Vita Chiesa

Sintesi dei contributi delle Diocesi toscane

Conferenza Episcopale Toscana …in cammino verso il Convegno di Verona 2006 SINTESI dei contributi delle Diocesi toscane in preparazione al Convegno di Verona 2006a cura dei Delegati Regionali mons. Giovanni De Vivo, vescovo di Pescia, mons. Andrea Drigani, Enzo Cacioli,. Anna Maria Catarsi, e con la collaborazione di Amedeo Bartolini e Marco Sarti SOMMARIOPrima parte Metodo di lavoro, iniziative e soggetti coinvolti1. Metodo di lavoro individuato 2. Soggetti coinvolti 3. Modalità e iniziative di sensibilizzazione dei fedeli 4. Principali iniziative realizzate 5. Valutazione delle iniziative ed esposizione delle difficoltà incontrate Seconda parte La verifica della nostra testimonianza1. Quale l’apporto che viene offerto all’esercizio del discernimento ecclesiale e alla promozione di modelli culturali ispirati al Vangelo?2. Come si cerca di evitare il ripiegamento su di sé da parte delle comunità o il prevalere degli aspetti organizzativi sul diffondersi di relazioni profonde e gratuite? Come si cerca di conciliare contemplazione e impegno nel mondo? 3. Quali iniziative e strumenti sono stati individuati per favorire la crescita di una fede adulta e della responsabilità missionaria? 4. Quali sono le fatiche e i rischi a cui è esposta la testimonianza cristiana nella realtà diocesana? 5. Strumenti idonei per testimoniare il Vangelo nel mondo di oggi. Risorse e scelte da valorizzare. Terza parte Gli ambiti della testimonianza 1° AMBITO: Vita affettiva 2° AMBITO: Il lavoro e la festa3° AMBITO: La Fragilità4° AMBITO: La tradizione5° AMBITO: La cittadinanza

Quarta parte

——-1. Metodo di lavoro individuatoA tutte le Diocesi è parso opportuno adottare un metodo di lavoro, diventato ormai una prassi, di inserire cioè certi eventi ecclesiali nel cammino ordinario della pastorale diocesana.

Ogni Diocesi infatti ha il suo piano pastorale annuale (frutto talvolta di sinodi, di cammini sinodali, di convegni annuali…). Le tematiche del Convegno di Verona si sono inserite in modo naturale e senza forzature nel cammino diocesano. Sono infatti tematiche (speranza, testimonianza, discernimento, ambiti di vita… ) che attraversano tutte le iniziative che le Diocesi compiono durante un anno. Si è trattato solo di dare accentuazione, fare alcuni aggiustamenti per portare la pastorale diocesana ad accogliere i suggerimenti del Convegno di Verona e ad arricchire di ulteriori contenuti il normale cammino diocesano.

Per portare i temi del Convegno di Verona a conoscenza della Diocesi sono stati utilizzati i canali della pastorale ordinaria: settimanale diocesano, stile sinodale, ascolto e dialogo, piccoli gruppi, ritiri spirituali dei giovani, eventi diocesani, …

2. Soggetti coinvoltiLa Diocesi è il soggetto coinvolto globalmente in ogni iniziativa pastorale: si è cercato perciò all’interno di ogni Diocesi di interessare e sensibilizzare tutto il popolo di Dio al cammino verso il Convegno di Verona.

La Diocesi di Arezzo ha avuto il privilegio e l’onere di accogliere uno dei cinque eventi nazionali in preparazione al Convegno di Verona ed è stato un momento di grazia e di indubbia crescita per tutta la Diocesi, che ha riscontrato anche la sensibilità delle varie istituzioni al tema trattato.

La prima attenzione nel coinvolgimento è stata rivolta ai sacerdoti, che hanno trattato e discusso del Convegno di Verona nelle Giornate diocesane del Clero, nei ritiri mensili, nei Corsi di aggiornamento… In tutte le Diocesi si è pensato che la sensibilizzazione del clero fosse la strada maestra per giungere al popolo di Dio.

Certamente nelle Diocesi il coinvolgimento non ha riguardato in egual maniera tutte le componenti della comunità Diocesana.

Alcune Diocesi hanno scelto di privilegiare gli organismi di partecipazione: Consiglio Presbiterale e Consiglio Pastorale Diocesano.

Gli Uffici pastorali secondo le loro competenze sono stati strumenti privilegiati di riflessione e di approfondimento del tema o di tempi specifici: in particolare gli Uffici Caritas, gli Uffici di pastorale familiare e giovanile, l’Ufficio per l’Ecumenismo,…

Alcune Commissioni diocesane (es. Commissione cultura) si sono fatte carico di interessare i propri membri alle tematiche del Convegno e di allargarne l’interesse al maggior numero di persone possibili. Per calare nella concretezza della Diocesi le proposte di riflessione del Convegno di Verona si è pensato di passare

+ attraverso le Foranie e le eventuali strutture di consultazione ( consigli pastorali foraniali );

+ e attraverso le parrocchie: in alcuni luoghi si sono attivati i Consigli pastorali. Inoltre le parrocchie hanno nominato e inviato alcuni delegati per la celebrazione di Convegni diocesani.

Anche le Aggregazioni laicali, soprattutto attraverso le Consulte, hanno cercato di sensibilizzare i loro membri alla traccia di riflessione del Convegno di Verona. Sembra però di costatare che il numero delle Aggregazioni interessate al Convegno di Verona non sia stato elevato.

L’A.C. in alcuni casi ha deciso nei propri Convegni annuali di mettere a tema la riflessione sulla speranza, sulla testimonianza e sugli ambiti seguendo la traccia del documento dei Vescovi italiani. 3. Modalità e iniziative di sensibilizzazione dei fedeliLa sensibilizzazione dei fedeli al Convegno di Verona è passata per lo più attraverso iniziative semplici e ad un tempo significative.

In diverse Diocesi si è seguito il suggerimento di distribuire nelle parrocchie la Prima lettera di Pietro, facendone in alcuni casi oggetto di lectio divina. Anche i Vescovi hanno scelto in alcune occasioni (esempio Stazioni quaresimali ) di presentare la Prima lettera di Pietro ai loro fedeli.

La ricaduta nelle parrocchie è avvenuta anche in occasione della Benedizione delle famiglie con la distribuzione di opuscoli intonati al tema del Convegno di Verona.

Nei tempi forti dell’anno liturgico (Avvento e Quaresima) è stato suggerito in alcune Diocesi un ventaglio di omelie rivolte a chiarire i temi della speranza, della testimonianza e degli ambiti della testimonianza.

Valorizzazione di alcune pratiche tradizionali (Via Crucis e Stazioni Quaresimali)

Egualmente significativo il suggerimento di momenti di preghiera per il Convegno e sui temi del Convegno stesso.

Anche il settimanale cattolico (specialmente dove è abbastanza diffuso) ha costituito occasione importante di sensibilizzazione dei fedeli.

4. Principali iniziative realizzate– Convegni diocesani promossi specificamente o l’utilizzo di Convegni annuali che hanno messo a tema la speranza, la testimonianza, il discernimento e gli ambiti della testimonianza; – Convegni regionali, che normalmente si celebrano, si sono inseriti nel cammino verso Verona scegliendo un ambito da approfondire ( es. il Servizio regionale di pastorale giovanile nel Convegno di Pistoia a metà gennaio ha scelto di approfondire l’ambito della tradizione ).– Settimane teologiche;– Corsi di aggiornamento degli Insegnanti di Religione Cattolica;– Tavole rotonde su temi di fondo o su ambiti del Convegno di Verona;– Testimonianze di personaggi relative ad alcuni aspetti del Convegno di Verona;– Assemblee diocesane;– Riflessioni specifiche promosse nelle parrocchie;– Iniziative promosse da Uffici Pastorali su argomenti del Convegno di Verona che li riguardavano da vicino (es. Caritas, Ufficio Famiglia…);– Ricorrenze o celebrazioni importanti nella Diocesi che sono state utilizzate per portare la Diocesi a prepararsi al Convegno di Verona;– Corsi di Aggiornamento per il clero.

Si costata in genere che la varietà delle iniziative è legata allo stile e alle modalità che da anni caratterizzano il lavoro pastorale in una Diocesi.

Da certe iniziative è sorta l’esigenza di dare più continuità nel tempo allo stile del ritrovarsi insieme.

5. Valutazione delle iniziative ed esposizione delle difficoltà incontrateLa valutazione che le Diocesi hanno dato delle iniziative e del coinvolgimento ha messo in luce la maturità, la schiettezza e lo spirito critico con cui le Diocesi sono solite guardare al loro lavoro, evitando trionfalismi.

