Vita Chiesa

Religioni, da Palermo un appello di pace

Seimila gli iscritti: alla cerimonia finale 10 mila persone. In tanti venivano dall’Italia ma anche da Europa, Africa ed America Latina. Oltre tremila i palermitani. “Cercatori di unità e di pace” arrivati nel capoluogo siciliano per partecipare al Meeting “Uomini e Religioni” che ogni anno, sullo “spirito di Assisi”, la Comunità di Sant’Egidio promuove in una diversa città europea. Questa l’hanno chiamata la “festa dell’unità tra i popoli e della pace tra le genti” ed è iniziata la mattina del 1° settembre con una solenne celebrazione eucaristica in cattedrale alla quale hanno partecipato in tremila persone, molte delle quali costrette a seguire la messa attraverso i teleschermi. Palermo segna però anche un altro record: mai si è verificata una presenza tanto ampia di capi religiosi e personalità della comunità politica e culturale internazionale”. Oltre 460 ospiti, tra cui 12 cardinali, diversi patriarchi, moltissimi vescovi cattolici e ortodossi, pastori protestanti che segnano la presenza di tutte le confessioni cristiane. Presenti anche ebrei, musulmani, 13 rappresentanti delle religioni orientali, responsabili di organismi internazionali e membri del corpo diplomatico. Riportiamo il servizio quotidiano del Sir che giorno per giorno ha seguito l’evento.

Il messaggio del Papa. Diffondere nel mondo “lo spirito di Assisi”, favorendo “il dialogo e la mutua comprensione”, percorrendo “i sentieri della giustizia e contando sull’aiuto di Dio, che sa aprire strade di pace là dove non riescono gli uomini”. Lo ha chiesto Giovanni Paolo II in un messaggio ai partecipanti al Meeting. Il Papa ha ricordato ai partecipanti il primo incontro di Assisi nel 1986 che “segnò – scrive – l’inizio di un nuovo modo di incontrarsi tra credenti di diverse religioni: non nella vicendevole contrapposizione e meno ancora nel mutuo disprezzo, ma nella ricerca di un costruttivo dialogo in cui, senza indulgere al relativismo né al sincretismo, ciascuno si apra agli altri con stima, essendo tutti consapevoli che Dio è la fonte della pace”. “Nel nostro tempo – ha aggiunto il Papa – vivere questo spirito è ancor più necessario”. Per questo, nel gennaio scorso, dopo i tragici eventi dell’11 settembre, Giovanni Paolo II ha voluto ritornare ad Assisi per dire che “le tenebre non si dissipano con le armi; si allontanano accendendo fari di luce”. Il Santo Padre auspica che l’incontro di Palermo possa accedere “di nuovo” fari di luce “in tutta l’area del Mediterraneo, luogo di antica collaborazione tra religioni e culture diverse, ma teatro anche di vivaci incomprensioni e di conflitti cruenti. Penso in particolare alla Terra Santa, precipitata in una spirale che pare di violenza inarrestabile”. “Quanti popoli – scrive il Papa – oltre che da dolorosi conflitti, sono oppressi dalla fame e dalla povertà, specialmente in Africa. Salga da Palermo un nuovo appello perché tutti, responsabilmente, si impegnino per la giustizia e l’autentica solidarietà”. “L’unità non è impossibile”. “Benvenuti in questa cattedrale, cuore della nostra Chiesa locale, in Palermo, capitale della nostra isola, posta al centro del Mediterraneo, crocevia di culture, civiltà e religioni”. È il saluto rivolto dal card. Salvatore De Giorgi, arcivescovo di Palermo, ai partecipanti al Meeting durante la celebrazione eucaristica di domenica scorsa. Alla Messa, hanno partecipato anche i rappresentanti delle Chiese cristiane: al presidente del Consiglio metodista mondiale, Sunday C. Mbang, è stato affidato il compito di tenere un’omelia dopo quella del cardinale cattolico. Mentre una pastora luterana, Eva Maria Agster, e il metropolita siro-ortodosso di Siria, Mar Gregorios Ibrahim, hanno letto un’intenzione di preghiera.“Tutti noi cristiani – ha detto l’arcivescovo De Giorgi nell’omelia – possiamo avanzare sulla via verso l’unità chiesta da Gesù come dono al Padre” e “siamo chiamati a lavorare ogni giorno” perché questo sogno “si compia pienamente”.

