Arte & Mostre

Scoperta la stanza dove Michelangelo disegnò la guerra tra Firenze e Pisa

di Divo SavelliIl 18 luglio 1364, a Cascina, vicino a Pisa, si svolse la battaglia dei fiorentini contro i pisani. L’esito fu favorevole a Firenze. La storia della battaglia annovera un fatto che potrebbe apparire secondario ma che fu invece importante per l’esercito fiorentino e cioè l’allarme che Manno Donati dette ai soldati che si rinfrescavano (era di Luglio) nelle acque dell’Arno, avvisandoli dell’imminente pericolo di attacco da parte dei pisani. La concitazione che certamente pervase i fiorentini, còlti impreparati, colpì l’immaginazione di Michelangelo che vi trovò argomento sufficiente per pensare ad un dipinto dove i soldati sorpresi dalla notizia accorrevano nudi a rivestirsi, ad afferrare le armi e a prepararsi per la difesa e il contrattacco.

C’era nell’episodio quanto bastava per tirarne fuori una scena movimentata, dove la ricerca anatomica, cara all’artista, prendeva il sopravvento. Ed a questo episodio infatti Michelangelo si riferì quando, avuta nel 1504 dal Gonfaloniere Pier Soderini, un anno dopo che lo stesso aveva affidato analogo incarico a Leonardo per la Battaglia di Anghiari, la commissione di affrescare nel Salone del Maggior Consiglio di Palazzo Vecchio la Battaglia di Cascina, mise mano ai cartoni preparatori dell’opera gigantesca.

Come Leonardo che lavorava nel Salone del Papa nel convento di Santa Maria Novella, anche Michelangelo aveva bisogno di grandi spazi per disegnare i suoi cartoni e allo scopo, dicono le fonti, si ritirò in una «stanza» dello Spedale dei Tintori in Sant’Onofrio. Le fonti stesse sono molto scarne al riguardo e le varie descrizioni che dell’opera sono state fatte nel tempo in genere tralasciano dettagli su quale fosse lo Spedale dei Tintori citato. La identificazione del luogo era resa anche più difficoltosa dal fatto che con quel nome c’erano nei secoli scorsi spedali in più zone di Firenze, in Via Guelfa come in S.Frediano in Cestello, oltre che in Via dei Malcontenti. Di conseguenza, in qualche raro studio dei cartoni, viene indicata la zona dietro a Santa Croce, tra Via delle Casine e Via dei Malcontenti, ma in modo generico, ad esclusione, a quel che mi risulta, dei Paatz, e considerando il luogo ormai non più esattamente identificabile, come se l’edificio dell’ospedale ormai non esistesse più.

Era invece importante sapere dove una tale opera fosse stata eseguita, specialmente ora che, cinquecento anni dopo, si ricorda un periodo eccezionale nella storia artistica di Firenze che vide Michelangelo lavorare al David e alle statue degli Apostoli per il Duomo e disegnare i cartoni e Leonardo addirittura, oltre ad aver eseguito il cartone, cominciare il dipinto della Battaglia di Anghiari nel Salone dei Cinquecento, sì che Firenze, come ebbe a dire Benvenuto Cellini, era allora «la Scuola del Mondo».

Coll’aiuto di Ludovica Sebregondi, esperta di Confraternite (e quella dei Tintori che ospitò Michelangelo lo era), siamo giunti a riconoscere fisicamente il luogo dove Michelangelo disegnò i cartoni preparatori della grande impresa: lo Spedale dei Tintori di Via dei Malcontenti, struttura ancora esistente, sia pur in parte trasformata, che ha ora l’ingresso da Via Tripoli e che corrisponde all’ex caserma Curtatone e Montanara, da poco acquisita, per le sue esigenze di spazio, dalla Biblioteca Nazionale. Con Ludovica Sebregondi abbiamo fatto un sopralluogo nell’estate scorsa ed abbiamo percorso quei locali che, usati dopo i Tintori dalle Suore Poverine e poi dai militari, contengono ancora alcune grandi stanze, una delle quali potrebbe corrispondere alla famosa «stanza» di cui parla il Vasari. Nessuno, ci è stato detto, aveva mai chiesto prima di visitare quei luoghi a tale scopo né aveva chiesto notizie al riguardo.

Ed è qui invece che secondo noi Michelangelo lavorò ai disegni della Battaglia di Cascina nel 1504, nello stesso anno in cui il suo David veniva collocato in Piazza della Signoria, e, dopo un breve soggiorno a Roma, vi tornò a lavorare nel 1506. Poi il cartone, probabilmente diviso in tre parti per motivi pratici, fu portato da Michelangelo in Palazzo Vecchio coll’intento di passare alla fase pittorica e lì rimase qualche tempo, ammiratissimo dagli artisti, come quello di Leonardo, che nel frattempo era stato, almeno in parte, realizzato in pittura.

Successivamente i cartoni di Michelangelo furono portati in Santa Maria Novella, nel Salone del papa, poi, di nuovo spostati, furono collocati in Palazzo Medici. Infine, dopo vaghe segnalazioni, risultano, almeno in parte, nella collezione Strozzi di Mantova, dopodiché se ne perdono le tracce. Rimangono però fortunatamente alcuni disegni preparatori originali, alcune copie di vari artisti e la bella incisione della scena centrale (immagine in alto) con i soldati nudi che freneticamente escono dall’acqua, si rivestono e si armano eseguita da Aristotile da Sangallo, conservata alla Holkam Hall di Norfolk, nella Collezione Leicester, che stupendamente ci documenta la forza della composizione michelangiolesca.

Quella compagnia dedicata a S. OnofrioDI LUDOVICA SEBREGONDIIn tutte le confraternite laicali era previsto l’aiuto agli ascritti in difficoltà, ma queste pratiche caritative erano fondamentali nelle compagnie che riunivano gli artigiani (come quelle di Sant’Andrea dei Purgatori o di San Luca dei Pittori), tanto che i gruppi avevano più il carattere di una «società di mutuo soccorso» che quello di una associazione religiosa.

L’Arte o Università dei Tintori si riunì nella confraternita dedicata a Sant’Onofrio già nel 1280 e nel 1339 aveva fondato due spedali, uno maschile, l’altro femminile, ottenendo dalla Signoria un terreno vicino all’Arno e al convento di Santa Croce. L’area utilizzata dall’Università aveva forma trapezoidale e occupava lo spazio delimitato dalle attuali vie Tripoli, delle Casine, dei Malcontenti e da Piazza Piave. Faceva parte del complesso anche una chiesa dove si conservavano affreschi e una tavola di Giotto, oltre all’«Incoronazione della Vergine» di Domenico Passignano del 1602. Proprio questo quadro mostra nella parte inferiore l’unica immagine antica dell’edificio, che aveva ingresso da via dei Malcontenti. Sulla facciata della piccola chiesa dal tetto a capanna si intravede lo stemma dei Tintori, costituito dagli strumenti utilizzati: «pillo e mazzapicchio», degli speciali martelli. Singolare è anche la visione della parte absidale di Santa Croce priva del campanile ottocentesco. Nel 1719 l’Università dei Tintori dovette cedere il complesso alle suore Cappuccine che vi risiedettero fino al 1880, quando venne trasformato in caserma, con ingresso da via Tripoli, mentre la scalinata dinanzi alla chiesa fu demolita e la porta murata.