Si osserva che il coinvolgimento del cammino verso Verona ha riguardato le persone che da sempre gravitano intorno alla Diocesi e agli organismi. Si nota in genere molta difficoltà ad allargare la fascia di persone solitamente interessate a certe tematiche.

Le iniziative promosse sono state ben condotte e da tutti riconosciute valide, ma è stata carente la partecipazione. La valutazione generale, a detta di qualcuno, non può dirsi buona.

Vi sono larghe fasce di indifferenza all’interno del popolo di Dio, in cui predominano individualismo e relativismo. «Stagione difficile per la Chiesa», nota una Diocesi.

Qualcuno critica il metodo adottato nel raccogliere i contributi provenienti dalle Diocesi. Il passaggio dalla Diocesi alla Regione e poi alla CEI è una graduale scrematura in cui si perdono a poco a poco alcuni contenuti e soprattutto l’intervento libero e profetico di cui ci sarebbe bisogno oggi.

Le comunità stentano a recepire iniziative che piovono dall’alto.

C’è poi da notare che, con tutta la buona volontà e la flessibilità che le Diocesi sanno usare in queste circostanze, certe iniziative si sono aggiunte al lavoro pastorale ordinario e non hanno avuto sempre l’atteso riscontro, soprattutto perché hanno interessato le solite persone, già sovraccariche di impegni pastorali. 1. Quale l’apporto che viene offerto all’esercizio del discernimento ecclesiale e alla promozione di modelli culturali ispirati al Vangelo?

Una delle constatazioni più ricorrenti: la scelta pastorale degli adulti come modello e spazio privilegiato, superando lo sbilanciamento verso la pastorale dei bambini.

Diverse Diocesi, pur non avendo celebrato un Sinodo, hanno scelto uno stile sinodale nel modo di lavorare.

Capacità di contemplazione, saper guardare in alto. Chiamata alla santità che passa per l’acquisizione di un’interiorità profonda, la tensione verso l’unità ed una forte responsabilità verso il mondo.

Misurarsi con il Vangelo come modello superiore e insostituibile di discernimento. Occorre partire dalla parola di Dio per trovare stili di vita conformi al Vangelo. Per questo motivo ogni Chiesa locale è invitata a conoscere e frequentare i contenuti profondi del Vangelo.

La Chiesa locale deve saper cogliere le opportunità pastorali. Spesso ci si lamenta, ma non mancano occasioni di evangelizzazione e testimonianza (es. preparazione al matrimonio, celebrazione del matrimonio, battesimo dei figli…). Vi sono momenti nella vita delle persone (gioia, dolore, nascita, morte, vita, difficoltà, impegno…) in cui poter inserire i significati profondi dell’esistenza, che scaturiscono dal Vangelo.

Occorre valutare e valorizzare i carismi personali. Il Vescovo deve cercare la collaborazione con tutto il popolo di Dio, individuando ed appoggiando le competenze specifiche.

Il discernimento non può che essere legato alla capacità di rendere ragione della speranza che è in noi.

È indispensabile valorizzare relazioni umane profonde, come base di ogni rapporto. Se vengono curate nello spirito evangelico sono momento privilegiato per la testimonianza.

Occorre mostrare maggiore attenzione alla lettura dei segni dei tempi, in un atteggiamento costante di accoglienza e di ascolto.

2. Come si cerca di evitare il ripiegamento su di sé da parte delle comunità o il prevalere degli aspetti organizzativi sul diffondersi di relazioni profonde e gratuite? Come si cerca di conciliare contemplazione e impegno nel mondo?

Far crescere il senso di comunione, puntando sul riconoscere e vivere il tesoro che è nelle nostre mani: l’esperienza di Gesù risorto.

La conciliazione fra contemplazione ed impegno presuppone un laicato preparato, cristianamente formato ed attento.

Molti hanno sottolineato la necessità di tornare a parlare in profondità della propria fede, in modo esplicito, unitamente ad una testimonianza leggibile, evitando l’autoreferenzialità.

In questo programma si richiama la necessità di rivisitare ed approfondire il documento conciliare “Gaudium et spes” (La Chiesa nel mondo contemporaneo), sempre di attualità, come pure riprendere alcuni punti del programma pastorale degli anni ’90: “Evangelizzazione e testimonianza della carità”.

Varie Diocesi sottolineano che occorre rifare il primo annuncio, che c’è bisogno di una nuova evangelizzazione, accompagnata da una testimonianza integra senza misura: si evita così il ripiegamento su se stessi. Anche la pastorale sacramentale è divenuta oggi un’occasione importante per il primo annuncio: va perciò ripensata e curata.

La fede deve essere accompagnata dalla testimonianza, altrimenti ciò che si predica rischia di diventare mera utopia.

Per evitare di richiudersi è importante che le nostre comunità si attrezzino e si abituino a leggere la realtà socio-culturale. Nel variare della popolazione (e oggi più di sempre), sia per la mobilità interna che per l’inserimento di extracomunitari, va tenuto conto delle nuove situazioni che si creano e che chiedono capacità di interpretare e guidare i cambiamenti.

3. Quali iniziative e strumenti sono stati individuati per favorire la crescita di una fede adulta e della responsabilità missionaria?

L’esperienza di Cristo è il luogo fondamentale dell’annuncio. Per la formazione di una fede adulta occorre ripartire da Cristo, nucleo centrale della fede, recuperando l’incontro personale con lui. Vanno valorizzate le esperienze che educano alla relazione profonda con Dio.

Va messa la parola di Dio al centro del cammino ecclesiale e della vita personale.

Le comunità cristiane devono aiutare gli adulti a fare i conti con le domande, i dubbi e le fatiche della vita.

Nell’attuale situazione la formazione del laicato diviene un problema non più rinviabile nella Chiesa. Fra l’altro si nota che le Aggregazioni laicali, le Associazioni gruppi e movimenti, non ricevono più la dovuta attenzione da parte della Chiesa.

Responsabilità missionaria significa spiritualità che si dona e richiede di curare la fede di chi è cristiano ma anche di accompagnare il cammino di chi cristiano ancora non è. Occorre aprirsi a tutti.

Non ci si può limitare ad una pastorale ad episodi. Pur significativi in sé, staccati gli uni dagli altri non riescono a dare continuità alla nostra azione pastorale.

Puntare su di una Chiesa missionaria, invece che su una Chiesa “statuaria”. Può essere utile una rete di messaggeri, cioè persone che si incaricano di visitare famiglie, con un invito, un messaggio, una semplice comunicazione.

La nuova evangelizzazione ha bisogno di nuovi evangelizzatori, presbiteri prima di tutto e poi laici e religiosi che si devono formare per superare la dicotomia fra contemplazione e impegno.

La parrocchia è luogo di incontro privilegiato, quando diviene luogo di accoglienza e ascolto, e quindi missionaria, ma occorre anche inventare nuovi spazi di incontro al di là delle parrocchie.

Tenere presente in alcuni posti la realtà di tantissimi non italiani e la conseguente esigenza di una Chiesa aperta al confronto e alla presenza culturale. È una sfida che la Chiesa deve saper accogliere.

4. Quali sono le fatiche e i rischi a cui è esposta la testimonianza cristiana nella realtà diocesana?

Alcuni rischi. Certezza di una fede che diviene intransigenza, lontano dallo spirito suggerito da Pietro: “sempre pronti a rendere ragione della speranza… tuttavia ciò sia fatto con dolcezza e rispetto” (1 Pietro 3,15); rischio inoltre della fede fai da te, rifugio accogliente e fatto individuale.

La Chiesa vive una stagione difficile. Vi è il rischio della frammentazione e il prevalere dell’individualismo e dell’economicismo.

Rischio di nutrire i nutriti, di rifare continuamente la proposta ai soliti, che sono sensibili. Rischio di rinchiudersi nelle certezze, nei gruppi e nelle parrocchie, in atteggiamento in difesa.

Delusione e contrapposizione: rischio di sentirsi giudicati dal mondo. Ci viene richiesto uno stile di vita coerente, sobrio, per essere disponibili all’incontro con le diversità.

Rischio di pensare le nostre comunità e strutture come quelle che organizzano alcuni momenti della vita (nascita, crescita, matrimonio, morte…).

Rischio di scivolare nell’attivismo a scapito del “supplemento d’anima” che fa la differenza nel rapporto dei cristiani con gli altri.

Sono pochi i testimoni capaci di sostenere il cuore di tanti smarriti.

Difficoltà dei ministri ordinati a collaborare, con il pericolo di accuse reciproche all’interno della Chiesa.

5. Strumenti idonei per testimoniare il Vangelo nel mondo di oggi. Risorse e scelte da valorizzare.

La parrocchia, ponte dell’incontro con Gesù, ha bisogno di ripensamento e di rinnovamento.

