Vita Chiesa

Vescovi calabresi: stop ai tentativi di infiltrazione della ‘ndrangheta

Chi è condannato non può essere testimone durante il matrimonio, né può essere padrino o madrina di battesimo e cresima; le esequie dei condannati per mafia devono avvenire in forma semplice e non pomposa; per le feste popolari bisogna costituire una commissione a livello diocesano. Sono alcune delle decisioni prese dai vescovi calabresi e confluite nel documento «Per una nuova evangelizzazione della pietà popolare», un Direttorio pubblicato oggi dalla Conferenza episcopale calabra (Cec) contenente – come recita il sottotitolo – alcuni «orientamenti pastorali per le Chiese di Calabria». Al centro della preoccupazione dei vescovi, la pietà popolare e il rischio, evidentemente latente, che nel suo esercizio ci siano infiltrazioni di persone affiliate a clan mafiosi. Il direttorio, peraltro annunciato nella nota pastorale «Testimoniare la verità del Vangelo» dello scorso 25 dicembre, risponde a un’esigenza assai sentita dalla Chiesa calabrese. Diverse le indicazioni pratiche inserite e rivolte alle diocesi (in Calabria sono 12) e alle singole parrocchie.

Il tesoro della tradizione. Ma i vescovi non hanno inteso tradire l’identità e la tradizione dei territori. Così hanno dedicato il primo capitolo del Direttorio a dare ragione dell’importanza della tradizione popolare e delle pratiche religiose, dappertutto diffuse nella penisola calabrese. La pietà popolare, allora, «costituisce un vero tesoro», ma «va incanalata dal Vangelo di Cristo» e «tenuta al riparo da eventuali usi impropri e illeciti, o addirittura immorali e peccaminosi». Un’esigenza che la Cec collega direttamente al bisogno di «nuova evangelizzazione», di cui la pietà popolare è «punto di partenza, una forza», «con nuovo ardore, nuovi metodi, nuovo entusiasmo».

Le indicazioni Cec. Si parte dai sacramenti. «A persone condannate dal competente organo giudiziario dello Stato con sentenza definitiva per reati di ‘ndrangheta e simili, o che risultino affiliate, o comunque contigue, ad associazioni ‘ndranghetiste e, con il loro operato o connivenza, siano strumenti per la loro affermazione sul territorio – scrivono i vescovi – non va rilasciato dalle autorità ecclesiastiche il permesso di fungere da padrino o madrina nelle celebrazioni dei sacramenti dell’Iniziazione cristiana, e da testimoni nel sacramento del Matrimonio». La Chiesa calabrese pone in evidenza il ruolo pubblico, ecclesiale, dei testimoni e dei padrini. Riguardo alle esequie di persone condannate per reati di mafia, invece, i vescovi scrivono che «se non c’è stato un loro precedente espresso rifiuto della celebrazione religiosa, la Chiesa concede anche ad essi il conforto delle esequie religiose». Con una precisazione: che esse siano celebrate «in forma semplice, senza segni di pomposità, di fiori, canti, musiche e commemorazioni». Un messaggio quanto mai attuale dopo le polemiche per i funerali di Vittorio Casamonica a Roma.

Feste popolari. Ad attirare le cronache nazionali nel luglio 2014 era stato il presunto inchino fatto fare al simulacro della Madonna delle Grazie a un boss nella diocesi di Oppido. C’era stato poi l’intervento forte di Papa Francesco a Cassano (21 giugno 2014) che aveva rafforzato un impegno che comunque la Chiesa calabrese porta avanti da oltre 40 anni. A proposito dell’organizzazione delle feste popolari, il Direttorio dispone che «il Comitato per la festa viene rinnovato annualmente dal parroco con l’assenso del Consiglio pastorale, e ne possono far parte esclusivamente fedeli del territorio parrocchiale, stimati per l’ordinaria condotta di vita di fede, sempre attivi nella collaborazione pastorale (e non soltanto in coincidenza con la festa), mentre devono restarne del tutto esclusi i soggetti con problemi penali, civili, tributari e amministrativi e che siano stati dichiarati colpevoli da sentenze passate in giudicato». La Chiesa calabrese lascia aperta la porta alla conversione, ma rivendica le istanze di verità e giustizia già espresse nei mesi scorsi e dallo stesso monsignor Nunnari nell’incontro con la Commissione antimafia dello scorso 22 giugno. Oggi i vescovi chiedono che «presso le Curie diocesane si costituisca un’apposita Commissione, il cui compito è di esaminare preventivamente i programmi che i parroci debbono presentare almeno un mese prima»; «che le statue del Cristo, della Vergine o dei Santi, anche nei momenti di sosta, non devono mai guardare case, persone, edifici, con eccezione di ospedali e case di cura con degenti parrocchiani». Vietate anche la raccolta delle offerte e, fra le altre cose, i fuochi d’artificio e le immagini coreografiche.

Puntare sulla formazione. Accanto a questo, però, «occorre formare e catechizzare le coscienze, specialmente di coloro che organizzano, coordinano e mantengono viva la devozione popolare nelle processioni e feste». Ma le norme indicate dal documento non finiscono qui. Vanno dall’«attivare, consolidare un piano di formazione sistematica per il clero, i seminaristi, le persone di vita consacrata operanti sul territorio» alla costituzione di «uno «sportello di advocacy», «forte della presenza di professionisti volontari, nel quale indirizzare le segnalazioni e le denunce a violazioni dei diritti, illegalità, soprusi, estorsioni». L’invito, poi, è per le parrocchie, perché venga incentivato «il dibattito culturale sui temi della socialità, della giustizia, dell’impegno civile e della partecipazione, coinvolgendo tutte le componenti della comunità ecclesiale». I vescovi chiedono ai sacerdoti calabresi di «assumere sino in fondo la responsabilità dei bambini, dei ragazzi e dei giovani che passano dalle parrocchie e dai gruppi, pensando ad una pastorale realmente nuova, capace di coniugare conoscenze, testimonianze ed esperienze». E ancora: «prevedere e progettare idonei percorsi formativi sul tema dell’educare in contesti mafiosi, utilizzando sussidi specifici affinché i piccoli e i giovani siano aiutati a percepire la gravità del fenomeno»; dotare la parrocchia, singolarmente o in collaborazione con altre vicine, di un Oratorio o di un Centro di aggregazione sociale per i piccoli e i giovani, utilizzando anche beni confiscati alla ‘ndrangheta». La Chiesa calabrese è in cammino. Occorrerà tempo.