Vita Chiesa

Santi Anna e Gioacchino, la riscoperta dei nonni

di Elena GiannarelliLui si chiamava Gioacchino, era un uomo ricco e pio, ma non aveva figli e quando gli fu impedito di offrire il sacrificio per la sua sterilità, se ne andò nel deserto a digiunare per quaranta giorni e quaranta notti. Lei si chiamava Anna ed era sua moglie: rimase a piangere la sua solitudine e a pregare in un giardino pieno di nidi di passeri. Ma un angelo le apparve e le annunciò un figlio; la donna decise di dedicarlo a Dio. Anche al marito si presentò il messaggero: l’uomo tornò ad incontrare la moglie e presentò le sue offerte a testa alta.

Nacque una bimba, Maria; a sei mesi era capace di camminare e cresceva in una stanza della casa trasformata in santuario dai genitori, che vegliavano perché nulla di impuro la toccasse. Quando ebbe un anno, il padre fece un gran convito per presentarla e farla benedire dai sacerdoti. Anna cantava la sua gioia al Signore. Quando ebbe due anni, Gioacchino voleva portarla al Tempio per adempiere la promessa, ma Anna chiese ancora un anno di tempo perché la bimba non cercasse più il babbo e la mamma. Quando ebbe tre anni, l’uomo fece chiamare fanciulle che la accompagnassero al Tempio alla luce delle fiaccole. Il sacerdote la accolse ed i genitori la lasciarono ammirati, perché la piccola non si era nemmeno girata a guardarli.

Una storia esemplare, quella narrata dal Protovangelo di Giacomo (II secolo), perché i genitori della Vergine e futuri nonni di Gesù Bambino sono esempi di fede e di religiosità. Richiamano nel loro nome altri personaggi della Scrittura: lui è omonimo del marito di Susanna, lei richiama anche nella vicenda della maternità per grazia divina l’Anna madre di Samuele. Di loro si sono impadroniti leggende ed artisti: Murillo ritrasse la donna intenta ad insegnare a leggere a Maria; nella Legenda aurea si favoleggia di triplici nozze della donna rimasta vedova, di tre figlie di nome Maria, di alcuni nipoti fra cui anche Giovanni Evangelista. Anna e Gioacchino: genitori per grazia di Dio e nonni per acclamazione popolare. Si tratta della «Parentela sacra», che induce a riflettere sul valore della famiglia, sui legami fra tenera età e vecchiaia, in una comunione di valori non soltanto religiosi. È la chiesa domestica che ha in questi personaggi due pedine fondamentali: il nome di lei significa «grazia», quello di lui significa «preparazione del Signore». Si comprende così il loro ruolo di genitori della Vergine e di nonni del Salvatore. Ma ogni nonno ed ogni nonna possono essere strumenti di grazia e di preparazione alla vita e alla fede: spesso sono depositari di tradizioni, saggezza, valori che i piccoli e i meno piccoli dovrebbero ascoltare. Nella tarda antichità tutto questo era la norma. Agli inizi del IV secolo, in Cappadocia, una donna, Macrina, confessò la sua fede durante la persecuzione di Massimino Daia. Fuggì nelle selve con marito e servi e solo dopo parecchi anni riuscì a tornare a casa. Era stata discepola di Gregorio il Taumaturgo, evangelizzatore della regione. Suo figlio, che si chiamava Gregorio, era un retore famoso ed un giovane molto pio; sposò Emmelia, una bellissima, ricchissima cristiana rimasta orfana e sola. La ragazza avrebbe desiderato diventare monaca, ma non le fu possibile realizzare il suo desiderio. Ebbero nove figli e la nonna Macrina li riuniva spesso intorno a sé per narrare i miracoli di san Gregorio ed i suoi insegnamenti di fede. Non raccontava favole, quella nonna, ma gli effetti delle sue parole hanno il sapore di una fiaba. Già, perché di quei bambini ben quattro divennero santi: San Basilio vescovo di Cesarea, San Gregorio vescovo di Nissa, san Pietro vescovo di Sebaste e santa Macrina, Macrina junior, che portava il nome della sua ava e fu monaca, come sua madre avrebbe desiderato essere.

I nonni sono una benedizione, ha detto il Papa: gli antichi esempi gli danno ragione, anche se ovviamente sono difficili da imitare. Tuttavia, signori dai capelli grigi, padri e madri di indaffarati genitori, riunite i vostri nipotini intorno a voi e raccontate. Parlate loro anche della vostra infanzia, dei vostri sogni, della vostra fede, delle lontane processioni, delle bande di paese, di quell’attesa del primo incontro con il Signore nella festa più bella per un bambino. I piccoli non si annoieranno e da grandi sapranno apprezzare il grande dono che avete fatto loro.

I nonni, una benedizione di cui c’è sempre bisognodi Silvano PiovanelliCardinale

Il primo pensiero, che mi è venuto quando mi è stato chiesto di scrivere qualcosa sui nonni, è stato: sono anch’io un nonno!

Poi ho pensato che i preti, i vescovi, più che diventare nonni, restano padri, nonostante l’aggravarsi dell’età e il cambiamento dei rapporti. Padri, perché ciascuno di loro, può ripetere, pur con qualche tremore, le stesse parole che l’apostolo Paolo scriveva ai cristiani di Corinto: «Sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo» (1Cor.4,15). Padri, perché ciascuno di loro continua a piegare le sue ginocchia e completa nella sua carne quello che manca alla passione del Cristo, affinché quanti sono stati toccati dal suo ministero siano rafforzati dallo Spirito nell’uomo interiore e crescano in ogni cosa verso di Lui che è il capo, Cristo.