Pensiero che ritorna in continuazione: riconoscere la dignità laicale, valorizzare una partecipazione dei laici che accompagni il cammino della Chiesa nel magistero episcopale. Soprattutto in campo politico-sociale: organismo di laici che affianchi il Vescovo nel suo magistero.

Prima di parlare di come testimoniare, bisogna interrogarsi circa la nostra appartenenza alla Chiesa.

Tre servizi, ricordati da Benedetto XVI nella sua enciclica: annuncio della parola, liturgia e servizio della carità.

Occorre rigenerare continuamente la propria fede, facendo esperienza di “comunità cristiana” (come un’unica famiglia). Questo richiede di sapersi accogliere reciprocamente. La parrocchia è il centro della comunità, ma non è isolata dal resto: la Diocesi è comunità di parrocchie.

Nell’attuale situazione bisogna favorire e promuovere il ritrovarsi insieme delle persone, delle istituzioni cittadine, ad un tavolo di confronto e di dialogo. Attivare una grande rete di solidarietà e di operatività in ordine alla carità, alla scuola, alla cooperazione missionaria…

Impegno nella organizzazione di strutture socio-assistenziali.

Dare continuità al dopo Verona, cercando di camminare insieme.

“Nel bene e nel male, l’uomo scopre di essere fatto per amare e che non c’è amore senza l’incontro con qualcuno, senza un’ intima comunione, in una parola, senza una relazione che, per sua struttura si mostra tanto più soddisfacente quanto è meno superficiale e più solida e duratura. Non è facile appagare questo bisogno in un mondo in continuo cambiamento perché, umanamente, è più facile amare il proprio sogno che accettare ed amare la realtà. (…) Come possiamo allora aiutare i singoli , le coppie e le famiglie a riscoprire il senso e la realtà di un amore che non può ridursi solamente ad un progetto a termine o, come si dice oggi, “usa e getta”?” (dalla Relazione della Diocesi di Siena) 1. Affermazioni di principioNella domenica, giorno del Signore e nell’Eucaristia la coppia e la famiglia, trovano: – la sublimazione del tempo del lavoro ed il riposo contemplativo nel dono di Cristo, “Pane spezzato e “Parola annunciata”; – la tolleranza, la comprensione, il dialogo, nella relazione d’Amore trinitario; – attraverso l’amore di Cristo via verso l’amore degli altri, la famiglia si apre alla condivisione e alla solidarietà.• L’amore e l’educazione all’amore e quindi alla relazione del dono, costituiscono il terreno su cui fondare l’edificio della vita di fede di ogni persona e, dunque, di tutta la comunità cristiana.• La famiglia rappresenta una realtà complessa, non basta idealizzarla per attribuirle dignità, quindi va vista non sotto “vuoto”, ma accolta e sostenuta nel suo divenire.• La famiglia costituisce un terreno su cui lavorare in modo serio e continuativo, per arginare la deriva morale e spirituale in corso utilizzando tutte le risorse messe a nostra disposizione dalle scienze umane e dalla riflessione teologica.• La spinta “centripeta” e quella “centrifuga”, nella relazione, sono spinte contrapposte che sollecitano a cercare sempre nuovi equilibri.• Necessità di rapporti più autentici ed aspettativa di relazioni più profonde ed appaganti: l’uomo scopre di essere fatto per amare e di avere la necessità di un incontro duraturo con l’ altro. • Anche il mondo del lavoro è terreno di sfida relazionale: c’è il bisogno di testimoniare anche in questo campo la nostra appartenenza a Cristo e alla Chiesa.• Altre agenzie educative, al di là della famiglia, a partire quindi dalla scuola, ma anche le parrocchie devono essere impegnate in prima persona nel compito di fare educazione alla relazione, prima ancora che trasmissione di puri contenuti. La relazione deve diventare un valore.• La scuola in particolare è luogo dove la relazione è mezzo e strumento di crescita e condivisione tra fasce di età omogenee e diverse fra di loro.• La scuola, l’università, i mezzi di comunicazione sono luoghi educativi dove la presenza cristiana è necessaria per orientare positivamente, non per condannare.

ANALISI DEL “qui ed ora”

intra-ecclesiale:

➢ Difficoltà relazionali affettive interne alle realtà ecclesiali a partire dalla parrocchia. ➢ L’Eucarestia è vissuta, spesso anche nell’azione liturgica, come partecipazione individuale, restando in ombra l’aspetto corale.➢ Difficoltà di relazioni autentiche fra clero e laici a livello parrocchiale ed ecclesiale in genere.➢ Difficoltà di relazioni di comunione che generino azioni pastorali condivise a livello vicariale e/o diocesano. Da qui la mancanza di progetti organici di formazione all’affettività che vadano oltre la catechesi dei figli in vista dei sacramenti e tocchino reali situazioni di vita ( incluse quelle “irregolari”).

extra-ecclesiale:

➢ Società imperniata a tutti i livelli sulla pedagogia della “facilità”.➢ Cultura sociale che propone modelli imperniati sulla violenza e sulla prevaricazione, con forti spinte all’individualismo (es. il potente, il libertino, il ricco…il campione). La relazione, quindi, ha spesso caratteristiche patologiche di sopraffazione dell’uno sull’altro.➢ Mito dell’uomo che non dipende da nessun altro, oggi addirittura che si auto-genera, che è figlio di se stesso.➢ Difficoltà relazionali di molti giovani e difficoltà dell’adulto ad acquisire “la competenza emotiva” che faccia riconoscere i sentimenti propri e degli altri e faccia acquisire gli strumenti interpretativi della vita affettiva dei nostri giovani.➢ Fattore “tempo” come “mancanza” che condiziona le relazioni, come vuoto da riempire con attività di tutti i tipi.➢ Invadenza dei mezzi di comunicazione.➢ La scuola rischia di respirare il clima culturale generale e diventare luogo di relazioni competitive dove il bullismo e le difficoltà relazionali in genere vengono assimilate.➢ Sfiducia nella stabilità e durevolezza di un patto d’amore o di un rapporto amicale e nell’efficacia educativa delle giovani generazioni da parte degli adulti.➢ La famiglia è vista come soggetto di consumo; ai suoi membri vengono imposti ruoli stereotipati finalizzati alla vendita di prodotti.➢ Aumento dei divorzi, diminuzione dei matrimoni, denatalità, forte competitività del sistema produttivo, ritmi di vita sempre più frenetici, influenzano con il rapporto di causa-effetto le istituzioni e i comportamenti individuali in tema di relazione.➢ Diffusa precarietà reale e percepita, condiziona la qualità e la continuità dei rapporti interpersonali e dei legami intimi.

