Vita Chiesa

Pedofilia, caso Daniel Pittet: vescovi svizzeri e cappuccini, occasione per fare luce

In un comunicato diffuso oggi dalla Conferenza episcopale svizzera, si legge: «Anche se il caso è stato fortemente mediatizzato nel 2008, il libro, con i suoi numerosi dettagli, illustra i tristi meccanismi che hanno lasciato libero corso al comportamento dannoso e manipolatorio di un pedofilo». «La Conferenza dei vescovi e gli ordini religiosi svizzeri hanno già più volte riconosciuto la loro responsabilità per tali casi di abuso avvenuti nel contesto della Chiesa. Nel caso specifico, i Cappuccini e la diocesi di Losanna, Ginevra e Friburgo deplorano gli errori che hanno commesso all’epoca». La nota, a questo punto, ricorda che il caso J.A. è stato portato davanti alla giustizia tre volte. Nel 1995, una prima denuncia per abuso sessuale fu depositata contro J.A. a Saint-Maurice ma non fu possibile al giudice riceverla perché riguardava casi prescritti. Nel 2002 la diocesi di Losanna, Ginevra e Friburgo ha istituito la «Commissione SOS Prevenzione», alla quale si presentarono due presunte vittime di J.A. Le informazioni raccolte da questa Commissione e altri documenti presentati servirono come base per una inchiesta giudiziaria su J.A. istruita a Friburgo. Il giudice confermò il 3 novembre 2008 che se l’indagine preliminare ha condotto alla identificazione di altre 22 vittime, tutti questi casi erano però prescritti e quindi nessuna accusa formale poteva essere ammissibile. Nel corso delle indagini preliminari, J.A. ammette di aver abusato di altre due vittime in Francia tra il 1992 e il 1995. Il dossier viene pertanto inoltrato al procuratore di Grenoble. Il 5 gennaio 2012 J.A. viene condannato dal Tribunale penale di Grenoble e condannato a due anni di prigione con la condizionale. Il giudizio non ordinò nessun’altra misura di prevenzione.

Interpellato sulle informazioni dettagliate nel libro di Daniel Pittet, monsignor Charles Morerod, vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo e presidente della Conferenza dei vescovi svizzeri, dice di voler cogliere questa occasione «per far luce sul possibile coinvolgimento di altre persone». I cappuccini svizzeri «riconoscono le accuse secondo le quali il modo, in voga all’epoca, di agire con gli autori degli abusi, ha permesso altri stupri. Per proteggere la reputazione della Chiesa o dell’Ordine, hanno cercato di risolvere il problema da soli, attraverso regole interne – si legge ancora nel comunicato della Ces -, come lo spostamento o il divieto del ministero. I trasferimenti hanno favorito una mancanza di informazioni presso le nuovi sedi». Purtroppo, ancora una volta, le indicazioni e le denunce delle vittime non sono state prese sul serio. E questo è chiaramente descritto nel libro di Daniel Pittet. Aiutati da un «organo giudiziario indipendente», i cappuccini della Svizzera assicurano di voler «fare luce e stabilire l’entità dei nuovi casi rivelati nel racconto di Daniel Pittet a causa della volontà di non nascondere i fatti; e verificheranno se ci sono altre vittime da identificare». I cappuccini, si legge nel comunicato, «hanno imparato la lezione da questi eventi tristi e hanno adottato diverse misure per prevenire che tali atti possano ripetersi». Si tratta di una «politica della tolleranza zero per simili crimini» contenuta ora nelle «Direttive» adottate sia dalla Conferenza episcopale svizzera che dall’Unione dei superiori maggiori della Svizzera. «Le vittime – concludono i vescovi e i religiosi – sono invitati a farsi avanti di fronte alla giustizia, e i casi prescritti che il giudice svizzero non può prendere in considerazione saranno almeno oggetto di una procedura canonica. Per i casi prescritti esiste anche un fondo di compensazione».