“Lo spirito di Assisi non è finito”. Ebrei, cristiani, musulmani, buddisti e shinthoisti sono a Palermo per dire che “lo spirito di Assisi non è finito” e che “l’incontro tra le tradizioni spirituali e le religiosità vissute nel mondo è oggi più necessario di ieri”. “Non abbiamo intenzione di lasciarci sopraffare dalle ondate di pessimismo, generatrici di diffidenza, chiusura e ripiegamento amaro su di sé”. È quanto ha affermato Andrea Riccardi, fondatore e presidente della Comunità di Sant’Egidio, aprendo i lavori del Meeting. “Il pessimismo – ha ammesso Riccardi – può trovare tanti motivi per affermarsi”. “Si alimenta dal confronto con scenari internazionali preoccupanti, come quelli di guerre e terrorismo che lasciano intravedere una stagione molto dura”. “Tuttavia – ha sottolineato – non è questo l’atteggiamento fondamentale che le religioni, pur nella differenza delle loro spiritualità e dei loro cammini di fede, hanno verso l’uomo”. “Oggi – ha ricordato Riccardi – le religioni hanno una grande responsabilità nel comunicare a tutti la speranza di essere migliori”. “No – ha concluso il fondatore della Sant’Egidio – il cammino insieme tra credenti di diverse religioni è tutt’altro che inattuale. Anzi è più necessario di ieri: è vitale quando si respira un diffuso pessimismo”.

A Gerusalemme il prossimo incontro di preghiera? La Comunità di Sant’Egidio sta studiando la possibilità di realizzare il prossimo incontro di preghiera per la pace a Gerusalemme. Lo ha detto il fondatore della Comunità, Andrea Riccardi, precisando comunque che “le parti invitanti devono essere gli israeliani e i palestinesi nonché le Chiese cristiane della Terra Santa”. Già nel 1995 la Comunità di Sant’Egidio scelse Gerusalamme come sede del Meeting, al termine del quale i partecipanti piantarono tre ulivi. La scelta di Palermo come sede dell’ incontro di quest’anno è dovuta invece al suo essere “terra di confine tra l’Occidente europeo e l’Oriente arabo musulmano”. “I cambiamenti nei mondi religiosi – ha concluso Riccardi – sono estremamente lenti perché sono cambiamenti del profondo. Chi lavora per il dialogo ha bisogno di una pazienza, direi da era-geologica, della tenacia a non lasciarsi chiudere, del coraggio di spingere in avanti”. Il prossimo appuntamento è tra Terni e Perugia nel mese di ottobre dove cattolici e ortodossi russi rifletteranno su Chiesa e povertà. Saranno presenti il metropolita Kirill del Patriarcato di Mosca e Jean Vanier.

Verso un “Parlamento delle culture e delle religioni” per la pace. L’idea di un “Parlamento delle religioni e delle culture per la pace”. Un luogo di incontro dove uomini di religione e rappresentanti dell’umanesimo laico “volontariamente si riuniscono per perseguire il fine della pace e liberare le religioni da ogni pericolo di strumentalizzazione a fine bellico”. L’ipotesi “sta maturando” all’interno della Comunità di Sant’Egidio. Innanzitutto, ha spiegato Riccardi, “non sarà un tribunale delle religioni” e non sarà corretto chiamarla “Onu delle religioni”: “in molte realtà religiose, come l’Islam, infatti – ha aggiunto – mancano delegati di riferimento” e, comunque, “il mondo religioso non può essere omologato agli Stati”. Molto della sua riuscita dipenderà dalla “autorevolezza delle adesioni”. Ma ancora non è chiaro se sarà un Forum che agirà “in caso di crisi”, o piuttosto “una riunione che discute di grandi problemi”. Inoltre c’è da capire “chi convoca chi”.