2. Azioni e/o metodologie per cammini futuri

Creare una Chiesa accogliente, non “seduta” in attesa dei fedeli, ma che riconosca la fondamentale opera evangelizzatrice e sacerdotale dei laici per l’annuncio del Vangelo e dia seguito a questa scelta investendo in formazione e fiducia, con particolare attenzione all’esperienza di laici sposati. Costruire percorsi formativi improntati alla pazienza, che favoriscano il cammino di crescita affettiva con lo stile dell’accompagnamento, nel mettersi in relazione con autenticità, nell’attenzione al mondo interiore ed esteriore, nel riconoscere e superare pregiudizi e visioni mitiche, nel dialogo e nel confronto, nell’attenzione a situazioni di disagio. Dalle risposte concrete ai bisogni, espliciti e impliciti, possono scaturire i punti forti che la Comunità ecclesiale, con rinnovata competenza di tutte le sue componenti, può offrire come prospettive: – attenzione alla formazione degli adulti: coerenti al progetto di vita e testimoni credibili (non basta più solo credenti); – ascolto ed attenzione ai giovani e costruzione di percorsi di maturazione non per loro, ma con loro protagonisti; – ascolto ed attenzione ai problemi reali delle famiglie (qui ed ora). Sostegno e aiuto al ruolo genitoriale nelle diverse fasi della vita del figlio/a. Attenzione in ambito presbiterale a queste tematiche, non nello spirito del contratto prescrittivo, ma in quello dell’accompagnamento. La Comunità ecclesiale deve farsi promotrice dell’educazione alla gratuità degli affetti, alla qualità delle relazioni aiutando a vivere esperienze concrete di autentica amicizia. Valorizzare il patrimonio di esperienze presente nell’associazionismo cattolico per una formazione integrale del laico e per rilanciare una pastorale di ambiente. Ricercare l’unità perchè solo da come ci amiamo ci riconosceranno. La Comunità ecclesiale ha bisogno di uomini e donne pacificati con sé stessi, per divenire pacificatori e testimoni del messaggio di Cristo. Le parrocchie, le associazioni devono divenire “palestre” di una cultura di pace, di collaborazione e di gestione dei conflitti. La parrocchia “Chiesa che vive fra le case” deve diventare spazio di incontro per maturare relazioni profonde, significative, durature. La scelta degli stili di vita diviene prioritaria: per testimoniare la speranza occorre essere aperti, costantemente, al sociale e volti alla gestione dei beni materiali in modo equo e sobrio.  La Chiesa si deve fare chiara nel denunciare gli aspetti di questa cultura di oggi che allontanano l’uomo dalla dimensione divina. Attenzione non generica, ma prioritaria e strutturata, nella vita delle nostre comunità parrocchiali, alla relazione affettiva. Curare i rapporti, prima che farsi erogatori di servizio. Scoprire ed attuare modelli di vita che aiutino ad incarnare il Vangelo nella vita di relazione. La vita di fede si deve esprimere non tanto in contenuti rinnovati, ma in modi di vivere, di annunciare comunicare, seri, coraggiosi che richiedano scelte chiare. La Chiesa è chiamata a fare scelte coraggiose di fronte alle sfide di questo millennio, tali che la sottraggano al ruolo “bloccato” di impositrice di regole negative e le facciano invece trovare nuovi canali di comunicazione e di relazione per l’annuncio di un Vangelo della relazione e non delle regole o dell’esclusione. La Comunità ecclesiale dovrebbe indirizzarsi al bene-essere della famiglia ed alla costruzione di relazioni sane ed autentiche, modellate sull’amore di Cristo. Non limitarsi solamente all’enunciazione delle norme morali. La norma non ha senso se non all’interno di un itinerario esistenziale ed educativo con tutti i suoi alti e bassi. In questa prospettiva sono da sostenere, curare e promuovere:– corsi di formazione all’affettività ed alla sessualità, prevedendo cammini e gruppi che favoriscano la riscoperta dei valori del fidanzamento e della sponsalità; – adeguati ed appropriati percorsi formativi per la preparazione al matrimonio; – gruppi di supporto per le giovani coppie e, più in generale, gruppi di coppie e di famiglie; – iniziative e strutture quali gruppi di sostegno per le coppie e le famiglie in difficoltà. L’impegno deve essere quello di riprogettare la famiglia, senza innalzare solo spettri di possibili distruzioni volute da “altri”. Il vero pericolo è solo l’appiattimento di idea di famiglia che viene dal sistema consumistico dominante e dai luoghi comuni. Ridefinire il ruolo che appare centrale, della famiglia nella catechesi e nell’azione pastorale ad “extra”. Accompagnamento delle giovani coppie. I giovani devono ritrovare nella Chiesa un luogo di attenzione ed ascolto profondo dove sentirsi protagonisti per la costruzione del loro futuro.  Maggiore collaborazione fra genitori, operatori pastorali, insegnanti, educatori in genere, alla scoperta di come i giovani “fanno gruppo”. La Chiesa si deve fare chiara nel denunciare gli aspetti di questa cultura che allontanano l’uomo dalla dimensione divina. Attingere alla preghiera, studiando, a partire dalla formazione, un linguaggio su Cristo adeguato ad ogni contesto della vita sociale e di relazione. 3 – Iniziative in attoDiamo conto di alcune iniziative in atto nella Diocesi, anche se questo aspetto non è stato trattato dalla maggioranza delle Diocesi. + Corsi di educazione all’affettività per i giovani. + Corsi di preparazione al matrimonio, secondo stili e modalità diverse, accompagnano il cammino dei fidanzati al matrimonio. In alcune Diocesi i corsi sono stati istituzionalizzati e vi passano tutte le coppie che arrivano al matrimonio. + In alcune Diocesi si sta lavorando per l’accompagnamento delle giovani coppie, soprattutto attraverso gruppi di spiritualità familiare. + In varie Diocesi stanno nascendo corsi o incontri per coppie che si trovano in situazione irregolare. La pastorale dei separati e dei divorziati sta prendendo campo, anche perché cresce la percentuale dei matrimoni falliti, a cui segue di solito un matrimonio fra divorziati. + Giornate di spiritualità familiare, ritiri spirituali… In alcune Diocesi la partecipazione delle famiglie è piuttosto numerosa e consolante. + Negli ultimi anni sono andati nascendo corsi per le coppie in difficoltà. A questo aspetto provvedono anche i Consultori di ispirazione cristiana, presenti in quasi tutte le Diocesi.+ Corsi per genitori. Il “mestiere” di genitore è certamente difficile, oggi più che in passato, e i genitori rispondono a questi corsi con notevole interesse.+ In alcuni luoghi vi sono forme di collaborazione con gli Enti locali, Comune e Provincia e, qualche Comune ha in programma di iniziare corsi di preparazione al matrimonio civile.+ C’è chi osserva che molte proposte faticano a decollare, perché negli ultimi anni è andata diminuendo la partecipazione ( che caratterizzava i nostri ambienti nel passato ), richiesta da iniziative rivolte all’impegno sociale.

IL LAVORO

Analisi della realtà: elementi di speranza da coltivare, fattori negativi da contrastare

Per comprendere le condizioni sia strutturali, sia contingenti delle realtà lavorative presenti oggi nelle varie aree produttive della Toscana, l’analisi della situazione presente, rintracciabile nelle relazioni inviate dalle Diocesi toscane, parte dalla dimensione globale assunta oggi dall’economia e dalle conseguenti ripercussioni avvenute nei molteplici distretti produttivi della nostra regione. La globalizzazione dell’economia ha determinato una crisi diffusa di gran parte delle aree industriali toscane con forti ripercussioni sulle unità lavorative assunte, con sforzi aziendali tesi a drastici contenimenti dei costi produttivi, con una tendenza non rara a reinvestire gli utili industriali non nell’impresa ma in ambito finanziario o nella speculazione edilizia, con una diffusione della precarizzazione del lavoro, con molte situazioni di sofferenza (crisi di aziende, delocalizzazioni produttive, conseguenti situazioni di ricorso alla mobilità e ad altri ammortizzatori sociali, licenziamenti). Solo pochi settori produttivi reggono o mostrano capacità di invertire la tendenza negativa di questi ultimi anni: attività edilizia, vivaismo, produzione viti-vinicola (ma con cenni di cedimento), aziende metalmeccaniche ad alta capacità di innovazione tecnologica capaci di competere sui mercati internazionali… Tiene complessivamente l’attività artigianale, mentre presentano situazioni “a macchia di leopardo” i servizi e le attività commerciali (grande distribuzione e negozi di vicinato), ma con un’economia turistica in chiara sofferenza ovunque. Alcune Diocesi hanno riflettuto sulla necessità di un rapporto più stretto tra Università, ricerca scientifica e attività produttive; altre hanno posto l’esigenza anche di una formazione scolastica adeguata, della formazione permanente degli adulti e della necessità di predisporre corsi per la riqualificazione continua o straordinaria dei lavoratori. Inserendo questa situazione toscana all’interno di quella italiana si rileva che il nostro paese produce sempre meno quel valore aggiunto capace di generare vera ricchezza, cioè un incremento del PIL nazionale. Non mancano, per contro, lavori che assicurano altissimi guadagni a coloro che si trovano a livelli manageriali o di altissima qualificazione.

Oggi, pertanto, in Toscana ci sono evidenti problemi sul versante del lavoro: quasi tutte le Diocesi lamentano la presenza di aree di disoccupazione (sia giovanile sia di licenziati di età avanzata con difficoltà estreme a riconvertirsi in altri settori lavorativi), di lavoro nero (soprattutto femminile, ma anche da parte di pensionati e di extracomunitari spesso anche clandestini), di troppa precarietà nel lavoro offerto ai giovani (generando conseguenti condizioni di insicurezza e di assenza di prospettive in ordine al futuro personale e familiare, incidendo così fortemente sulle scelte di vita di ciascuno). Dalle relazioni diocesane emerge anche che le comunità ecclesiali locali hanno poca consapevolezza della quantità e della gravità degli incidenti e degli infortuni (talora mortali o invalidanti ) sui luoghi di lavoro, frutto di scarsa attenzione alla sicurezza dei lavoratori. Anche il lavoro femminile delle casalinghe è spesso funestato da incidenti generati da leggerezza o incuria.

