Arte & Mostre

Certaldo: «Suggerimenti dal Decameron», una mostra da ascoltare

Una mostra (a ingresso libero) insolita perchè «da ascoltare» oltre che da vedere. Percorrendo le sale del Palazzo ci si siede e si ascoltano, quando diffuse nell’aria quando con delle cuffie, sette brevi storie, una per ogni stanza. Storie all’apparenza semplici, ma con un sottofondo inquietante: come «L’attrezzo totale» che ricorda l’eterna attitudine dell’uomo a farsi gregge e a farsi ingannare dal venditore di felicità di turno, come Frate Cipolla boccaccesco. Altre parlano di aiuti umanitari e guerra, di fraintendimenti, di schiavitù. Al centro della stanza installazioni che ricordano tavole imbandite, ma solo all’apparenza: in tavola ci sono infatti teschi e terra, oppure computer e componenti elettronici. Anche quelle all’apparenza normali non lo sono: la tavola contemporanea è in realtà una sequenza di tanti tavolini asettici e individuali, rivolti al muro; una socialità posticcia e apparente; quella «Senza titolo» pare normale ma è obliqua, sta per franare rovinosamente a terra o verso “la terra” che sta ai piedi, prefigurando una fine dei tempi che sia anche rigenerazione. Un video, da guardare attraverso uno specchio che riflette anche chi lo guarda, chiude il cerchio.

«L’uomo a un certo punto ha cominciato a parlare e da quel momento non ha più smesso. Ciò è impressionante – spiega tra il serio e il faceto Enzo Fileno Carabba, autore delle nuove novelle e di romanzi che sono stati pubblicati fra l’altro da Einaudi e da Mondadori – e la grandissima varietà delle situazioni immortalate dal Boccaccio nel Decameron disegna, oltre il comune senso del boccaccesco, il ritratto profondo di un’epoca. Quindi ci siamo detti: perchè non sentire e raccontare vicende di oggi, prese, all’apparenzza, qua e là? Magari viene fuori il ritratto di un’epoca».

E oltre ai racconti, le tavole imbandite: «La nostra è un’epoca di cuochi, anzi chef: in televisione, ovunque, anche dentro di noi – prosegue Carabba – un famoso filosofo disse che l’uomo è ciò che mangia. E’ anche vero che mangia quel che è. Per cui questa installazione letteraria intende rappresentare un banchetto precario, l’ultima cena dell’umanità». «Il racconto è condivisione – gli fa eco Carlo Romiti – ci sono spazi pieni e vuoti che scandiscono il tempo. La tavola concretizza visivamente la condivisione, il convivio, nel quale tra un boccone e un sorso si gettano sguardi, si scambia la voce e il sorriso. Sul “tavolo” ci finiscono tante cose, tante quante l’uomo ne attraversa, se ne ciba, se ne compiace, ne fa degli idoli, si lambicca e gioca. Anche i dieci novellatori del Decameron erano allo stesso desco tutti i giorni. E ogni epoca, verrebbe di dire, ha la tavola che si merita».