Eppure è vero: gli anni che sono aumentati, le forze che sono diminuite, i rapporti interpersonali che, pur vivi e intensi, hanno uno spessore diverso, mi fanno guardare convintamente ai nonni con la sapienza della Bibbia e con l’esperienza di una lunga vita.

Ricordo che quel meraviglioso Vecchio, che è il Papa – Dio lo conservi ancora a lungo alla sua Chiesa! – parlando in una sua visita pastorale agli anziani in Monaco di Baviera, diceva: «Fratelli e sorelle delle generazioni più avanzate, voi siete un tesoro per la Chiesa, voi siete una benedizione per il mondo!».

Certo, le nonne e i nonni sono un tesoro. Un tesoro e una benedizione. Lo sanno bene tante giovani coppie, che possono contare sui nonni a cui affidare i loro piccoli quando sono obbligati dal lavoro o da impegni di carattere sociale. Li vediamo spesso anche noi passeggiare nei giardini spingendo la carrozzina o tenendo per mano il piccolino, o, seduti su una panchina in un parco, a guardare i bambini che giocano a pochi passi di distanza. Ed è facile accorgersi che non è semplicemente «badare» i bambini, ma camminare con loro, trasmettendo loro la sicurezza di essere amati, aiutandoli a guardare con serenità e senza paure il mondo che li circonda e nel quale un po’ per volta stanno entrando. Ed è facile accorgersi che dai volti, dai gesti, dalle parole, spesso dai canti delle nonne e dei nonni, sprizza la gioia di chi fa crescere la vita e gusta l’esperienza di chi riceve amore, perché ha donato amore.

In una curiosa indagine pubblicata da La Stampa due anni fa, si affermava che i padri italiani – a confronto degli spagnoli, dei norvegesi, degli svedesi, degli olandesi – sono quelli che trascorrono meno tempo con i figli. Penso e spero che i 15 minuti, allora calcolati come tempo che i padri passano con i figli, siano aumentati, perché, almeno ad impressione, i padri più giovani sono sempre più coinvolti nel rapporto con i figli e mostrano grandi capacità di giocare con loro. Ma è certo che i nonni, che in alcuni casi sostituiscono i genitori, sempre integrano e arricchiscono la crescita dei piccoli e favoriscono l’equilibrio del loro sviluppo. Fino al punto che i nonni diventano i confidenti, e quasi i «conniventi» dei piccoli nei loro problemi.

L’importanza degli anziani per la formazione delle nuove generazioni era in certo modo insostituibile nella società antiche. Oggi non è più pensabile nella stessa forma e con la stessa intensità. Eppure i nonni sono un complemento necessario in un mondo in cui tutto è monetizzato e tecnicizzato, il quale perciò rischia di dimenticare le cose che valgano e, per avanzare verso un necessario domani, cede alla tentazione di tagliare i ponti col passato.I nonni ci trasmettono valori umani e ricchezza di fede. Non impancandosi a maestri, ma raccontando con la loro vita. Dice una vecchia storia orientale: «Mio nonno era uno storpio. Raccontò che il suo santo maestro soleva saltellare e danzare mentre pregava. Mio nonno si alzò e raccontò, tanto che ebbe bisogno di saltellare e danzare come faceva il maestro. Da quel momento guarì». Ecco: le storie si raccontano con la vita, allora vengono davvero credute e aggiungono vita agli anni di chi le racconta. Il mondo moderno ha bisogno di profondità e di orizzonti. I nonni hanno un ruolo molto importante per insegnare con la saggezza della loro esperienza il senso profondo della vita.Perché la vita umana ha un senso anche nel suo tramonto. Infatti, come scrive San Paolo ai Corinzi, «se anche il nostro uomo esteriore cade in sfacelo, il nostro uomo interiore si rinnovella di giorno in giorno» (2Cor.4,16). Infatti sia il decadimento, sia l’inaspettato vigore dei vecchi sono, anche se apparentemente opposti, due segni convergenti che rimandano alla fede nel Dio della vita e indicano nella totale dipendenza da Lui il nucleo di ogni sapienza.

Una donna molta anziana, ospite di una casa di riposo, dopo essere stata colpita da ictus, volle verificare la sua capacità di conoscere e di esprimersi e scrisse una specie di poesia che mi mise fra le mani. Fra l’altro diceva: «Siano settanta o sedici, vi è in ogni cuore l’amore per lo stupendo, la dolce meraviglia delle stelle e la brillantezza delle cose e dei pensieri, la coraggiosa sfida degli eventi, l’immancabile infantile curiosità e la gioia di vivere… Fin quando il cuore riceve messaggi di bellezza, di gioia, di coraggio, di grandezza e di potenza, sia dalla terra che dall’uomo o dall’Infinito… tu sarai giovane».

Il Papa Giovanni Paolo II, nell’ultima raccolta di poesie intitolata Trittico romano canta: «L’uomo…scorreva sull’onda dello stupore! / Meravigliandosi, sempre emergeva / dal maroso che lo trasportava, / come per dire a tutto il mondo: / «Fermati, questo trapasso ha un senso, / ha un senso… ha un senso… ha un senso!».

Cari nonni, la vostra vita ha un senso: voi siete un tesoro per la Chiesa, voi siete una benedizione per il mondo!