Con tutti questi problemi relativi al lavoro e alle condizioni di chi lavora, le Parrocchie delle Diocesi toscane non sembrano avere rapporti costanti di riflessione, di consapevolezza, di esplicita solidarietà. Forse incide la presenza maggioritaria di molti pensionati non più vivamente inseriti nel ciclo produttivo? Anche il lavoro femminile non sempre è sentito come una scelta meritevole di sostegno, di attenzione e di riflessione da parte delle Chiese locali. Questo poi genera una scarsa attenzione anche ai problemi dell’ulteriore lavoro della donna lavoratrice all’interno della famiglia per rispondere alle varie esigenze del nucleo familiare, accettando spesso un perdurante maschilismo. Si riflette così poco anche su tutto quel mondo di lavoratori (più spesso lavoratrici) che oggi operano all’interno di tante famiglie: badanti per gli anziani non autosufficienti, baby-sitter, donne di servizio, tutte spesso “al nero”. Si lamenta infine una non adeguata attenzione delle istituzioni pubbliche nazionali, regionali e locali ad elaborare una moderna ed efficace politica veramente a sostegno della famiglia.

Si afferma l’esigenza di un’azione di divulgazione parrocchiale sia della dottrina sociale della Chiesa, sia della riflessione teologica sul lavoro dell’uomo (il lavoro come continuazione dell’azione creatrice di Dio, il lavoro come benedizione e come maledizione, le novità sul lavoro con Gesù Cristo, ecc.), sulla dignità del lavoro e dell’uomo, sul lavoro che deve essere per l’uomo, sul “progresso” coi suoi limiti, con le sue contraddizioni, con i suoi rischi sulla sostenibilità ecologica di questo tipo di sviluppo.

In questa prospettiva tutti concordano sull’esigenza che il lavoro possa e debba suscitare speranze di autorealizzazione umana in chi esercita l’attività lavorativa, ma anche sull’esigenza che ogni lavoro possa e debba suscitare speranze concrete di risoluzione dei propri problemi in chiunque fruisca di una qualche prestazione lavorativa.

Sempre in questa prospettiva di attenzione al lavoro, a chi lavora e ai sindacati che tutelano i lavoratori, alcune Diocesi hanno raccomandato che anche a livello parrocchiale si prenda coscienza che pure il mondo laicale è poco attento a questo ambito, stimolando ad una comune riflessione con istituzioni, associazioni di categoria e cittadini affinché dagli Enti locali alle Università toscane, alla ricerca scientifica, al mondo della scuola e della formazione professionale, alle cronache giornalistiche e televisive locali si abbia un rapporto più stretto con le attività produttive locali e col mondo del lavoro. Il laico cristiano deve essere attivamente convinto che l’esperienza lavorativa è per lui sempre una testimonianza della propria fede, della propria speranza, della propria carità, perché il luogo del lavoro è anche luogo di evangelizzazione; non solo; ogni laico cristiano, consapevole che c’è integrazione tra evangelizzazione e promozione umana, deve essere convinto del valore del lavoro (a partire dal proprio lavoro, con il senso del dovere a fare un proprio continuo aggiornamento e a migliorare la propria prestazione a servizio degli altri e della comunità), della trasmissione della cultura lavorativa, della dignità di ogni lavoratore.

Esperienze locali significativeIn tutte le Diocesi esistono, di chiara matrice cattolica, cooperative, cooperative sociali ed esperienze del terzo settore senza fini di lucro, che danno risposte concrete di lavoro con particolare attenzione ai soggetti deboli. Occorre però che cresca la consapevolezza che le Parrocchie debbono sentire e sostenere queste istituzioni come uno dei loro impegni primari. Si è anche fatto rilevare che in alcune associazioni di volontariato si vanno talora riducendo le prestazioni totalmente gratuite, diventando talora i volontari quasi dei lavoratori al nero parzialmente remunerati. Bisogna anche verificare su come vivono la propria esperienza lavorativa coloro che dipendono da cooperative o strutture di area cattolica. Proposte ulteriori in ordine alla testimonianza del cristiano e della comunità dei credentiOccorre che la Chiesa italiana e le Chiese locali riflettano maggiormente sul “peccato strutturale” delle condizioni di lavoro in cui si trova la maggior parte dell’umanità nell’attuale mercato globale del lavoro, in ordine sia alla disoccupazione/sotto-occupazione mondiale, sia ai bassi salari (bassi anche relativamente al costo della vita di tali paesi in via di sviluppo), sia alle tutele sindacali e democratiche, sia allo sfruttamento spesso disumano del lavoro minorile e di quello femminile. La Chiesa deve dare voce a questi sfruttati del mercato globale, costituendosi anche come speranza umana per il loro riscatto, promuovendo, attraverso iniziative del laicato cattolico organizzato, il definirsi e l’azione di una sorta di rinnovato sindacalismo internazionale. In questa prospettiva devono trovare incremento le azioni e l’attenzione delle Chiese locali a sostegno degli extracomunitari, spesso clandestini, che vengono in Italia con la speranza di trovare un lavoro più umano e remunerato più giustamente.

In una Diocesi è stata sottolineata l’esigenza che si intervenga come Chiesa locale anche in quello che è stato definito “il lavoro più antico del mondo”: la prostituzione. Il fenomeno, tanto più drammatico e disumano per la sua rilevanza anche quantitativa, va studiato e va contrastato,offrendo prospettive di speranza sia per le ragazze (spesso extracomunitarie schiavizzate) che vivono nella prostituzione, sia per tutti coloro che ne subiscono le conseguenze (disgregazione delle famiglie). Già esistono strutture di prima e seconda accoglienza e di reinserimento, ma con questi centri di esperienza occorre che le Chiese locali entrino in più stretto rapporto di collaborazione.

In qualche Diocesi si è posta l’esigenza di rilanciare la responsabilità sociale dell’impresa, promuovendo la redazione dei “Bilanci sociali”, capaci di far emergere la dimensione sociale dell’azienda e del lavoro che in essa si svolge. Le politiche aziendali dovrebbero anche essere stimolate ad essere capaci di meglio supportare le esigenze delle famiglie dei propri dipendenti.

LA FESTA

Analisi della realtàLa festa cristianamente intesa è in crisi. Consumismo, individualismo ed edonismo rendono spesso invivibile anche la festa, priva di ogni riferimento cristiano. Anche la domenica vissuta nelle nostre Parrocchie è più spesso sentita come precetto, che come Pasqua settimanale incentrata sull’Eucaristia e quindi come momento di gioia e di apertura alla comunità. Le frustrazioni di un lavoro settimanale non a misura umana, il lavoro femminile che costringe molte madri ad utilizzare la domenica per provvedere alla varie necessità familiari, l’impegno a seguire i figli nelle loro fin troppo assorbenti attività sportive, il generico “tifo sportivo”, spesso rendono negativa l’esperienza della festa. Su queste negatività le Chiese locali riflettono poco e quindi non sanno dare risposte alternative adeguate. Spesso poi chi lavora nel turismo e nel commercio (ma anche in vari altri settori lavorativi) deve rispettare turni di lavoro domenicale. Consapevoli che “il sabato è per l’uomo”, che in molti settori non si può non lavorare anche di domenica e che la multiculturalità degli extracomunitari sta introducendo l’esperienza della “mobilità della festa”, tutte le Diocesi concordano sul fatto che occorre difendere il valore anche umano della festa settimanale, dialogando coi sindacati dei lavoratori e con le istituzioni locali, mirando almeno a turni lavorativi che tutelino per tutti, credenti e non credenti, la possibilità di vivere la festa con la famiglia, con se stessi, con la comunità di cui si fa parte. Esperienze locali significativeQualche Diocesi lamenta che ad aggravare la crisi della domenica c’è la scarsità (e l’anzianità) di sacerdoti che riduce il numero delle Messe, altre Diocesi propongono un recupero delle domenica in Parrocchia riducendo il numero delle celebrazioni liturgiche; tutte puntano a liturgie più gioiose, più comunitarie, più accoglienti, più capaci di aprirsi alla collettività locale e al mondo. Esperienze come la Fondazione dell’Istituto del Dramma popolare di S. Miniato o l’evento delle Piazze di Maggio” nella Diocesi di Arezzo o gli incontri regolari con istituzioni pubbliche e associazioni locali già sperimentati da alcune Diocesi per confrontarsi sui problemi delle feste, del lavoro, dell’inserimento culturale coi gruppi degli extracomunitari offrono concrete proposte per tutte le Diocesi toscane su come far vivere esperienze di incontro con le culture e le religioni diverse dalla nostra. Proposte ulterioriOccorre che nelle Diocesi si prenda coscienza che molti lavoratori, oggi, hanno acquisito il diritto a due giorni di festa uniti (il week-end). Tutti i credenti, ma soprattutto coloro che sono di turno lavorativo di domenica, occorre che acquisiscano la consapevolezza che esiste comunque l’obbligo di santificare la festa nel luogo di lavoro e con tutti coloro con cui il cristiano entra in contatto lavorando. Occorre ripensare quale rapporto debbono avere le Chiese locali con tutto il complesso mondo dello sport. “Innanzitutto bisogna decidere di ripartire dagli “ultimi”, che sono il segno drammatico della crisi attuale. Con gli “ultimi” e con gli emarginati potremo tutti recuperare un genere diverso di vita.Il Paese non crescerà, se non insieme. Ha bisogno di ritrovare il senso autentico dello Stato, della casa comune, del progetto per il futuro.”( C.E.I., La Chiesa italiana e le prospettive del Paese, 1981, nn. 4,8 ) 1. Riflessioni di ordine generale• La fragilità umana, nei suoi molteplici aspetti di esperienza del limite, è consona al nostro essere creature umane e ciascuno ne fa esperienza nella propria quotidianità per tutta la vita.• La consapevolezza delle proprie fragilità aiuta l’essere umano a vivere bene le relazioni.• Siamo chiamati a vivere nella fragilità, non la si può eliminare dalla vita: la si può solo accettare o rifiutare, vivere da soli o condividere con gli altri.• La condivisione della fragilità apre lo spazio alla Speranza: urgenza di coniugare nuovamente Speranza teologale e speranze comuni.• Le principali espressioni della fragilità esistenziale umana: la malattia, la morte, la vecchiaia, l’handicap.• Le fragilità relazionali e motivazionali: deprivazione relazionale (abbandono, indifferenza, solitudini…), difficili situazioni familiari (separazioni e divorzi) e professionali (disoccupazione e precarietà), perdita di orientamento e senso (droga, alcool, dipendenze da gioco d’azzardo e consumismo sfrenato).• Le mancate risposte ai bisogni primari: cibo, vestiario, casa, salute, lavoro, studio…• La ‘fragilità spirituale’: diffuse e moderne forme di fragilità affettiva (depressione, ansia…), fragilità educativa e valoriale, inquietudine e incertezza.

