche se «di notte il maligno continua a seminare zizzania». I giovani, in particolare, «vogliono sentirsi amati, diffidano di quelli che li sottovalutano, chiedono coerenza limpida e aspettano di essere coinvolti». Non è mancato un monito più politico: «Non abbiate paura di alzare serenamente la voce per ricordare a tutti che una società che si lascia sedurre dal miraggio del narcotraffico trascina sé stessa in quella metastasi morale che mercanteggia l’inferno e semina dovunque la corruzione, e nello stesso tempo ingrassa i paradisi fiscali».

«Non abbandonare a se stessa la Chiesa in Amazzonia». Si è concluso con questo invito il discorso del Papa ai vescovi colombiani, in cui Francesco, partendo dalla «meravigliosa biodiversità» del Paese latinoamericano ha affermato che «l’Amazzonia è per tutti noi una prova decisiva per verificare se la nostra società, quasi sempre ridotta al materialismo e al pragmatismo, è in grado di custodire ciò che ha ricevuto gratuitamente, non per saccheggiarlo, ma per renderlo fecondo». Come esempio, il Papa ha citato l’«arcana sapienza dei popoli indigeni dell’Amazzonia», chiedendosi «se siamo ancora capaci di imparare da essi la sacralità della vita, il rispetto per la natura, la consapevolezza che la ragione strumentale non è sufficiente per colmare la vita dell’uomo e rispondere alla ricerca profonda che lo interpella». Quanto alla formazione dei sacerdoti – tema trattato poco prima – Francesco ha esortato i vescovi ad esercitare la «paternità», chiedendosi se i candidati al sacerdozio «vivono veramente secondo Gesù o si sono improvvisati altre sicurezze come la stabilità economica, l’ambiguità orale, la doppia vita o l’aspirazione miope alla carriera».