Pace, ecumenismo, donna e ambiente, le assenze delle religioni. Hanno ammesso di aver fatto troppo poco per la pace, dopo l’11 settembre e di non aver lavorato “seriamente” per preservare la religione dagli effetti delle violenze. Hanno riconosciuto la propria paura ad aprirsi al dialogo ecumenico. Hanno sottolineato i limiti di una comunità che relega ai margini le donne e i poveri. E’ successo nei giorni scorsi nell’ottocentesco Teatro Politeama di Palermo dove cristiani, ebrei e musulmani sono stati invitati a fare “un’autocritica delle religioni. “E’ l’amore alle nostre religioni – ha detto il card. Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani – che ci ha spinto questa sera a fare autocritica”. “Dopo l’11 settembre – ha chiesto il rabbino francese René Samuel Sirat, della Conferenza dei rabbini d’Europa – a parte le condanne ad ogni forma di terrorismo e violenza, che cosa abbiamo fatto per evitare che una simile situazione potesse ripetersi? Dobbiamo ora interrogarci se potevamo fare di più”. Il rabbino francese ha ricordato il conflitto tra Israele e Palestina a causa del quale – ha detto – “non c’è stato un solo giorno di pace su questa terra”. Anche il teologo musulmano Mehmet Aydin (Turchia) ha ammesso: “la maggior parte di noi preferisce rimanere in silenzio di fronte ai grandi problemi del mondo come le guerre ingiuste, la pulizia etnica, il secolarismo militante, la corruzione morale”. Ma è soprattutto sul fronte della pace che le religioni devono interrogarsi. “Coloro che prendono la religione sul serio – ha detto il musulmano – devono lavorare seriamente per preservare la religione dagli effetti letali delle violente reazioni religiose o delle reazioni che pretendono di essere religiose”. Il metropolita ortodosso Serafim del Patriarcato di Romania ha invece spiegato perché le Chiese ortodosse europee hanno timore di aprirsi al dialogo ecumenico. “70 anni di storia comunista – ha detto – hanno lasciato le nostre Chiese estremamente indebolite nelle strutture ed impoverite di fronte ad una modernità aggressiva che è arrivata nell’Est in seguito al crollo della cortina”. “La reazione – ha detto Serafim – è stata la nascita di ambienti anti-ecumenici e anti-occidentali, provocando una crisi ecumenica che tuttora stiamo vivendo. Personalmente penso che certe reazioni siano troppo dure e non servano alla causa dell’unità e alla propria causa. Il dialogo è più che mai necessario”. Chiede invece alla Chiesa cattolica un atto di riconoscimento per i limiti con cui fino ad oggi ha affrontato la questione femminile, Ignazia Siviglia Sammartino, teologa nonché responsabile dell’ecumenismo e dialogo dell’arcidiocesi di Palermo. “Ho spulciato il programma di questa assise – ha detto – ed ho verificato che 172 interventi sono voci maschili e solo 6 sono voci femminili. E’ un segno che dice quanto sulla questione della presenza delle donne nella Chiesa, dobbiamo fare ancora passi in avanti”. Secondo la teologa, la Chiesa non ha fatto abbastanza anche sul fronte dei poveri. “L’auspicio – ha detto – è che questo diventi il millennio della sobrietà, l’era in cui ci si distacca da ogni potere e privilegio, la stagione in cui i poveri diventano soggetti e non destinatari dell’attenzione della Chiesa”. Africa ed Europa: “Condannati a riuscire o a fallire insieme”. “Africa ed Europa. Due continenti condannati a riuscire insieme, nella complementarietà e la pace, o a fallire insieme, in un contesto di diffidenza e morte”. Dure parole di condanna sono state pronunciate dai rappresentanti