2. Analisi del “qui e ora”

In ambito ecclesiale:• Ripiegamento delle comunità su se stesse: fatica di aprirsi e rischio di isolamento.• Povertà di relazioni profonde e gratuite.• Il ‘rischio della delega’ al volontariato sul versante delle fragilità: dannosa separazione fra ‘specialisti’ della carità e cristiani che ‘non hanno tempo’, voglia, sensibilità.• Insufficiente formazione nell’ambito del volontariato cristiano.• Scarsa valorizzazione dei giovani e degli anziani come soggetti della vita comunitaria.• Una certa indifferenza per le ‘vicende dell’umanità’, per le ingiustizie e fragilità della vita comune sia a livello locale che planetario. In ambito civile:• Il prevalere della logica dello scambio strumentale e della convenienza: fine della gratuità?• La mentalità tecnologica ed efficientista, che domina la nostra società occidentale, crea ed esaspera le condizioni di fragilità personale e sociale.• Collaborazione scarsa fra pubblico e istituzioni religiose.• Esigenza di maggiore competenza, formazione e creatività da parte del volontariato. La Toscana e le nuove fragilità:• La nuova fragilità dell’identità culturale: flussi migratori, vocazione della Toscana all’armonia dei diversi, difficoltà di coniugare uguaglianza ed esercizio condiviso della cittadinanza, nuovi modelli culturali e interculturali.• Le nuove fragilità lavorative e professionali: le attese e il disagio delle nuove generazioni, la Toscana dal modello agricolo a quello industriale, nuove recenti precarietà soprattutto nel lavoro, insufficienza dell’istruzione e della formazione professionale, precarietà di riconoscimento dei diritti dei lavoratori (sicurezza, stabilità…).• La nuova fragilità comunitaria: a partire dalla famiglia, tensioni sociali scaricate sulla comunità familiare: la questione abitativa e sanitaria, la nuova senescenza, l’assistenza alla maternità e paternità. Fragilità dei luoghi educativi: la scuola e la parrocchia, crocevia spesso disarticolati. La perdita dei tessuti urbani e dell’armonia delle nostre città si riflettono in fragilità della vita sociale e familiare.• La nuova fragilità istituzionale: la fragilità della vita democratica e delle sue istituzioni, la necessità della difesa e di un ripensamento delle istituzioni dello ‘stato sociale’ per una moderna tutela dei diritti fondamentali, urgenza di rimettere a tema il valore di una rinnovata partecipazione alla vita comune da parte dei cittadini. Il necessario superamento delle ‘vie brevi’ del movimentismo e del fragile presidenzialismo decisionista.

3. Atteggiamenti da promuovere e sviluppare

Nella comunità ecclesiale:• Educare al discernimento comunitario sulle diffuse fragilità: vedere-valutare-agire.• Professionalità e competenza: due obiettivi primari.• Promuovere la persona in situazione di particolare fragilità quale soggetto di testimonianza.• Promuovere gesti e stili di gratuità, giustizia, amore: la qualità della testimonianza ecclesiale.• Rinnovare la nostra capacità di annuncio della ‘Speranza cristiana’ nel mistero della sofferenza e della morte. Nella comunità degli uomini:• Riconoscere e promuovere la piena dignità e il valore di ogni persona, esprimendo particolare attenzione specialmente nei confronti dei più ‘fragili’, nella chiesa e nella società.• Giustizia, solidarietà e legalità quali condizioni di un rinnovato patto sociale per il superamento delle disugualianze.• Orientare l’opinione pubblica verso una cultura ‘a misura d’uomo’, che promuova l’ascolto, il dialogo e la relazione e presti particolare attenzione ad ogni debolezza personale e strutturale.

4. Azioni e metodologie proposte

Nella comunità ecclesiale:• Valorizzazione e qualificazione delle realtà associative – formative, culturali, assistenziali e di volontariato – operanti in ambito ecclesiale e civile.• Le Caritas parrocchiali: dal modello operativo-assistenziale all’intervento organico di animazione nei confronti di tutta la comunità.• Qualificare la formazione ordinaria anche come attenzione alle fragilità personali e sociali.• Promuovere il risveglio e la crescita di una fede adulta, capace di unire contemplazione e impegno secolare.• Rinnovare la proposta di itinerari formativi e associativi per giovani e adulti, che promuovano l’esercizio della duplice cittadinanza del cristiano.• Formazione ad una matura laicità capace di farsi carico delle situazioni ordinarie: gioie, speranze, tristezze e angosce, povertà.• Favorire il dialogo sistematico con le Istituzioni civili. Nella comunità degli uomini:• Promuovere occasioni di confronto e collaborazioni fra associazioni culturali e di volontariato.• Percorsi formativi per volontari e per le associazioni di volontariato.• Collaborazione fra Enti pubblici e Istituzioni religiose in ordine alla promozione delle persone in condizioni di particolare fragilità.• Attenzione alla condizione femminile e alle nuove forme di povertà ed emarginazione della donna. 1. Esercizio del trasmettere oggi e le sue difficoltàL’esercizio del trasmettere è oggi particolarmente difficile a causa della complessità di un mondo dove l’informazione e la comunicazione sono così pervasivi e invadenti da diventare sorgente di confusione invece che occasione di formazione e crescita per scelte di vita profonde, responsabili e durature nel tempo. Questo paradosso della comunicazione si sperimenta oggi a tutti i livelli, da quello familiare, a quelli dell’evangelizzazione e della catechesi, per finire a quelli scolastico e culturale.

Attualmente ci troviamo di fronte ad oggettive difficoltà di trasmissione dei contenuti e dei valori religiosi a causa di una situazione di disorientamento, confusione di valori e di riferimenti umani e culturali. Dobbiamo prendere atto che l’Italia non è più cattolica, anche se lo è ancora in misura maggiore rispetto agli altri paesi europei. Ciò non toglie che la Chiesa cattolica, a parte le solite frange radicali e anticlericali, goda di stima presso ampi settori della società e si avverta di nuovo l’esigenza del sacro, specie fra i giovani. Il problema è pastorale e politico al tempo stesso: riguarda la formazione dei cristiani, la capacità di testimoniare la loro scelta di vita e di impegnarsi per l’evangelizzazione.

Un interrogativo che può sembrare provocatorio è: che cosa trasmettere? Bisogna evitare di percorrere le strade delle ideologie oppure attardarsi su posizioni superate e nostalgiche, sapendo fare veramente memoria del nostro passato e dei nostri valori per aprirsi al mondo di oggi e ai bisogni dell’uomo e della donna contemporanei.

La vera domanda è allora: chi trasmettere? La tradizione si fa credibile nella misura in cui fa sintesi tra fede e vita, e risponde alle speranze dell’uomo di oggi con “la” speranza che è Gesù Cristo. Dobbiamo sempre rifarci a quell’alba del primo giorno dopo il sabato di circa duemila anni fa, per rendere ragione al disorientamento, all’incertezza, alla stanchezza, allo smarrimento ed alla disperazione di chi cerca una risposta di speranza.

