Vita Chiesa

Settimane sociali, il documento conclusivo: «Stiamo vivendo una realtà durissima e imprevista»

Il documento conclusivo traccia una sintesi dei tre giorni di lavoro nel capoluogo piemontese, dove un migliaio di esponenti del laicato cattolico italiano ha riflettuto sulla famiglia, sul suo ruolo e peso nella società e nelle Chiesa. Lo stesso Papa Francesco nel suo messaggio ai partecipanti aveva sottolineato i problemi di oggi: «Non possiamo ignorare la sofferenza di tante famiglie, dovuta alla mancanza di lavoro, al problema della casa, all’impossibilità pratica di attuare liberamente le proprie scelte educative; la sofferenza dovuta anche ai conflitti interni alle famiglie stesse, ai fallimenti dell’esperienza coniugale e familiare, alla violenza che purtroppo si annida e fa danni anche all’interno delle nostre case».

«I cattolici italiani sanno bene che questo non è un momento normale, né per la vita del Paese né per la vita della Chiesa né in particolare per la vita delle famiglie. Quelli di loro che erano a Torino ne avevano una lucida coscienza. Questa coscienza non è stata lasciata fuori dalla porta e ha orientato il discernimento contribuendo a renderlo onesto, verace»: con queste parole il documento conclusivo delle Settimane Sociali, presentato oggi, porta a considerare la particolare situazione odierna, nella quale la gran parte delle famiglie italiane debbono fare i conti con difficoltà varie, a partire dal lavoro che scarseggia, i redditi che diminuiscono, la disoccupazione crescente. «Solo coloro che hanno conosciuto la situazione dell’Italia alla fine della Seconda Guerra Mondiale ricordano una crisi sociale e civile più dura di quella in corso – prosegue il testo -. Di conseguenza, per la maggior parte della popolazione italiana quelli che stiamo vivendo sono anni – ormai neppure pochi – che hanno l’aspetto di una realtà durissima, sconosciuta e imprevista. Chi era a Torino non analizzava o raccontava tutto questo col distacco dell’esperto, ma lo stava vivendo. Come la maggior parte di coloro che erano a casa».

Dopo aver approfondito i fondamenti della visione cattolica sulla famiglia, il documento prende in considerazione alcuni aspetti legati all’attualità politica e culturale. Così parla delle «priorità» che «l’agenda della politica» del Paese dovrebbe assumere riguardo alle famiglie, che rappresentano il tessuto portante della società. Il testo afferma: «Non abbiamo paura di chi pone il problema della identità e del ruolo pubblico della famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna. Né abbiamo paura che il problema sia posto. Abbiamo paura di chi vuole imporre una soluzione evitando che la questione sia pubblicamente discussa e che le alternative in gioco e le loro principali implicazioni appaiano per quello che sono. E abbiamo paura di chi minimizza la scala dei problemi che coinvolgono la famiglia e anche di chi strumentalizza le questioni familiari riducendole a bandiera ideologica». L’appello alla politica è perché «riconosca» la famiglia come uno dei soggetti principali «titolari di diritti che precedono lo Stato e che diversamente, ma in misura non minore, concorrono al bene comune». Da questo il convincimento che «quando la politica opera per modificare la città in qualcosa che va stretto alla famiglia è fatale che la famiglia divenga anche e immediatamente questione politica, con ricadute economiche di non poco conto».

Tra le «ricette» emerse dalla Settimana Sociale di Torino c’è quella riguardante un trattamento «equo» della famiglia dal punto di vista economico e fiscale. Il testo afferma a questo riguardo: «Per il bene comune della nostra comunità nazionale è dunque necessario e urgentissimo che la pressione fiscale sia abbassata e allo stesso tempo anche riformata in modo da riconoscere lo specifico e costoso contributo che l’istituto familiare fornisce alla collettività», considerate le «tante cose che di norma la famiglia fa meglio e a costi inferiori rispetto a chiunque altro, e particolarmente rispetto allo Stato, e poi ci sono anche cose che di norma solo lei può fare». Questo suggerimento si lega alle politiche economiche governative, col suggerimento «che il debito pubblico va sostanzialmente ridotto, che la spesa pubblica va drasticamente riformata, che alla famiglia va riconosciuta non una fiscalità di favore, ma una fiscalità effettivamente equa, e che una spesa pubblica e delle politiche sociali riformate, qualificate ed efficaci debbono avere nel benessere della famiglia una delle principali e discriminanti priorità». Più avanti si sottolinea che «non è accettabile un debito pubblico in cui per tanta parte hanno inciso i costi e i privilegi ingiustificabili del ceto politico e quelli per una dirigenza pubblica nell’uno e nell’altro caso minimamente giustificati dai risultati».

Dopo aver dedicato spazio al tema della «libertà educativa» e al significato del matrimonio cristiano, il documento si occupa del ruolo dei fedeli laici, che sono la gran parte della comunità cristiana, a loro volta in maggioranza sposati e quindi responsabili di una famiglia. A questo riguardo si afferma che «l’apostolato dei laici» è cosa «urgentissima per la civitas e per la ecclesia». Tra i laici poi particolarmente significativo il ruolo dei giovani, che oggi vivono la grande difficoltà del lavoro che manca. A questo proposito il documento afferma: «I vasti campi dell’apostolato dei laici e della testimonianza della vita religiosa, insieme a quello della pastorale, sono i frangenti in cui un alto appello è certamente rivolto ai giovani credenti di oggi. Sta a loro ricercarlo, in questo oggi, comprenderlo, interpretarlo, obbedirlo. Ciò comporterà un confronto a volte molto impegnativo e non sempre impeccabile con le generazioni più anziane. Esso è un passaggio salutare, che tempra ed emenda, ma non un muro contro il quale la chiamata al rinnovamento nella santità sia costretto ad infrangersi o a sfiancarsi».