Vita Chiesa

Sinodo Amazzonia, «Instrumentum laboris»: ascoltare con la Chiesa il grido di un popolo

«Oggi la Chiesa ha l’opportunità storica di differenziarsi nettamente dalle nuove potenze colonizzatrici ascoltando i popoli amazzonici per poter esercitare in modo trasparente il suo ruolo profetico». È quanto si legge nell’introduzione dell’Instrumentum laboris per il Sinodo sull’Amazzonia, diffuso oggi in preparazione all’evento di ottobre.

L’Instrumentum laboris, 130 pagine, si compone di tre parti: la prima, il vedere-ascoltare, è intitolata «La voce dell’Amazzonia» e ha lo scopo di presentare la realtà del territorio e dei suoi popoli. Nella seconda parte, «Ecologia integrale: il grido della terra e dei poveri», si raccoglie la problematica ecologica e pastorale, e nella terza parte, «Chiesa profetica in Amazzonia: sfide e speranze», la problematica ecclesiologica e pastorale. In questo modo, si legge nell’introduzione, «l’ascolto dei popoli e della terra da parte di una Chiesa chiamata ad essere sempre più sinodale, inizia entrando in contatto con la realtà contrastante di un’Amazzonia piena di vita e di saggezza. Continua con il grido provocato dalla deforestazione e dalla distruzione estrattivista che esige una conversione ecologica integrale. E si conclude con l’incontro con le culture che ispirano nuovi cammini, sfide e speranze di una Chiesa che vuole essere samaritana e profetica attraverso la conversione pastorale».

Seguendo la proposta della Rete Ecclesiale Panamazzonica (Repam), il documento è strutturato sulla base delle tre conversioni a cui Papa Francesco ci invita: la conversione pastorale a cui ci chiama attraverso l’esortazione apostolica Evangelii gaudium (vedere-ascoltare); la conversione ecologica attraverso l’enciclica Laudato si’ che orienta il cammino (giudicare-agire); e la conversione alla sinodalità ecclesiale attraverso la Costituzione Apostolica Episcopalis Communio che struttura il camminare insieme (giudicare-agire). Tutto questo, «in un processo dinamico di ascolto e discernimento dei nuovi cammini attraverso i quali la Chiesa in Amazzonia annuncerà il Vangelo di Gesù Cristo nei prossimi anni». «La crisi socio-ambientale apre nuove opportunità per presentare Cristo in tutta la sua potenzialità liberatrice e umanizzante», il presupposto del documento.

«Questo Sinodo ruota attorno alla vita», l’affermazione di sintesi: «la vita del territorio amazzonico e dei suoi popoli, la vita della Chiesa, la vita del pianeta». «Come si evince dalle consultazioni con le comunità amazzoniche, la vita in Amazzonia si identifica, tra le altre cose, con l’acqua», si fa notare nel testo a proposito di «una delle zone più vulnerabili del pianeta, dopo l’Artico, in relazione ai cambiamenti climatici di origine antropica». «Il Rio delle Amazzoni è come un’arteria del continente e del mondo, scorre come vene della flora e della fauna del territorio, come sorgente dei suoi popoli, delle sue culture e delle sue espressioni spirituali. Come nell’Eden, l’acqua è fonte di vita, ma anche connessione tra le sue diverse manifestazioni di vita, nella quale tutto è connesso», come si legge nella Laudato sì, citata in abbondanza in tutto il documento: «Il fiume non ci separa, ci unisce, ci aiuta a vivere insieme tra culture e lingue diverse». Il territorio dell’Amazzonia comprende parte di Brasile, Bolivia, Perù, Ecuador, Colombia, Venezuela, Guyana, Suriname e Guyana francese in un’area di 7,8 milioni di kmq, nel cuore del Sud America. Le foreste amazzoniche coprono circa 5,3 milioni di kmq, che rappresentano il 40% della superficie globale delle foreste tropicali. Questo è solo il 3,6% della superficie delle terre emerse della terra, che occupano circa 149 milioni di chilometri quadrati, ovvero circa il 30% della superficie del nostro pianeta. «Il territorio amazzonico contiene una delle biosfere geologicamente più ricche e complesse del pianeta», si fa notare nell’Instrumentum laboris: «La sovrabbondanza naturale di acqua, calore e umidità fa sì che gli ecosistemi dell’Amazzonia ospitino dal 10 al 15% circa della biodiversità terrestre ed immagazzinino tra i 150 e i 200 miliardi di tonnellate di carbonio ogni anno».