Dobbiamo quindi essere capaci di vivere un’esperienza cristiana più vera e più intensa, per condividere la verità e bellezza del cammino credente, che è “Cristo in noi speranza della gloria”.

2. Trasmissione della fede e cultura

La complessità del contesto culturale in cui ci muoviamo richiede da un lato un’adesione convinta a Cristo e una fede solida, dall’altro un impegno dell’intelligenza per operare un vero e proprio discernimento evangelico della cultura e delle culture, che incida sul tessuto sociale attraverso l’ambito familiare, scolastico e culturale in senso lato.Dobbiamo confrontarci con la cultura di oggi che è sempre in movimento. La crescita culturale è un problema che deve essere oggetto di riflessione nella Chiesa e tradursi nel concreto della vita dei cristiani.

Oltre alla valorizzazione e individuazione degli eventi culturali come veicolo di crescita per le comunità, sarebbe importante creare opinioni all’interno della comunità ecclesiale, in modo da favorire la formazione di un pensiero critico e di una capacità di discernimento, fondamentali per la maturazione personale e per la testimonianza cristiana.

Occorre una formazione permanente, che non si fermi alla catechesi dell’iniziazione cristiana, perché la fede deve essere alimentata, così come deve essere sviluppato e accresciuto il rapporto con il Signore e con i fratelli.

Pensare la formazione nasce dalla consapevolezza che questo è un tempo in cui né le abitudini, né le tradizioni, né il contesto sociale possono sostenere il cammino della vita cristiana. Gli operatori pastorali, come i cristiani in genere, vengono a mancare di un solido, integrale, continuativo processo formativo.

Si avverte con urgenza oramai la necessità di una nuova coniugazione fra la speranza teologica e le speranza comune. Vi è dunque la necessità di un discernimento culturale, non deducibile dalle sole categorie antropologiche ma soprattutto dallo Spirito Santo.

3. Stile della trasmissione: dialogo, fiducia, comunione

Testimoniare la resurrezione, come fondamento e termine ultimo della speranza, significa riattivare quella capacità di confronto alto che da sempre è stato proprio della tradizione cristiana.

Oggi abbiamo bisogno di interrogarci come Chiesa per individuare gesti e linguaggi espressivi che annuncino in modo chiaro e diretto la speranza della vita eterna nel quotidiano delle esperienze umane.

Il cristianesimo non pretende di risolvere una volta per tutte i problemi di questo mondo, ma testimonia la propria speranza nella resurrezione proponendo un cammino di liberazione e offrendolo, come opera di carità fondamentale, in progetti di assistenza e di educazione.

La prima prospettiva da tenere presente riguarda l’attenzione al dialogo e in particolare con gli uomini di questo tempo. Un’esperienza che dovrebbe trovare maggiore spazio nella comunicazione fra generazioni è quella della gioia che viene da Gesù risorto: bisognerebbe tramandare affetto ed esperienze vissute, da cui emerga la gioia di vivere propria della comunità cristiana.

Il secondo atteggiamento di fondo è la consapevolezza della presenza di Cristo in ogni uomo e donna., chiunque essi siano. Educare significherà allora guardare sempre con fiducia all’altro, senza paure, convinti che Cristo troverà la via per nascere in ognuno grazie alla comunione feconda degli spiriti.

Occorre uno stile ecclesiale ispirato alla comunione, perché questa è segno visibile di Cristo vivente nella Chiesa. Comunione come capacità di amare, di integrarsi tra carismi e ministeri diversi, tra gruppi e movimenti. Comunione come capacità di ritrovarsi tutti nell’unica eucaristia, che nutre la Chiesa e fa interrogare il mondo.Una comunione nella diversità, forti della nostra identità, ancorati profondamente in Dio, perché solo il confronto con la diversità cristiana forte, sicura, mite e umile, permette ai semi fecondi del Verbo presenti in ogni uomo di maturare. 4. Educazione e scuola La Chiesa come comunità missionaria si deve aprire al dialogo con il mondo, ma al tempo stesso non può rinunciare al proprio modello educativo e non può prescindere da proporre a tutti i valori cristiani dove l’uomo è veramente al centro di ogni preoccupazione.

Quali giovani e quali uomini sta educando la scuola oggi?

Dobbiamo discutere dell’attuale modello educativo italiano e ci sembra che come cristiani dovremmo farci più presenti con una proposta significativa, soprattutto per quanto riguarda le scelte degli insegnanti e degli educatori.

E’ anche un problema politico in senso generale, in quanto si rende necessaria una riflessione complessiva sull’educazione da parte delle istituzioni, della scuola e dei mezzi di informazione pubblici e privati.

L’esperienza della scuola cattolica, in alcune Diocesi particolarmente vivace, viene ritenuta un bene da valorizzare e consolidare.

5. Iniziazione cristiana e catechesi Il “luogo” fondamentale dell’annuncio evangelico è fare l’esperienza di Cristo. E’ ad essa che ogni strategia pastorale deve puntare; è l’esperienza dell’essere amati da Cristo risorto in maniera unica e speciale che deve costituire l’obiettivo privilegiato della testimonianza evangelica. È a partire da essa, e nel riviverla, che la fede matura e si sviluppa la responsabilità missionaria. In questo senso le comunità cristiane devono aiutare tutti gli adulti a sviluppare la capacità di fare i conti con le domande, i dubbi e le fatiche della vita.

La fede, per essere comunicabile richiede da parte di chi la trasmette, fatica intellettuale, ricerca di pensieri, di categorie culturali, di parole… impara a guardare dentro le proprie sicurezze, smonta le certezze non guadagnate nella sincerità di un’adesione vera, le ridice per chiunque sta attorno con il suo linguaggio e le rende sperimentabili in relazioni di comunione e solidarietà esistenziale.

La catechesi, che è permanente, deve comunque avere le sue diversificazioni. Il cammino di catechesi dell’iniziazione cristiana, deve terminare verso i 12 anni. Quello dell’adolescenza deve concludersi per dare spazio alla formazione giovanile, e così via fino alla catechesi degli adulti. Non si possono prolungare le tappe, pensando che più tardi vengono amministrati i sacramenti dell’iniziazione cristiana, più tardi c’è l’abbandono; non è questione di allungare, ma di dare annunci pieni di significato, soprattutto di inserire nella vita della Comunità cristiana.

Si annuncia in Parrocchia, ma ad essa si deve affiancare l’annuncio nei luoghi di lavoro, nella Scuola, nella politica, tra la gente. Urge una formazione adeguata e una testimonianza credibile per ogni settore sopra elencato.Tra i mezzi della trasmissione della fede vanno saggiamente usati tutti gli strumenti, dalle comunicazioni di massa al linguaggio dell’arte, della musica, del cinema, perché oggi i linguaggi verbali non sono l’unico modo con cui si trasmette il sapere e quindi anche la fede.

In ambito pastorale occorre risolvere il problema della Cresima e dell’iniziazione cristiana dei ragazzi che così com’è serve a ben poco. Alcuni propongono di sperimentare un nuovo itinerario, che poi è tornare all’antico, che prevede in sequenza: Battesimo, Confermazione, Confessione, Eucaristia.

Vengono proposti anche incontri di catechesi parallele: genitori con i loro animatori e bambini con il loro catechista; preparazione specifica dei genitori catechisti per renderli atti a svolgere la catechesi ai figli anche, in alcuni casi, riunendo più famiglie assieme. Comunque coinvolgere le famiglie nella catechesi dei ragazzi sembra un’opzione condivisa.

6. Comunicazione e mass media Una particolare sottolineatura meritano i mezzi concreti di trasmissione dei valori e della cultura, vale a dire i mass media in genere, ricordando che i mezzi messi oggi a disposizione dalla società non sono da scartare a priori, ma validi ed efficaci per raggiungere ogni tipo di ascoltatore, in modo particolare i giovani.

Quello che più conta non è il tipo di mezzo, ma il modo in cui viene utilizzato, vale a dire che, se adoperato in modo corretto, anche lo strumento più moderno può servire a diffondere messaggi di speranza e di salvezza. In questo senso si tratta di distinguere tra messaggio e linguaggio: non si tratta di adattare il contenuto, ma di variare la metodologia anche in base alla persona o al gruppo di persone che si hanno di fronte, avvalendosi delle scienze umane e dell’ampio ambito culturale della nostra tradizione.

Essere testimoni comporta essere “capaci” di comunicazione. E’ necessaria una conversione missionaria delle chiese locali anche in ordine alla comunicazione, a partire dall’uso della stampa per arrivare alla radio-televisione e infine ad internet, vera agorà moderna, frequentato soprattutto dai giovani. Accanto a realtà estremamente significative, sembra di poter dire che le nostre comunità sono ancora poco sensibili a queste problematiche oppure le danno per scontate.

