Vita Chiesa

Quando Bartoletti «inventò» i convegni ecclesiali nazionali

La Chiesa italiana si prepara a vivere a Verona, in ottobre, il quarto Convegno ecclesiale nazionale. Una tradizione nata con il convegno di Roma del 1976 su «Evangelizzazione e promozione umana», cui seguirono i convegni di Loreto (1985) e di Palermo (1995). Ad organizzare quel primo appuntamento fu un vescovo toscano, monsignor Enrico Bartoletti. Alla figura del vescovo Bartoletti l’Istituto Sturzo di Roma ha dedicato di recente un importante convegno: tra le testimonianze c’è stata quella di Maria Eletta Martini, che pubblichiamo, e che si sofferma proprio sul ruolo di mons. Bartoletti nell’ideare il primo Convegno ecclesiale nazionale.

di Maria Eletta Martini«Se il chicco di grano non muore…» Il vero testamento di Monsignor Bartoletti è stata la testimonianza della sua vita, che rimane la sua opera più grande. Nel campo degli studi avrebbe potuto lasciare moltissimo ma non ebbe il tempo di dedicarvisi.

Eppure è proprio qui, forse, tutto il segreto del Vescovo Bartoletti. Perché se dovessimo usare criteri umani, dovremmo dire che non ha mai potuto vivere la sua vita. Solo se ci accostiamo al Vangelo, e solo se quel Vangelo diventa criterio di giudizio, allora dovremmo dire che l’ha vissuta come pochi. «Se il chicco di grano caduto in terra non muore rimane solo, se invece muore produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde. Chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuol servire mi segua e dove sono io là sarà anche il mio servo».

È in questo senso che egli non ha mai vissuto la sua vita. Ha rinunciato ad essere un uomo di studio – ed aveva grandissime possibilità intellettuali per diventarlo – per fare l’educatore. E lo fece senza risparmio.

Ha fatto il Vescovo diciotto anni, ma non ha mai potuto esserlo fino in fondo. In pratica è stato sempre Ausiliare, vicino al vecchio Arcivescovo di Lucca mons. Torrini, con l’amore e il rispetto di un figlio: interpretare lo spirito del Vescovo che doveva aiutare, senza forzarne in nessun modo le linee pastorali. La stessa carica di segretario della Cei ebbe queste caratteristiche vicino al Presidente Poma.

Come interprete dell’Episcopato Italiano, fino a quanto poté dirsi tale e soprattutto fino a quanto poté operare secondo quello che era il suo modo di vedere le cose? Non per timidezza o mancanza di coraggio. Solo amore alla Chiesa. E fede.

Amore alla Chiesa, al suo mistero, alle sue sofferenze di cui si fece carico sempre, convinto che si può servirla così, nel sacrificio più che nei gesti clamorosi. Perché – insegnava – non c’è mistero del cristiano che sia diverso dal mistero di Cristo.

Questo uomo lucidissimo, che vedeva tutto con chiarezza e realismo, che aveva grande capacità di ascolto, era capace di dirti, alla fine, sempre con tanta delicatezza, una parola chiarificatrice.

Eppure sembrava bloccato a parlare in pubblico delle cose della Chiesa: come se gli fosse impossibile semplificare la passione della Chiesa: invitava ad approfondire il mistero soprannaturale.

Perché la sua fede era, in fondo, questa: che la Chiesa ha altrove il suo segreto, che è lo Spirito che la conduce, che sono i Santi a servirla veramente: i Santi che sono il segno visibile della presenza di Dio nel mondo.

Forse per questo, aveva tanto sentito il fascino dei Santi, cui era stato vicino: da Dalla Costa a don Facibeni, a Papa Giovanni; conservando quanto, da giovane prete ricordava di avere letto da qualche parte, e ripeteva: «c’è una sola tristezza al mondo, quella di non essere Santi abbastanza».Una sua caratteristica – e non certo marginale – era il rispetto delle persone: di coloro ai quali si rivolgevano le sue cure di Pastore, per quelli che avevano idee diverse dalle sue, per quelli che lavoravano con lui. Nessun collaboratore o interlocutore si è sentito «strumento» (magari da utilizzare per una cosa buona), sempre invece «persona», soggetto autonomo e con problemi propri da tenere in considerazione, con proprie idee che sapeva rispettate.

Forse anche per questo ogni incontro con mons. Bartoletti era fonte di gioia, oltre che di grazia e di luce; l’ho provato tante volte. E perché non ricordare che era stato l’inventore del primo Convegno della Chiesa Italiana «Evangelizzazione e Promozione Umana», da lui pazientemente preparato che si realizzò senza di lui, impoverito dalla sua morte «sul campo»?

Perché il Convegno? L’aveva detto Mons. Bartoletti ai responsabili dell’Azione Cattolica, notando che la situazione storica della Chiesa in Italia era data dal profondo e rapido cambiamento del contesto socio-culturale, di tipo immanentistico e secolarista; un cambiamento più volte avvertito, ma non sufficientemente capito ed esaminato con discernimento dello spirito, da clero e laici nella Chiesa.

E aveva continuato che, proponendo «Evangelizzazione e Promozione Umana» si toccava il punto decisivo, di inserzione nella realtà del mondo, nella cultura che ha bisogno di essere illuminata, assunta, valutata alla luce della Parola di Dio.

Aveva anche insistito sul rapporto che esiste fra l’evangelizzazione e la promozione umana; l’evangelizzazione è un messaggio per l’uomo; e mentre tende a metterci in comunione con Dio, ci mette anche in comunione con gli uomini. E agli uomini intende annunziare una salvezza, una liberazione che è al tempo stesso, storica e celeste, presente e futura, corporale e spirituale. Se l’evangelizzazione non si presenta come liberazione degli uomini e non ne promuove la promozione, rischia di non essere credibile nel mondo moderno, di passare sopra la testa degli uomini senza essere accolta da loro.Ancora mons. Bartoletti aveva precisato la prospettiva pastorale del Convegno, anche se era auspicabile che avesse un riflesso di illuminazione delle coscienze, anche per l’inserimento del cristiano nella realtà sociale; e insisteva sulla prospettiva religiosa, pastorale, ecclesiale.La preparazione di questo Convegno, così «nuovo» nella storia della Chiesa italiana, preparato da un Comitato che mons. Bartoletti aveva voluto rappresentativo di tutti, vescovi, preti e laici; questi ultimi erano rappresentativi di tutta l’area cattolica, anche di quelli che nell’allora recente referendum sul divorzio, si erano dissociati dalla posizione della Chiesa.

Mons. Bartoletti aveva voluto che «tutti» fossero presenti; all’inizio furono chiamate a farne parte 35 persone, ma ben presto queste divennero 74, in modo che nessuna componente significativa ecclesiale restasse esclusa neppure dalla prima fase della preparazione; «altrimenti – aveva detto – se al Convegno non devono partecipare tutti, allora è meglio non farlo». E tutti, anche i più recalcitranti furono ascoltati e tenuti nel dovuto conto, prima e durante i lavori.

Il Comitato lavorò intensamente per oltre due anni, dal luglio 1974 all’ottobre 1975. Mons. Bartoletti non vide il successo di «Evangelizzazione e Promozione Umana», ma da allora lo schema dei Convegni della Chiesa italiana fu ripetuto più volte naturalmente con le diversità che il cambiamento dei tempi richiedeva. Ma, parlando di Mons. Bartoletti, mi è sembrato giusto ricordare questa sua fatica intelligente, e allora profondamente innovativa che fu appunto «Evangelizzazione e Promozione Umana».