Dai popoli amazzonici, dobbiamo imparare il «buon vivere», cioè la capacità di « vivere in armonia con sé stessi, con la natura, con gli esseri umani e con l’essere supremo, perché esiste un’intercomunicazione tra tutto il cosmo, dove non esiste chi esclude né chi è escluso, e che tra tutti si possa forgiare un progetto di vita piena». «Ma la vita in Amazzonia – si legge nell’Instrumentum laboris – è minacciata dalla distruzione e dallo sfruttamento ambientale, dalla sistematica violazione dei diritti umani fondamentali della popolazione amazzonica»: in particolare, «la violazione dei diritti dei popoli originari, come il diritto al territorio, all’autodeterminazione, alla delimitazione dei territori, alla consultazione e al consenso previo». «La minaccia alla vita deriva da interessi economici e politici dei settori dominanti della società odierna, in particolare delle compagnie estrattive, spesso in connivenza, o con la permissività dei governi locali e nazionali e delle autorità tradizionali» degli stessi indigeni, si denuncia nel testo a proposito dell’indifferenza alle grida dei poveri e della terra segnalata dalla Laudato si’.

Le minacce alle comunità amazzoniche. Le comunità dell’Amazzonia, nel dettaglio, ritengono che la loro vita sia minacciata soprattutto da: «la criminalizzazione e l’assassinio di leader e difensori del territorio; l’appropriazione e la privatizzazione di beni naturali, come l’acqua stessa; le concessioni a imprese di disboscamento legali e l’ingresso di imprese di disboscamento illegali; caccia e pesca predatorie, soprattutto nei fiumi; megaprogetti: idroelettrici, concessioni forestali, disboscamento per produrre monocolture, strade e ferrovie, progetti minerari e petroliferi; inquinamento provocato dall’intera industria estrattiva che crea problemi e malattie, in particolare ai bambini/e e ai giovani; il narcotraffico; i conseguenti problemi sociali associati a tali minacce come l’alcolismo, la violenza contro la donna, il lavoro sessuale, il traffico di esseri umani, la perdita della loro cultura originaria e della loro identità (lingua, pratiche spirituali e costumi), e l’intera condizione di povertà a cui sono condannati i popoli dell’Amazzonia». Attualmente, i cambiamenti climatici e l”aumento degli interventi umani (deforestazione, incendi e cambiamenti nell’uso del suolo) «stanno portando l’Amazzonia a un punto di non ritorno, con alti tassi di deforestazione, spostamenti forzati della popolazione e inquinamento, mettendo a rischio i suoi ecosistemi ed esercitando pressione sulle culture locali», il grido d’allarme del testo, in cui si fa notare che «soglie di 4°C di riscaldamento o 40% di deforestazione sono ‘punti di svolta’ del bioma amazzonico verso la desertificazione, il che significa una transizione verso un nuovo stato biologico generalmente irreversibile. Ed è preoccupante trovarsi oggi già tra il 15 e il 20% di deforestazione». «Gli impatti causati dalla distruzione multipla del bacino panamazzonico generano uno squilibrio del territorio locale e globale, nelle stagioni e nel clima», la denuncia: la «cura della vita», invece, «si oppone alla cultura dello scarto, della menzogna, dello sfruttamento e dell’oppressione. Allo stesso tempo, implica l’opporsi ad una visione insaziabile di crescita illimitata, di idolatria del denaro, ad un mondo distaccato (dalle sue radici, dal suo ambiente), ad una cultura della morte».

