Vita Chiesa

Papa in Myanmar: Messa a Yangon, no alla «vendetta». Guarire le ferite della violenza con «il balsamo della misericordia

«Prima di venire in questo Paese, ho atteso a lungo questo momento». È il saluto del Papa (testo integrale) alle centinaia di migliaia di fedeli che hanno assistito alla Messa al Kyaikkasan Ground di Yangon, celebrata alle 8.30 locali (le tre di notte a Roma). «Molti di voi sono giunti da lontano e da remote aree montagnose, alcuni anche a piedi», ha proseguito Francesco riferendosi al popolo cattolico birmano, che costituisce l’1,7% della popolazione.

«Sono venuto come pellegrino per ascoltare e imparare da voi, e per offrirvi alcune parole di speranza e consolazione», ha spiegato Francesco a proposito dello spirito del viaggio. «Gesù non ci ha insegnato la sua sapienza con lunghi discorsi o mediante grandi dimostrazioni di potere politico e terreno, ma dando la sua vita sulla croce», l’annuncio sulla scorta delle letture del giorno. «Qualche volta possiamo cadere nella trappola di fare affidamento sulla nostra stessa sapienza, ma la verità è che noi possiamo facilmente perdere il senso dell’orientamento», l’analisi del Papa: «In quel momento è necessario ricordare che disponiamo di una sicura bussola davanti a noi, il Signore crocifisso». «Nella croce, noi troviamo la sapienza, che può guidare la nostra vita con la luce che proviene da Dio», ha assicurato Francesco: «Dalla croce viene anche la guarigione. Là Gesù ha offerto le sue ferite al Padre per noi, le ferite mediante le quali noi siamo guariti». «Che non ci manchi mai la sapienza di trovare nelle ferite di Cristo la fonte di ogni cura», l’appello.

Per essere «testimoni della riconciliazione e della pace», bisogna saper dire no alla vendetta e sì al «balsamo della misericordia». È la ricetta del Papa per sanare le «ferite della violenza, sia visibili che invisibili», frutto di un conflitto durato 50 anni. «So che molti in Myanmar portano le ferite della violenza, sia visibili che invisibili», ha detto Francesco nell’omelia: «Pensiamo che la cura possa venire dalla rabbia e dalla vendetta. Tuttavia la via della vendetta non è la via di Gesù», il monito del Papa, «la via di Gesù è radicalmente differente». «Con il dono dello Spirito, Gesù rende capace ciascuno di noi di essere segno della sua sapienza, che trionfa sulla sapienza di questo mondo, e della sua misericordia, che dà sollievo anche alle ferite più dolorose», ha assicurato Francesco: «Nel dono dell’Eucaristia, non solo riconosciamo, con gli occhi della fede, il dono del suo corpo e del suo sangue; noi impariamo anche come trovare riposo nelle sue ferite, e là essere purificati da tutti i nostri peccati e dalle nostre vie distorte». «Rifugiandovi nelle ferite di Cristo – l’invito al popolo del Myanmar – possiate assaporare il balsamo risanante della misericordia del Padre e trovare la forza di portarlo agli altri, per ungere ogni ferita e ogni memoria dolorosa. In questo modo, sarete fedeli testimoni della riconciliazione e della pace che Dio vuole che regni in ogni cuore umano e in ogni comunità».

«La Chiesa in questo Paese sta aiutando un gran numero di uomini, donne e bambini, senza distinzioni di religione o di provenienza etnica». È l’omaggio del Papa alle «cure quotidiane» dei vescovi, dei preti, dei religiosi e catechisti del Myanmar nei riguardi della parte più debole della popolazione. «So che la Chiesa in Myanmar sta già facendo molto per portare il balsamo risanante della misericordia di Dio agli altri, specialmente ai più bisognosi», le parole del Papa: «Vi sono chiari segni che, anche con mezzi assai limitati, molte comunità proclamano il Vangelo ad altre minoranze tribali, senza mai forzare o costringere, ma sempre invitando e accogliendo. In mezzo a tante povertà e difficoltà, molti di voi offrono concreta assistenza e solidarietà ai poveri e ai sofferenti». «Posso testimoniare che la Chiesa qui è viva, che Cristo è vivo ed è qui con voi e con i vostri fratelli e sorelle delle altre comunità cristiane», il tributo di Francesco, che ha incoraggiato la minoranza cattolica «a continuare a condividere con gli altri la sapienza inestimabile che avete ricevuto, l’amore di Dio che sgorga dal cuore di Gesù». «Seminare semi di guarigione e riconciliazione nelle vostre famiglie, comunità e nella più vasta società di questa nazione»: così Francesco ha sintetizzato l’impegno della piccola comunità cattolica, alla quale ha raccomandato la «logica» del perdono e della misericordia. L’amore di Gesù, rivelato sulla croce, è «inarrestabile», è come «un Gps spirituale che ci guida infallibilmente verso la vita intima di Dio e il cuore del nostro prossimo», ha spiegato il Papa esortando i birmani ad «essere messaggeri della vera sapienza, profondamente misericordiosi verso i bisognosi, con la gioia che deriva dal riposare nelle ferite di Gesù, che ci ha amati sino alla fine»: «Dio benedica tutti voi! Benedica la Chiesa in Myanmar! Benedica questa terra con la sua pace! Dio benedica il Myanmar!».

Card. Bo: «Torniamo a casa orgogliosi di essere cattolici». «La vita non sarà mai più la stessa per i cattolici del Myanmar». A garantirlo è stato il card. Charles Bo, arcivescovo di Yangon, salutando il Papa al termine della Messa celebrata dal Papa al Kyaikkasan Ground. «Solo un anno fa il pensiero che questo piccolo gregge avrebbe condiviso il Pane con il nostro Santo Padre Francesco sarebbe stato un puro sogno», ha esordito il cardinale: «Noi siamo un piccolo gregge. Noi siamo come Zaccheo. In mezzo alle nazioni non potevamo vedere il nostro pastore. Come Zaccheo, siamo stati chiamati: ‘Scendi, voglio fermarmi a casa tua’. Ecco il nostro Santo Padre. Il Santo Padre Francesco: un buon pastore che va in cerca dei piccoli e di quelli ai margini». «Torniamo a casa con una straordinaria energia spirituale, orgogliosi di essere cattolici, chiamati a vivere il Vangelo», ha concluso l’arcivescovo di Yangon: «Questo giorno rimarrà impresso in ogni cuore qui presente. Questo piccolo gregge continuerà a pregare per Lei». Dopo la benedizione finale, il Papa Francesco è rientrato in auto all’arcivescovado per pranzare con i membri del seguito papale.