Alla luce di tutto questo, occorre sicuramente un adeguamento ed un rinnovamento del nostro linguaggio, anche teologico, per comunicare in modo efficace la nostra testimonianza nel terzo millennio.

“Auspichiamo che la riflessione sulla cittadinanza promossa in modo singolare nella nostra Diocesi costituisca un richiamo alla conversione missionaria e caritativa di ciascun credente. Le nostre comunità si riscoprano chiamate a praticare l’accoglienza, elemento di base affinché ogni persona si senta pienamente “cittadina”.Una vita di Chiesa come “amicizia affidabile”, nella quale il ruolo dei laici sia pienamente valorizzato. Anche in questo caso è opportuno il richiamo alla necessità di attivare percorsi di ascolto e di preghiera, senza i quali l’invito all’azione nella società rischia di scadere in attivismo senza prospettiva”.(dalla Relazione della Diocesi di Arezzo)

Per quanto riguarda il metodo di lavoro, le iniziative ed i soggetti coinvolti è da rammentare che anche per questo ambito i consigli pastorali diocesani hanno svolto un ruolo di promozione d’intesa con le aggregazioni laicali e gli organismi vicariali od interparrocchiali per una ampia discussione ed approfondimento della Traccia di riflessione predisposta dal comitato preparatorio nazionale.

In alcune Diocesi sono stati, inoltre, organizzati degli specifici convegni e seminari su alcuni temi della “cittadinanza”.

Dall’analisi della realtà è emerso uno scarso interesse per le problematiche inerenti le grandi questioni della comunità internazionale, non solo da un punto di vista economico-finanziario, quali ad esempio la cosiddetta globalizzazione dei mercati, le difficoltà per l’alimentazione, l’approviggionamento idrico, l’inquinamento ambientale, ma anche per gli aspetti politici dovuti alla presenza di conflitti militari più o meno clandestini, nonché alla insufficienza autoritativa delle organizzazioni internazionali.

Ma tale indifferenza viene altresì rilevata anche per la situazione sociale italiana che, in questo periodo, sembra caratterizzarsi per una marcata connotazione individualistica che rischia di portare sempre più verso un assurdo “razionalismo economico”, che mina le basi stesse della civica convivenza; in questo contesto anche la famiglia, cellula fondamentale della società, è insidiata da tali concezioni.

E’ stata, poi, ricordata l’esistenza di situazioni di disagio e di emarginazione, specie per i poveri, gli anziani, gli extracomunitari che sembrano vivere nell’impossibilità di un reale ed effettivo esercizio del diritto di cittadinanza.

La disaffezione per la vita della “res publica” sia cittadina, che nazionale e mondiale è alquanto diffusa pure tra i giovani.

Da queste osservazioni si evincono delle consistenti difficoltà riguardo all’informazione ed alla formazione.

Per quanto concerne l’informazione, che ha assunto un ruolo formidabile, si richiede, al di là di alcune precisazioni legislative a tutela della libertà e della verità, che venga promossa una seria e rigorosa educazione circa il retto uso ed il funzionamento dei mezzi della comunicazione sociale, che sono da considerarsi, comunque, uno straordinario strumento da usare.

Per quanto attiene alla formazione alla “cittadinanza”, cioè alla vita sociale incentrata sulla persona, si richiede che vi si provveda con adeguati itinerari pedagogici, nei modi che si riterranno più opportuni, sia da parte di istituzioni che di associazioni ecclesiali.

In questo contesto formativo un ruolo primario è da riservarsi alla Dottrina sociale della Chiesa, che nonostante la recente pubblicazione del “Compendio”, è tuttora poco conosciuta.

Giorgio La Pira richiamava molto, in special modo ai giovani, la necessaria attenzione al magistero pontificio in particolare alle Encicliche dei Papi, usando la famosa e bella metafora : “Senza capitano non c’è nave”.

In questa opera di formazione dei cristiani ai temi della cittadinanza, è da comprendersi anche la formazione della classe dirigente (con un’educazione prepolitica e pastorale) e la sensibilizzazione dell’intero popolo sui problemi della comunità civile.

È stato osservato che l’impegno politico dei laici, in Italia, da oltre dieci anni è passato dall’unità ad un pluralismo non assestato, questo pluralismo è stato la conseguenza di una serie di eventi esterni, e vi è il rischio di far regredire la presenza autonoma dei cattolici in politica nell’insignificanza.

Si è, inoltre notato, che le divisioni e le lotte politiche degli ultimi tempi si sono ripercosse anche dentro le comunità ecclesiali.

Il pluralismo politico dei cattolici è da considerarsi un bene, ma la libertà non può essere dispersione.

Il cristiano, infatti, ha la coscienza della distinzione – non separazione – delle due cittadinanze: quella della città di Dio e della città dell’uomo in quanto la salvezza umana, non deriva dalla società e dalla politica, ma germina e cresce nel “cuore” delle persone che accolgono il dono di Dio e diventano così benedizione per la terra. Tutto questo avviene quando la Parola incontra l’uomo nella concretezza della sua esistenza, e ciò è dato dal Magistero sociale della Chiesa , che è la più autorevole interpretazione storica dell’annuncio della salvezza.

Tra le testimonianze che la speranza cristiana apporta all’impegno di cittadinanza vi è quella della “Domenica”. Per i credenti in Cristo è, infatti, irrinunciabile il “Giorno del Signore” (Dies dominicus), comunque sia considerato nel mondo e in qualunque condizione culturale, politica, economica e giuridica si trovi la società. Su questa convinzione si basano due impegni della Chiesa: richiamare i fedeli all’osservanza domenicale e ricordare a tutti il significato di questo giorno di festa: giorno affrancato dalle quotidiane preoccupazioni; giorno di riposo e di rinnovate relazioni personali, familiari e sociali; giorno che favorisce il “respiro della vita”, la riflessione e la preghiera.

La domenica cristiana è un valore del quale non si può fare a meno senza rischiare una progressiva disumanizzazione della medesima comunità politica.

E’ ovvio che non si può imporre questa convinzione, ma vi è il dovere di proporre e di operare perché nel mondo occidentale, di matrice cristiana, il valore della domenica sia riconosciuto dalla legge e dal costume.

E’ un auspicio che i cristiani formulano per il “bene comune”, che si traduce in un appello alla coscienza di tutti, un appello che si rivolge anche all’ambiente della politica e della cultura, nella consapevolezza di rendere, tra l’altro, un servizio alla dignità umana ed alla salvaguardia della salute mentale e spirituale della società.

È la parte meno sviluppata anche perché, come è stato sottolineato da più di una Diocesi, si sarebbe ripetuto quanto esposto nella seconda e terza parte. 1. In fase di preparazione al Convegno di Verona, nel cammino diocesano ma soprattutto fra i rappresentanti diocesani, sono emerse alcune preoccupazioni:+ il Convegno di Verona non sia qualcosa di autocelebrativo per le Chiese in Italia, ma un confronto sereno e schietto e nello stesso tempo un’occasione di comunione;+ dopo il lavoro compiuto a livello diocesano e regionale non si arrivi al Convegno con soluzioni già fatte; + un Convegno nazionale non deve contentarsi di piccoli pensieri, ma deve farsi interprete della dimensione profetica che attraversa gran parte della Chiesa e dell’intera umanità.

2. Negli incontri fra i responsabili diocesani è stato auspicato di dare seguito al Convegno di Verona, promuovendo incontri a livello regionale, nelle modalità che potranno essere trovate insieme e, naturalmente, previa approvazione dei Vescovi della regione.

3. Riportiamo l’intervento di una coppia di sposi impegnata nella pastorale della carità, che esprime in sintesi la tensione “missionaria” che ci si augura possa e debba sostenere le nostre Chiese come segno della speranza di cui cristiani nel momento presente debbono dare testimonianza.

“Chiediamo alla Chiesa di impegnarsi concretamente a dare una svolta autenticamente missionaria alla pastorale;di occuparsi principalmente e con impegno costante degli “adulti”: degli uomini e delle donne che sono chiamati a compiere scelte sempre più difficili e complesse;di investire ogni suo sforzo affinché le comunità siano antropologicamente e tecnicamente più competenti, non solo facendo scuole ma proponendo esperienze continuative di riflessione e di partecipazione sui temi che riguardano la vita umana;di impegnarsi nella formazione di presbiteri in grado di affiancarsi realmente alla fatica quotidiana del vivere e del credere;di dare vita a liturgie che lascino entrare le istanze della vita, l’accoglienza, la condivisione, la partecipazione e la gioia dell’autentico con-celebrare”.(dalla Relazione della Diocesi di Livorno)