No alla massimizzazione del profitto. «Il grido amazzonico ci parla di lotte contro coloro che vogliono distruggere la vita concepita integralmente». Nell’Instrumentum laboris del Sinodo sull’Amazzonia si pronuncia un chiaro «no» ad «un modello economico legato alla produzione, alla commercializzazione e al consumo, dove la massimizzazione del profitto è prioritaria rispetto alle necessità umane e ambientali». Di qui l’importanza delle «lotte contro coloro che non rispettano i diritti umani e della natura in Amazzonia», attraverso il contrasto alla «criminalizzazione delle proteste contro la distruzione del territorio e delle sue comunità». Un altro «abuso» è il diffuso rifiuto degli Stati «a rispettare il diritto alla consultazione e al consenso previo dei gruppi indigeni e locali prima di stabilire concessioni e contratti di sfruttamento territoriale, anche se tale diritto è esplicitamente riconosciuto dall’Organizzazione Internazionale del e da alcune costituzioni dei Paesi amazzonici». «Il dramma degli abitanti dell’Amazzonia si manifesta non solo nella perdita delle loro terre per lo spostamento forzato, ma anche nell’essere vittime della seduzione del denaro, delle tangenti e della corruzione da parte di agenti del paradigma tecno-economico della ‘cultura dello scarto’, soprattutto tra i giovani», il grido d’allarme del documento. «L’abbattimento massivo degli alberi, la distruzione della foresta tropicale per mezzo di incendi boschivi intenzionali, l’espansione della frontiera agricola e delle monocolture sono la causa degli attuali squilibri climatici regionali, con evidenti effetti sul clima globale, di dimensioni planetarie quali le grandi siccità e inondazioni sempre più frequenti», si legge nel testo a proposito dell’urgenza di proteggere «il ‘polmone del pianeta’».

I popoli indigeni in isolamento volontario. «Nel territorio amazzonico ci sono tra 110 e 130 diversi Popoli Indigeni in Isolamento Volontario (Piav) o ‘popoli liberi», che «vivono ai margini della società o in contatto sporadico con essa, in un profondo legame con la natura», ricorda l’Instrumentum laboris, sottolineando che i Piav «resistono all’attuale modello di sviluppo economico predatore, genocida ed ecocida, scegliendo la cattività per vivere in libertà». Proprio per tale loro condizione, i Piav «sono vulnerabili alle minacce provenienti dai settori agroindustriali e da quelli che sfruttano clandestinamente minerali, legname e altre risorse naturali. Sono anche vittime del narcotraffico, di mega progetti infrastrutturali come gli impianti idroelettrici e le autostrade internazionali e di attività illegali legate al modello di sviluppo estrattivista». «Il rischio di violenza contro le donne di questi popoli è aumentato per la presenza di coloni, commercianti di legname, soldati, dipendenti delle compagnie estrattive, tutti per lo più uomini», il grido d’allarme: «In alcune regioni dell’Amazzonia, il 90% degli indigeni uccisi nelle popolazioni isolate sono state donne. Tale violenza e discriminazione ha un grave impatto sulla capacità di questi popoli indigeni di sopravvivere, tanto fisicamente e spiritualmente quanto culturalmente». A tutto ciò «si aggiunge il mancato riconoscimento dei diritti territoriali degli indigeni e dei Piav»: «La criminalizzazione delle proteste dei loro sostenitori e il taglio del budget per la protezione delle loro terre facilitano enormemente l’invasione dei loro territori con la conseguente minaccia alle loro vulnerabili vite», si legge nel testo, in cui si chiede «ai rispettivi governi di garantire le risorse necessarie per l’effettiva protezione dei popoli indigeni isolati», in modo «da garantire loro la libertà di uscire dall’isolamento se lo desiderano» e di «prevenire l’invasione dei luoghi in cui vivono».

«L’Amazzonia è tra le regioni con la maggiore mobilità interna e internazionale in America Latina», diventata di fatto «un corridoio migratorio», con migrazioni che avvengono tra Paesi amazzonici, come l’ondata crescente migrazione dal Venezuela, o verso altre regioni, come il Cile e l’Argentina. «Il movimento migratorio, trascurato tanto politicamente quanto pastoralmente, ha contribuito alla destabilizzazione sociale delle comunità amazzoniche», l’analisi del testo: «Le città della regione, che ricevono in modo permanente un gran numero di persone che migrano verso di loro, non sono in grado di fornire i servizi essenziali di cui i migranti hanno bisogno. Questo ha portato molte persone a vagare e a dormire nei centri urbani senza lavoro, senza cibo, senza riparo. Tra questi molti appartengono a popoli indigeni costretti ad abbandonare le loro terre». In questo contesto, «le città sembrano essere una terra senza padrone», e questo fenomeno «destabilizza, tra l’altro, le famiglie quando uno dei genitori parte in cerca di lavoro in luoghi lontani, lasciando i figli e i giovani a crescere senza la figura paterna e/o materna. Anche i giovani si spostano in cerca di occupazione o sottoccupazione per aiutare a mantenere ciò che resta della famiglia, abbandonando gli studi primari, sottoponendosi a ogni tipo di abuso e sfruttamento. In molte regioni dell’Amazzonia, questi giovani sono vittime del traffico di droga, della tratta di esseri umani o della prostituzione maschile e femminile». «L’omissione da parte dei governi dell’attuazione di politiche pubbliche di qualità per le zone interne, soprattutto nel campo dell’istruzione e della salute, permette a questo processo di mobilità di aumentare ogni giorno di più», la denuncia dell’Instrumentum laboris: «Anche se la Chiesa ha accompagnato questo flusso migratorio, ha lasciato all’interno dell’Amazzonia delle lacune pastorali che devono essere colmate». Tra le proposte, quella di «promuovere l’integrazione tra migranti e comunità locali nel rispetto della propria identità culturale», come indica Papa Francesco.

