Vita Chiesa

Papa in Messico: ai carcerati, «rompere i giri viziosi della violenza e della delinquenza»

«Non c’è luogo dove la sua misericordia non possa giungere, non c’è spazio né persona che non possa toccare», ha assicurato Francesco ricordando l’apertura della «prima Porta della Misericordia per il mondo intero», a Bangui. «Oggi insieme a voi e con voi desidero riaffermare una volta di più la fiducia alla quale Gesù ci incoraggia». «Celebrare il Giubileo della misericordia con voi è ricordare il cammino urgente che dobbiamo intraprendere per rompere i giri viziosi della violenza e della delinquenza», l’appello del Papa. «Già abbiamo perso diversi decenni pensando e credendo che tutto si risolve isolando, separando, incarcerando, togliendosi i problemi di torno, credendo che questi mezzi risolvano veramente i problemi», la sua denuncia: «Ci siamo dimenticati di concentrarci su quella che realmente dev’essere la nostra preoccupazione: la vita delle persone; la loro vita, quella delle loro famiglie, quella di coloro che pure hanno sofferto a causa di questo giro vizioso della violenza». Nel penitenziario «Cereso numero tre» il Papa ha incontrato 700 detenuti e detenuti, e ha salutato personalmente 20 donne e 30 uomini che si sono distinti per buona condotta.

Le carceri sintomo di una cultura dello scarto. «La misericordia divina ci ricorda che le carceri sono un sintomo di come stiamo come società, in molti casi sono un sintomo di silenzi e omissioni provocate dalla cultura dello scarto». Ne è convinto il Papa, che dal penitenziario di Cereso ha affermato che le carceri «sono un sintomo di una cultura che ha smesso di scommettere sulla vita, di una società che è andata abbandonando i suoi figli». «La misericordia ci ricorda che il reinserimento non comincia qui tra queste pareti, ma che comincia prima, fuori, nelle vie della città», ha ammonito Francesco: «Il reinserimento o la riabilitazione comincia creando un sistema che potremmo chiamare di salute sociale, vale a dire, una società che cerchi di non ammalarsi inquinando le relazioni nel quartiere, nelle scuole, nelle piazze, nelle vie, nelle abitazioni, in tutto lo spettro sociale. Un sistema di salute sociale che faccia in modo di generare una cultura che sia efficace e che cerchi di prevenire quelle situazioni, quelle vie che finiscono per ferire e deteriorare il tessuto sociale».

Il problema della sicurezza non si risolve solo incarcerando. «A volte potrebbe sembrare che le carceri si propongano di mettere le persone in condizione di continuare a commettere delitti, più che a promuovere processi di riabilitazione che permettano di far fronte ai problemi sociali, psicologici e familiari che hanno portato una persona ad un determinato atteggiamento». Nell’ultimo giorno del suo viaggio in Messico, il Papa ha parlato da Ciudad Juárez delle modalità di detenzione applicate nella maggioranza dei Paesi. «Il problema della sicurezza – la sua tesi di fondo – non si risolve solamente incarcerando, ma è un appello a intervenire per affrontare le cause strutturali e culturali dell’insicurezza che colpiscono l’intero tessuto sociale».

Imperativo morale per tutti. «La preoccupazione di Gesù per gli affamati, gli assetati, i senza tetto o i detenuti – ha detto ancora il Papa – intendeva esprimere le viscere di misericordia del Padre, ed essa diventa un imperativo morale per tutta la società che desidera disporre delle condizioni necessarie per una migliore convivenza». Dal Centro di riabilitazione sociale numero tre di Ciudad Juárez Francesco è sceso nel dettaglio della ricetta necessaria per realizzare questo obiettivo: «Nella capacità di una società di includere i suoi poveri, i suoi malati o i suoi detenuti risiede la possibilità per essi di poter sanare le loro ferite ed essere costruttori di una buona convivenza», ha affermato. «Il reinserimento sociale – la proposta concreta – inizia con la frequenza alla scuola di tutti i nostri figli e con un lavoro degno per le loro famiglie, creando spazi pubblici per il tempo libero e la ricreazione, abilitando le istanze di partecipazione civica, i servizi sanitari, l’accesso ai servizi basici, per nominare solo alcune misure».

Credere in un domani diverso. «Celebrare il Giubileo della misericordia con voi significa imparare a non rimanere prigionieri del passato, di ieri. È imparare ad aprire la porta al futuro, al domani: è credere che le cose possano essere differenti. Celebrare il Giubileo della misericordia con voi è invitarvi ad alzare la testa e a lavorare per ottenere tale desiderato spazio di libertà». Parole cariche di empatia, quelle rivolte dal Papa ai carcerati di Ciudad Juárez, nel suo speciale Giubileo con cui ha scelto di inaugurare l’ultimo giorno in Messico. «Sappiamo che non si può tornare indietro, sappiamo che quel che è fatto è fatto», ha spiegato Francesco, «perciò ho voluto celebrare con voi il Giubileo della misericordia, poiché questo non significa che non ci sia la possibilità di scrivere una nuova storia d’ora in avanti». Poi, rivolgendosi uno ad uno agli ospiti del penitenziario: «Voi soffrite il dolore della caduta, sentite il pentimento per i vostri atti e so che in tanti casi, in mezzo a grandi limitazioni, cercate di ricostruire la vostra vita a partire dalla solitudine. Avete conosciuto la forza del dolore e del peccato; non dimenticatevi che avete a disposizione anche la forza della risurrezione, la forza della misericordia divina che fa nuove tutte le cose». «Ora vi può toccare la parte più dura, più difficile – ha ammesso il Papa – però, perché possa essere quella che generi un più grande frutto, impegnatevi fin da qui dentro a capovolgere le situazioni che generano ulteriore esclusione. Parlate con i vostri cari, raccontate loro la vostra esperienza, aiutate a frenare il giro vizioso della violenza e dell’esclusione». Infine lo straordinario tributo di fiducia, e il conseguente appello, a chi si trova dietro le sbarre: «Chi ha sofferto profondamente il dolore e ha sperimentato l’inferno può diventare un profeta nella società. Lavorate perché questa società che usa e getta non continui a mietere vittime».

Perché loro e non io?». «Nel dirvi queste cose, mi sono ricordato della frase di Gesù che dice: ‘Chi è senza peccato scagli la prima pietra’. E qui io me ne dovrei andare…». Il Papa ha concluso a braccio il suo discorso ai carcerati di «Cereso n. 3». «Non lo faccio sulla cattedra, con il dito alzato, ma sull’esperienza dei miei peccati che il Signore ha voluto perdonare e ha voluto rieducare», ha precisato sempre fuori testo a proposito dell’intenzione del suo discorso. «Lo faccio con la coscienza che senza la sua grazia e la sua vigilanza, potrei tornare a ripeterli», ha aggiunto ancora a braccio a proposito dei suoi peccati. «Perché loro e non io?»: come fa sempre quando entra nei suoi viaggi apostolici in un penitenziario, Francesco ha ricordato che questa è la frase che sente risuonare dentro di sé. «E questo è un mistero della misericordia divina», ha commentato terminando il suo finale fuori programma.