Vita Chiesa

Quarta Congregazione: la «grande Jihad»

L’istituzione di una festa liturgica del Padre, l’indizione di un “Anno Giovanneo”, in continuità con l’Anno Paolino, fondare un cenacolo permanente di pensatori arabo-cristiani, e poi la pubblicazione di un catechismo unico per tutti i cattolici mediorientali, la redazione di un “libro bianco” sulla situazione demografica in Medio Oriente, dare la nazionalità e il diritto di voto agli emigrati: sono state alcune delle proposte presentate dai padri sinodali nel corso della quarta Congregazione del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente, che si è svolta il 12 ottobre pomeriggio. Ma ad impegnare i vescovi, i patriarchi e i cardinali sono stati principalmente i temi legati al conflitto tra israeliani e palestinesi, alla crescita dell’integralismo islamico e all’emigrazione dei cristiani.

Un conflitto pericoloso. Il conflitto israelo-palestinese, come minaccia alla presenza cristiana in Medio Oriente, è stato evocato in particolare da Gregorios III Laham, patriarca di Antiochia dei Greco-Melkiti e arcivescovo di Damasco. “La presenza cristiana nel mondo arabo – ha affermato – è minacciata dai cicli di guerre che si abbattono su questa regione. La causa principale è il conflitto israelo-palestinese: i movimenti fondamentalisti, il movimento Hamas, Hezbollah sono le conseguenze di questo conflitto come le discordie esterne, la lentezza nello sviluppo, il sorgere dell’odio, la perdita della speranza nei giovani che sono il 60% della popolazione dei Paesi arabi”. Tra le conseguenze “più pericolose” del conflitto in atto c’è l’emigrazione dei cristiani che “farà della società araba una società unicamente musulmana di fronte ad una società europea detta cristiana. Se questo accadesse e l’Oriente dovesse svuotarsi dei suoi cristiani, ciò vorrebbe dire che ogni occasione sarebbe propizia per un nuovo scontro delle culture, delle civiltà e anche delle religioni, uno scontro distruttivo fra l’Oriente arabo musulmano e l’Occidente cristiano”. Il ruolo dei cristiani, ha rimarcato Laham, “è di creare un clima di fiducia tra l’Occidente e il mondo musulmano per lavorare ad un nuovo Medio Oriente senza guerra”. Per convincere i cristiani a restare, “è necessario rivolgerci ai nostri fratelli musulmani per dire loro con franchezza quali sono le nostre paure: la separazione della religione e dello Stato, l’arabità, la democrazia, nazione araba o nazione musulmana, diritti dell’uomo e leggi che propongono l’Islam come unica o principale fonte delle legislazioni che costituiscono un ostacolo all’uguaglianza di questi stessi concittadini davanti alla legge. Vi sono anche i partiti fondamentalisti, l’integralismo islamico, ai quali sono attribuiti atti di terrorismo, di uccisioni, degli incendi di chiese, di estorsioni, in nome della religione e che, forti del fatto di essere maggioranza, umiliano i loro vicini. Fare la pace è la grande sfida: è la grande jihad e il grande bene. È la vera vittoria e la vera garanzia per il futuro della libertà, della prosperità e della sicurezza per i nostri giovani, cristiani e musulmani, che sono il futuro delle nostre Patrie”. Sullo stesso tema è intervenuto anche il card. John Patrick Foley, Gran Maestro dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, il quale ha auspicato “una pace giusta e duratura tra Palestina e Israele e tra i loro vicini”. “Sono convinto – ha dichiarato – che le continue tensioni tra israeliani e palestinesi abbiano largamente contribuito ai disordini in tutto il Medio Oriente e anche alla crescita del fondamentalismo islamico. Molti, compresa la Santa Sede, hanno suggerito una soluzione a due della crisi israelo-palestinese”, ma “più passa il tempo più una tale soluzione diventa difficile” a causa della “realizzazione di insediamenti israeliani e di infrastrutture sotto il controllo israeliano a Gerusalemme Est e in altre parti della Cisgiordania” che “rendono sempre più arduo lo sviluppo di uno Stato palestinese possibile e integrale”. Minoranze devastate. A parlare di “minoranze devastate” è stato mons. Basile Georges Casmoussa, arcivescovo di Mossul dei Siri (Iraq), il quale ha puntato l’indice contro “le ondate di terrorismo, ispirate da ideologie religiose, che negano il principio stesso della parità, a vantaggio di un negazionismo fondamentale che schiaccia le minoranze, delle quali i cristiani sono l’anello più debole”. Situazione resa ancor più drammatica dalla “preoccupante diminuzione delle nascite tra i cristiani dinanzi a una natalità sempre più alta tra i musulmani” e dall’“ingiusta accusa mossa contro i cristiani di essere delle truppe assoldate o guidate da e per l’Occidente sedicente ‘cristiano’, considerati quindi come un corpo parassita della Nazione. Il cristiano orientale in un Paese islamico è condannato a scomparire o all’esilio”. Mons. Ramzi Garmou, arcivescovo di Teheran dei Caldei, presidente della Conferenza episcopale iraniana, ha invece messo in guardia “contro il pericolo del confessionalismo e di un attaccamento esagerato all’etnia, che trasformano le nostre Chiese in ghetti”. Il 13 ottobre mattina si è tenuta la I sessione dei “Circoli minori” alla quale hanno partecipato, per la prima volta in assoluto due esponenti islamici, Muhammad al-Sammak («I CRISTIANI NON SONO SOLI»), consigliere politico del Gran Mufti del Libano, per l’Islam sunnita, e l’ayatollah iraniano Seyed Mostafa Mohaghegh Ahmadabadi («IN IRAN I CRISTIANI GODONO DI TUTTI I DIRITTI»), per l’Islam sciita. Nel contempo il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, riceveva al Quirinale una delegazione del Sinodo.