«La corruzione in Amazzonia incide gravemente sulla vita dei suoi popoli e territori». È il bilancio politico dell’Instrumentum laboris sull’Amazzonia, in cui si spiega che nel polmone del nostro pianeta «ci sono almeno due tipi di corruzione: quella che esiste al di fuori della legge e quella che è protetta da una legislazione che tradisce il bene comune». Negli ultimi decenni, «l’investimento nello sfruttamento delle ricchezze dell’Amazzonia da parte delle grandi imprese ha subito un’accelerazione», l’analisi del testo: «Molte di loro perseguono il profitto a tutti i costi, indipendentemente dal danno socio-ambientale che provocano. I governi che autorizzano tali pratiche, che hanno bisogno di valuta estera per promuovere le loro politiche pubbliche, non sempre adempiono al loro dovere di proteggere l’ambiente e i diritti delle loro popolazioni. La corruzione raggiunge così le autorità politiche, giudiziarie, legislative, sociali, ecclesiali e religiose che ricevono benefici per consentire a queste società di operare». «Ci sono casi in cui grandi aziende e governi hanno organizzato sistemi di corruzione», la sottolineatura del testo: «Vediamo persone che hanno ricoperto cariche pubbliche e che ora sono sotto processo, in prigione o si sono dati alla fuga». «Si crea così una cultura che avvelena lo Stato e le sue istituzioni, permeando tutti gli strati sociali, comprese le comunità indigene», il grido d’allarme riguardo a quella che è definita «una vera e propria piaga morale», a causa della quale «si perde la fiducia nelle istituzioni e nei suoi rappresentanti, il che scredita totalmente la politica e le organizzazioni sociali. I popoli amazzonici non sono estranei alla corruzione e ne diventano le principali vittime».

Una «conversione integrale», da realizzarsi attraverso una conversione «personale, sociale e strutturale». È l’auspicio contenuto nella parte centrale del testo, in cui sulla scorta della Laudato si’ si auspica una «conversione integrale della persona» che «implica riconoscere la complicità personale e sociale nelle strutture di peccato, smascherando le ideologie che giustificano uno stile di vita che aggredisce la creazione». «Colonialismo, mentalità economico-mercantilista, consumismo, utilitarismo, individualismo, tecnocrazia, cultura dello scarto», sono i «mali» presenti in Amazzonia, accanto a tanti germi di bene. Di qui la necessità di «smascherare le nuove forme di colonialismo presenti in Amazzonia; identificare le nuove ideologie che giustificano l’ecocidio amazzonico per analizzarle criticamente; denunciare le strutture di peccato che agiscono in territorio amazzonico; identificare le ragioni con cui giustifichiamo la nostra partecipazione alle strutture di peccato per analizzarle criticamente». A livello ecclesiale, nel documento si raccomanda di «favorire una chiesa come istituzione di servizio non autoreferenziale, corresponsabile nella cura della Casa Comune e nella difesa dei diritti dei popoli; promuovere mercati ecosolidali, un consumo equo e una ‘felice sobrietà’ che rispetti la natura e i diritti dei lavoratori; promuovere modelli di comportamento, di produzione e di consumo, di riciclaggio e di riutilizzo dei rifiuti; recuperare i miti e attualizzare i riti e le celebrazioni comunitarie che contribuiscono in modo significativo al processo di conversione ecologica; ringraziare i popoli originari per la cura del territorio nel tempo e riconoscere in questo la saggezza ancestrale che costituisce la base per una buona comprensione dell’ecologia integrale; creare itinerari pastorali organici a partire da un’ecologia integrale per la tutela della Casa Comune avendo come guida i capitoli 5 e 6 dell’Enciclica Laudato si’