delle Chiese cristiane in Africa, intervenendo alla tavola rotonda “Europa ed Africa: un destino in comune”, organizzata nell’ambito del meeting palermitano. La denuncia è a 360 gradi: sfruttamento economico, interferenze politiche, corruzione, solidarietà-truffa. “Bisogna riconoscere innanzitutto – ha detto il card. Bernard Agré, arcivescovo di Abidjan (Costa d’Avorio) – che nella partita dare/avere, i maggiori benefici sono per l’Europa” che ha giocato da sempre con il continente africano il “ruolo del leone”. “Niente viene risparmiato per soddisfare gli appetiti e le logiche sempre più rigide del saccheggio che sta diventando il commercio senza viso umano”. Anche dal punto di vista politico, l’Europa ha le sue responsabilità. “L’Europa – ha sottolineato mons. Agré – ha sempre influenzato la politica del continente africano” ma oggi “lo sfruttamento dell’Africa continua ancor meglio di prima, con meno scrupoli”. “Quanta insicurezza – ha lamentato il cardinale – quante guerre scatenate o nutrite in Africa da mani straniere”. L’arcivescovo ha quindi lanciato un interrogativo all’Europa. “Ancorata volente o nolente alla potenza economica degli Stati Uniti – ha chiesto – l’Europa dispone ancora di sufficiente autonomia per seguire le proprie scelte? Può ancora pronunciarsi in favore di soluzioni originali?”.“Non abbiamo bisogno dei soldi occidentali”. Ha detto invece il card. Christian Tumi, arcivescovo di Douala, che ha parlato soprattutto di “democrazia intrappolata” e di corruzione. Il cardinale ha detto che “i problemi economici dell’Africa sono aggravati dalla disonestà di alcuni governanti corrotti” che agendo “in collusione con degli interessi privati, locali o stranieri, deviano le risorse nazionali a loro profitto, trasferendo denaro pubblico sui conti privati in banche straniere”. Ai due arcivescovi ha fatto eco anche Sunday C.Mbang, africano e presidente del Consiglio mondiale metodista. “Gli europei – ha detto – hanno diviso le ricchezze dell’Africa secondo le loro necessità, un po’ come fanno gli ospiti ad un banchetto con il dolce. Hanno sfruttato l’Africa a loro vantaggio. E quando gli africani hanno conquistato l’indipendenza, hanno lasciato il continente in preda alla corruzione, ai poteri dittatoriali, alle povertà, alla guerra”.Sudan, Algeria, Guinea Bissau, Sierra Leone, Liberia, Repubblica Centraficana, Rwanda, Burundi, Somalia, Congo Brazzaville, Uganda, Mozambico, Angola. A nominare, ad uno ad uno, i nomi dei Paesi in preda a guerre e conflitti etnici è stato Cornelio Sommaruga, presidente di Caux-Iniziative e Cambiamento (Svizzera). “E’ responsabilità europea – ha detto – aiutare gli africani a determinare quello che loro stessi devono intraprendere, per essere artefici del loro avvenire, per inserirsi nell’economia mondiale e porre fine alla loro marginalizzazione”. E’ dello stesso parere Serge Latouche, dell’Università di Parigi, che ha denunciato “l’ipocrisia di certa carità” e le “dimensioni ridicole” degli aiuti al Sud del mondo. “Ogni aiuto – ha detto – ogni volontà di aiutare sono ineluttabilmente sospetti”. “Aiutare l’Africa – ha aggiunto Latouche – passa più per un’autolimitazione delle nostre società del Nord, per un cambiamento profondo dei nostri modelli e per una rimessa in discussione dello sviluppo”. “L’Africa – ha concluso il professore – non sa che farsene dei nostri aiuti internazionali. Ha bisogno di riconoscimento di fiducia, di dignità. E’ così che possiamo rafforzarla nel modo migliore”.

Pace e ambiente, l’appello di Palermo

Il sito del meeting