Vita Chiesa

Se la pietà è da correggere

La pietà popolare non va ignorata, ma per essere un «atto sempre più maturo e autentico» dei credenti «ha bisogno di una continua evangelizzazione». È quanto si legge nel «Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e Orientamenti», presentato il 9 aprile in Vaticano. «Conoscere il valore della pietà popolare, tutelarne la genuina sostanza, purificarla dove fosse necessario, illuminarla con la luce della Sacra Scrittura, orientarla alla Sacra Liturgia, senza contrapporla ad essa»: queste alcune finalità del volume, curato dalla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti.

No alla «concorrenza» tra liturgia e religiosità popolare. In passato, si legge nel testo, si sono registrati «atteggiamenti contrastanti» in merito alle diverse pratiche di religiosità popolare: «abbandono manifesto e sbrigativo» di forme di pietà popolare ereditate dal passato, oppure «attaccamento a modi imperfetti o errati di devozione, che allontanano dalla genuina rivelazione biblica». Il Direttorio mette anche in evidenza «le critiche ingiuste alla pietà popolare in nome di una presunta purità della fede». La Congregazione pontificia, in particolare, si fa portavoce dell’«esigenza di salvaguardare la ricchezza della pietà popolare»; al tempo stesso, tuttavia, fa presente il «bisogno di purificazione dagli equivoci e dai pericoli di sincretismo».

Come evangelizzare la pietà. «Il corretto rapporto tra liturgia e pietà popolare – si legge nel Direttorio – può venire turbato quando si attenua la coscienza di alcuni valori essenziali della liturgia»: un atteggiamento, questo, che va «corretto» attraverso «un’accorta azione catechistica e pastorale». «Evangelizzare la pietà popolare, porla in contatto fecondo con la parola del Vangelo»: questo il compito affidato ai vescovi e alla comunità ecclesiale, oltre che il «rimedio» principale affinché i «pii esercizi» siano «conformi alla dottrina della Chiesa» e «in armonia con la liturgia».

Devozione, non superstizione. La superstizione è «un fatto psicologico« che «serpeggia un po’ dovunque nei fatti religiosi», ma questo non significa che nella religiosità popolare «si debba buttar via tutto». A precisarlo è stato il card. Jorge Arturo Medina Estévez, prefetto della Congregazione per il Culto Divino, presentando il Direttorio, che tra gli obiettivi ha proprio quello di aiutare a discernere con sapienza tra le varie forme di religiosità popolare e di mettere in guardia da quelle «pratiche di superstizione falsamente rivestite di religiosità». «Non dobbiamo vedere superstizione in ogni espressione gestuale di religiosità», ha detto il cardinale rispondendo ai giornalisti.M. M. N.