«La Chiesa deve incarnarsi nelle culture amazzoniche che possiedono un alto senso di comunità, uguaglianza e solidarietà, per cui il clericalismo non è accettato nelle sue varie forme di manifestarsi». È quanto si raccomanda nel quarto capitolo dell’Instrumentum laboris, dedicato all’organizzazione delle comunità ecclesiali. «I popoli indigeni posseggono una ricca tradizione di organizzazione sociale dove l’autorità è a rotazione e con un profondo senso del servizio», si fa notare nel testo: «A partire da questa esperienza di organizzazione sarebbe opportuno riconsiderare l’idea che l’esercizio della giurisdizione (potere di governo) deve essere collegato in tutti gli ambiti (sacramentale, giudiziario, amministrativo) e in modo permanente al Sacramento dell’Ordine». «Oltre alla pluralità delle culture all’interno dell’Amazzonia, le distanze generano un grave problema pastorale che non può essere risolto con i soli mezzi meccanici e tecnologici», l’analisi del contesto: «Le distanze geografiche manifestano anche distanze culturali e pastorali che, quindi, richiedono il passaggio da una ‘pastorale della visita’ a una ‘pastorale della presenza’, per riconfigurare la Chiesa locale in tutte le sue espressioni: ministeri, liturgia, sacramenti, teologia e servizi sociali». Di qui la necessità di creare «ministeri appropriati», cioè «nuovi ministeri per rispondere in maniera efficace ai bisogni dei popoli amazzonici».

«Promuovere vocazioni autoctone di uomini e donne in risposta ai bisogni di un’attenzione pastorale sacramentale», la proposta dell’Instrumentum laboris: «il loro contributo decisivo sta nell’impulso ad un’autentica evangelizzazione dal punto di vista indigeno, secondo i loro usi e costumi». «Si tratta di indigeni che predicano agli indigeni con una profonda conoscenza della loro cultura e della loro lingua, capaci di comunicare il messaggio del Vangelo con la forza e l’efficacia di chi ha il loro bagaglio culturale», l’identikit dei nuovi ministri laici, per permettere il passaggio «da una ‘Chiesa che visita’ ad una ‘Chiesa che rimane’, accompagna ed è presente attraverso ministri che emergono dai suoi stessi abitanti». «Affermando che il celibato è un dono per la Chiesa, si chiede che, per le zone più remote della regione, si studi la possibilità di ordinazione sacerdotale di anziani, preferibilmente indigeni, rispettati e accettati dalla loro comunità, sebbene possano avere già una famiglia costituita e stabile, al fine di assicurare i sacramenti che accompagnano e sostengono la vita cristiana», l’altra proposta, insieme a quella di «identificare il tipo di ministero ufficiale che può essere conferito alle donne, tenendo conto del ruolo centrale che esse svolgono oggi nella Chiesa amazzonica». «Le comunità indigene sono partecipative ed hanno un alto senso di corresponsabilità», si sottolinea nell’Instrumentum laboris, in cui si chiede di «valorizzare il protagonismo dei laici e delle laiche cristiani» e di «riconoscere il loro spazio perché siano soggetti della Chiesa in uscita». «In campo ecclesiale, la presenza delle donne nelle comunità non è sempre valorizzata», la denuncia del testo, in cui si chiede «il riconoscimento delle donne a partire dai loro carismi e talenti» e di «garantire alle donne la loro leadership, nonché spazi sempre più ampi e rilevanti nel campo della formazione: teologia, catechesi, liturgia e scuole di fede e di politica», in modo che «anche che la voce delle donne sia ascoltata, che siano consultate e partecipino ai processi decisionali, e che possano così contribuire con la loro sensibilità alla sinodalità ecclesiale». «Che la Chiesa accolga sempre più lo stile femminile di agire e di comprendere gli avvenimenti», l’auspicio.

(testo integrale dell’Instrumentum laboris per il Sinodo sull’Amazzonia).