Vita Chiesa

Una San Giovanni Rotondo in Toscana

DI MARCO LAPI

Anche la Toscana ha il suo piccolo santuario di Padre Pio, quasi una piccola San Giovanni Rotondo. È in Mugello, tra Borgo San Lorenzo e Scarperia, nella casa di riposo San Francesco presso il convento dei Cappuccini di San Carlo. Al centro della grande struttura, in un angolo della cappella, un sarcofago racchiude le spoglie mortali di Padre Massimo da Porretta, qui giunto nel 1917 da Modigliana, dove aveva promosso la nascita di oltre 40 fraternità del Terz’Ordine. Accanto alla tomba, sulla destra, la ricostruzione della sua cella, con una gran croce sull’umile letto e diversi oggetti appartenuti al Beato – e presto Santo – di Pietrelcina, tra cui un saio e i guanti insanguinati che usava per coprirsi le stimmate. In più, diverse foto e diverse lettere ricevute dal frate di San Giovanni Rotondo, ricche di consigli, a testimonianza dell’intenso rapporto spirituale che intercorreva tra i due.

Ma quelli che Padre Massimo chiamava affettuosamente «i cimeli di Padre Pio», e che oggi è più opportuno considerare come reliquie, non sono certo la sola cosa che c’è da vedere qui per chiunque abbia occhi e cuore minimamente aperti. C’è tutta una storia legata a questa figura di frate di cui il Mugello conserva ancor oggi molto più che un grato ricordo. Non era toscano padre Massimo, al secolo Silvio Bragagli, ma quasi: era nato infatti nell’agosto 1873 non proprio a Porretta ma nell’allora frazione, e oggi comune, di Granaglione, piccolo centro situato sulla sponda bolognese del Reno, il fiume che, da Pracchia al Ponte della Venturina, segna il confine tra la nostra regione e l’Emilia. E in questa terra di montagna, povera come poteva esser povera a quei tempi, era nata la sua vocazione che lo avrebbe portato, per tutta la vita, a occuparsi dei più bisognosi. Arrivando anche, per amor loro, ad essere dispensato dal suo stesso voto di povertà per accettare un lascito e poter così realizzare quell’opera che avrebbe preceduto la ben più nota «Casa Sollievo della Sofferenza» costruita dal suo confratello e guida spirituale a San Giovanni Rotondo.

Quando Padre Massimo arrivò a San Carlo, il suo predecessore Padre Alberto aveva già realizzato, dai primi del ‘900, una scuola per garantire l’istruzione ai ragazzi delle famiglie contadine della zona. Era gestita dalle suore e c’era anche una piccola infermeria. Il frate di Granaglione raccolse l’eredità del suo predecessore e ne proseguì l’opera realizzando, oltre alla casa di riposo San Francesco, il pensionato Santa Chiara e il grande Cenacolo francescano per le riunioni del Terz’Ordine, che, sotto la sua assistenza, arrivò nel 1935 in Mugello alla bella cifra di oltre cinquemila iscritti divisi in circa 30 o 40 congregazioni. Contadini e «padroni», operai e dottori uniti insieme nel nome di San Francesco e insieme impegnati a seguirne l’esempio nonché a dare il proprio contributo per la realizzazione di quelle grandi opere sociali. E fu proprio attraverso il Terz’Ordine che si concretizzò ancor più il legame tra il Mugello e San Giovanni Rotondo: borghigiano era infatti il dottor Guglielmo Sanguinetti, agnostico dichiarato, che raggiunse San Giovanni Rotondo subito dopo la guerra al seguito della moglie Emilia, terziaria, e, contro ogni sua previsione, vi rimase per aiutare il frate di Pietrelcina a realizzare la Casa Sollievo della Sofferenza e per lavorarvi come medico fino al 1954, anno della morte, com’è stato ben tratteggiato nel recente sceneggiato tv con Michele Placido. E borghigiana era la professoressa Elena Bandini, dirigente amministrativa a San Carlo che nel 1936 decise di raggiungere Padre Pio per rimanere presso il convento sul Gargano fino alla scomparsa, avvenuta nel 1955, prestando servizio tra l’altro come organista e direttrice del coro. E fu proprio per ringraziare Padre Massimo del «dono» di Elena che il futuro santo gli fece avere i suoi guanti, mentre a lei donò il saio, giunto nel 1998 nella casa di riposo mugellana dopo che le nipoti Angela ed Elena lo avevano donato in un primo tempo al convento fiorentino di Montughi.

Un legame profondo, dunque, a testimonianza dell’amicizia feconda tra Padre Pio e Padre Massimo, quest’ultimo più anziano del primo ma a lui filialmente devoto dal punto di vista spirituale, tanto da permettersi, assieme all’intero Terz’Ordine, un gesto che all’epoca poteva apparire quantomeno irriverente. Nella pergamena murata all’interno della prima pietra del Cenacolo francescano poi realizzato sul colle di San Carlo, infatti, il nome di Padre Pio è citato, tra i viventi da ricordare, prima di tutti gli altri, compresi il papa, l’arcivescovo e il re.

Oggi, a 33 anni dalla morte di Padre Massimo (morì infatti a San Carlo novantaseienne, vecchissimo tra i suoi vecchi, nel luglio del 1969), il Terz’Ordine guidato dal ministro Giorgio Giovannini continua a gestire le sue opere, esattamente come lui fin dall’inizio aveva voluto. Accanto alla casa di riposo – più volte ampliata e ristrutturata – che accoglie circa 115 anziani non autosufficienti e dove lavorano oltre cento dipendenti c’è la struttura per una decina di autosufficienti (il già citato pensionato Santa Chiara), quella per una quindicina di handicappati gravi o gravissimi («Santa Elisabetta») e due case di accoglienza, una per minori con disagi socio-familiari («Il Gabbiano») e l’altra per la sistemazione temporanea di nuclei familiari immigrati («Madre dei Semplici»). Ma tra tanti impegni, si sta facendo strada l’idea di risistemare gli archivi della Fraternità e soprattutto la parte del carteggio tra i due frati qui presente, auspicando che quanto prima sia possibile consultare anche le lettere spedite da Padre Massimo a San Giovanni Rotondo e là tuttora conservate. Che poi questo possa portare all’apertura di «un doveroso processo di beatificazione», come Giovannini l’ha definito, anche per il cappuccino di Granaglione, è speranza di tutti. Anche se per la gente del Mugello Padre Massimo, al pari di Padre Pio, è già un santo e tale, nella memoria comune, è destinato a restare.

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