Vita Chiesa

Settimana Sae: il dialogo è già etica

Si è conclusa oggi a Chianciano Terme (Si) la 48ª sessione di formazione ecumenica estiva del Sae (Segretariato attività ecumeniche), che quest’anno ha avuto per tema “Camminare in novità di vita. In dialogo sull’etica” e l’obiettivo di “esplorare la ricchezza della testimonianza biblica in materia di etica e gli ‘stili etici’ delle Chiese”. Un modo per preparare il terreno, l’anno prossimo, per tematiche più specifiche, sulle quali, spesso le diverse confessioni cristiane sono contrapposte.Camminare in novità di vita. Nell’ultima giornata di lavori è toccato a Simone Morandini del Comitato esecutivo del Sae, oltre che coordinatore del progetto “Etica, filosofia e teologia” presso la Fondazione Lanza e docente presso l’Istituto di studi ecumenici San Bernardino di Venezia, parlare di “etica ed ecumene”, offrendo “prospettive e speranze”. “L’etica – ha osservato Morandini – sta nello spazio, estremamente limitato ma essenziale, della responsabilità, della risposta che da esseri finiti diamo all’agire divino e alla vocazione che Egli ci rivolge, come obbedienza, come sequela del Signore che ci precede. A Lui solo spetta il primo posto, ma si tratta di una primarietà che non azzera affatto la rilevanza di ciò che è secondo”. La riflessione etica delle comunità credenti “è la ricerca di cosa significhi oggi, in questo tempo realizzare tale risposta, camminare in novità di vita sulle strade della nostra esistenza, praticare la carità e la giustizia nella storia degli uomini e delle donne, custodire quel giardino che è la creazione di Dio”. Ed è proprio qui che emergono “parole che assumono una particolare autorevolezza e che si tramandano con attenta fedeltà (tradizione), nella convinzione che lo Spirito di Dio abbia sostenuto in modo particolare coloro che le pronunciavano”.

Fronti critici. “Le tradizioni delle nostre Chiese hanno, però, elaborato parole di riferimento in parte diverse (cui corrispondono diversi ‘stili di etica’) e diverso è anche il peso che attribuiscono ad esse. Diverso è pure il modo in cui esse rispondono alla domanda circa il rapporto da istituire tra di esse e la novità delle situazioni e delle scelte con cui ognuno si deve confrontare, in situazioni ogni giorno nuove”, ha sostenuto Morandini, per il quale è “diverso anche il modo in cui esse intendono il rapporto tra la comunità ecclesiale e la coscienza personale, anche se tutte riconoscono la inviolabilità della seconda, ma anche una qualche forma di rilevanza della prima, secondo modalità che storicamente hanno conosciuto diverse configurazioni”. Non a caso, “il dialogo sui temi morali, specie di fronte all’impatto di una società sempre più globale e differenziata, è divenuto uno dei fronti critici per la riflessione ecumenica; non a caso, d’altra parte, anche in quest’ambito emergono proposte e prospettive di notevole significato”.

Ritrovare le radici. Per superare le divisioni, “non basta una realtà di confronto occasionale o limitato: occorre costruire un vero e proprio spazio dialogico, nel quale le diverse ‘comunità morali’ – le Chiese cristiane, ma non solo – possano interloquire per ricercare assieme cosa sia oggi bene comune”, ha dichiarato Morandini, per il quale è necessario “spostare il dialogo dalle controversie sulle questioni concrete, talvolta virulente, all’esame delle matrici ideali che ci muovono, nella speranza che in quest’ambito sia possibile individuare riferimenti per un consenso differenziato possibile. Una metodologia, dunque, in qualche modo simile a quella utilizzata nei grandi testi ecumenici di consenso, come quello sulla giustificazione”. Una metodologia che mira “a reinterpretare le nostre storie e i nostri testi fondanti per ricomprendere il nostro presente”. Nel caso dell’etica, però, si tratta di “concrete pratiche dei credenti”, perciò “davvero abbiamo bisogno di ritrovare radici nell’attraversamento dei testi fondanti delle nostre tradizioni di appartenenza, il nocciolo, il cuore dell’istanza morale, per porci umilmente a servizio di una ricerca che è di ogni credente e di ogni essere umano”.

Per un’etica ecumenica. Morandini ha quindi disegnato “alcune coordinate per un’etica ecumenicamente attraente, capace di aprire spazi per una sintonia tra soggetti pur radicati in tradizioni morali differenti”. Si tratterà di “un’etica delle relazioni, sia quelle interpersonali (caratterizzandosi nel segno della cura) che quelle lunghe, mediate (nel segno della giustizia). Sarà un’etica attenta alle singolarità e assieme dedita al bene comune e alla custodia del legame sociale, nella pluralità del suo darsi. Un’etica che conosce e valorizza tutta la forza delle passioni morali, come la ricchezza che viviamo nella nostra esperienza del mondo, ma che non dimentica che esse devono anche articolarsi con il discernimento, l’interpretazione, il pensiero”. “Un’etica che sa abitare e accogliere anche questo tempo della tarda modernità, così complesso e ambivalente, ma senza cessare di richiamarlo a una realtà che va anche aldilà di esso”, ha affermato Morandini.

L’importanza del dialogo. Gioachino Pistone del Comitato esecutivo del Sae ha tratto le conclusioni: “La nostra sessione ha legato nella riflessione l’etica alla libertà e alla giustizia. È stata, direi inevitabilmente, la cifra di queste giornate, sia quando se ne è parlato affrontando le tematiche bibliche, sia quando si è parlato di quelli che abbiamo chiamato gli ‘stili’ di etica”. “Forse al di là delle nostre stesse intenzioni – ha aggiunto – abbiamo con ciò definito uno spazio possibile per l’esistere e l’agire di un’etica ecumenica, che non ha ancora un suo statuto particolare, anzi più volte si sono ricordati i dissensi in materia tra le diverse confessioni cristiane, che oggi non solo sembrano impedire l’elaborazione e la pratica di un agire ecumenico comune in molti campi visti come fondamentali, ma che sembrano trovare sempre nuova linfa e forza per approfondire le divergenze”. Tuttavia, “com’è emerso di fatto da tutte le relazioni, proprio in questo spazio tra libertà e giustizia è possibile pensare e agire non solo nel rispetto, ma nel riconoscimento pieno delle diverse istanze anche confessionali”. Secondo Pistone, “l’etica, i cui fondamenti e i cui obiettivi sono libertà e giustizia, non è prerogativa del discorso religioso, ma è un bene comune di tutti gli esseri umani”. Perciò, “le Chiese possono avere una specificità nel loro apporto se riescono a elaborare delle prospettive comuni in questo processo di umanizzazione del mondo”. Indispensabile è, allora, il dialogo. “Non bisogna dimenticare – ha concluso Pistone – che il dialogo è già etica, non è semplicemente una cornice o uno strumento neutrale, dialogare sull’etica significa già intuire l’interdipendenza costitutiva delle nostre chiese e fra le nostre chiese e la società in cui viviamo. Dialogare è un modo di fare etica”.  (Sir)